Baronissi (SA). Carabinieri e Comune insieme per difendere dalle truffe, in particolare gli anziani
Il Sindaco Anna Petta: “Parte su tutto il territorio comunale la campagna di sensibilizzazione nazionale lanciata dall’Arma: il vademecum con i consigli per riconoscere i tentativi di irretire le persone più fragili e indifese. Orgogliosi di essere al fianco dell’Arma in questa operazione di contrasto alle frodi e ai reati a danno dei nostri amati anziani”.
L’Arma dei Carabinieri e il Comune di Baronissi insieme per sensibilizzare e proteggere gli anziani dalle truffe. Si è svolto presso Palazzo di Città l’incontro tra il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Baronissi, Luogotenente Carica Speciale Alberto Colella e il Sindaco Anna Petta per sostenere la campagna di sensibilizzazione nazionale e promuoverla su tutto il territorio comunale.
L’obiettivo è informare e proteggere i soggetti vulnerabili, tra cui gli anziani, sempre più fragili di fronte alle insidie della modernità, soprattutto in relazione alle diverse tipologie di truffa: un fenomeno sempre più diffuso e attuale, che prende di mira le persone fragili, lasciando in loro segni indelebili. Oltre al danno economico e al trauma psicologico dell’invasione del proprio spazio domestico, le vittime vivono spesso anche il senso di colpa di essere state raggirate.
«Ringrazio l’Arma dei Carabinieri e il Comandante Colella per aver voluto coinvolgere anche il nostro Comune in questa operazione a tutela delle persone più indifese – esordisce il Sindaco Anna Petta – La sicurezza dei nostri anziani è una priorità assoluta e siamo orgogliosi di essere al fianco dell’Arma per fornire agli anziani e alle loro famiglie strumenti concreti per difendersi dalle truffe. È una campagna di comunicazione diretta alla popolazione maggiormente colpita da questo tipo di reati, allo scopo di rafforzare la prevenzione e accrescere la funzione di rassicurazione sociale».
Testimonial della campagna è l’attore Lino Banfi, il più famoso “Nonno d’Italia”: una scelta nata dal desiderio di avvicinarsi ancora di più agli anziani, con l’intento principale di trasmettere, con un tono rassicurante ed empatico, consigli utili a tutelarsi dai raggiri, per rendere consapevoli dei rischi e promuovere comportamenti sicuri.
La campagna di sensibilizzazione si muoverà attraverso la diffusione di un vademecum con i consigli per riconoscere i tentativi di truffa, attraverso l’affissione pubblica in strada e attraverso i canali social del Comune di Baronissi. La locandina sarà affissa in tutte le caserme, nelle parrocchie e nei luoghi di ritrovo degli anziani, con l’invito a prestare massima attenzione e a rivolgersi con fiducia ai Carabinieri chiamando il 112 N.U.E.
«La Stazione dei Carabinieri è inserita nel nostro tessuto cittadino e rappresenta un punto di riferimento sempre presente e affidabile – afferma il Sindaco – Il Comandante Alberto Colella, insieme ai Carabinieri di presidio a Baronissi, da settembre svolgerà incontri formativi in aula consiliare, luoghi di culto, università della terza età per sensibilizzare l’opinione pubblica».
Sarà diffuso anche lo spot che si conclude con l’invito a consultare il sito Carabinieri.it, in cui sono illustrate le tecniche adottate dai truffatori che, per quanto subdole e fantasiose, hanno schemi ricorrenti: individuarli è il primo passo per difendersi.
Nella locandina, chiara e semplice, sono indicati i consigli per evitare di rimanere vittima delle truffe: attenzione ad aprire la porta agli sconosciuti, diffidare dalle apparenze, limitare la confidenza su internet e al telefono, evitare di farsi distrarre, ricordando che il tesserino di riconoscimento non basta.
(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
Patemi e patologie — che sono fronde etimologiche che spuntano dal pathos — possono farci annusare che qui si parla di sofferenza. Questo è vero, ma è una verità parziale: si parla di un sentimento intenso.
Proviamo a fare qualche passo su un concetto scivoloso?
Abbiamo un atteggiamento ambivalente rispetto ai sentimenti in genere: dominiamo complesse impalcature morali e culturali che sostengono ed esaltano quelli buoni, così come sviliscono e ripudiano quelli cattivi. Oggi difficilmente consideriamo che provare sentimenti sia male. Ma la prima ancestrale impressione rispetto alle affezioni dell’animo, ai sentimenti in genere (anche quelli positivi, anche quelli buoni) traspare come essenzialmente negativa — e a modo nostro la perpetuiamo.
Ad esempio la passione è una declinazione del tormento; la rabbia è idrofobia pazza e violenta; l’euforia non può essere un senso di benessere, deve essere effetto di follia o di sostanze; la pietà ci ripugna e brucia tanto che grattiamo dal fondo del barile una pietas latina impertinente con cui sostituirla, che la raffreddi e dissimuli. Il sentimento, l’esperienza del sentimento, è essenzialmente un’esperienza dolorosa — ed è di questo che ci parla soprattutto il pathos originale. (Sembra una variazione sull’assunto buddhista del «tutta l’esistenza è duḥkha», sofferenza.) Ma in fondo a questo tradizionale vaso di Pandora troviamo qualcosa di inatteso.
La parola ha un grande potere — questo è stato evidente a tutte le caterve dei progenitori, risalendo, via via più pelosi. Una delle manifestazioni di questa potere sta nella rappresentazione delle passioni. È un mezzo — di lingua, di gesto — capace di esprimere e rendere queste affezioni, a quanto pare tanto perniciose. E questo tipo drammatico di rappresentazione è uno dei significati antichi del pathos: ha l’aria di essere un significato particolare e minore, ma oggi, dopo una cascata di secoli, se parliamo di pathos parliamo precisamente di questo.
Se descrivo una scena con grande pathos, non significa che io compio questa descrizione con patimento, ma con enfasi, con trasporto — o meglio, rappresentando in maniera lirica, efficace, vivace da un punto di vista emotivo. Non sto raccontando che la zia quando abbiamo perso al torneo di briscola per un punto si è stizzita molto: sto mimando, imitando il modo in cui ha lanciato il mazzo di carte per aria, il tono di voce rotto e furente con cui ha insultato gli altri e me, puntandoci il salame ricevuto in premio sul petto. Se parlo di come una commemorazione sia stata priva di pathos, non sto dicendo semplicemente che è stata essenziale, non retorica, ma che è mancata la resa di un sentimento, è mancata l’efficacia nella rappresentazione della passione. Se racconto di come l’acme dell’opera sia piena di pathos, presento tutta la tensione emotiva congegnata in quella situazione — intensa, che muove.
È uno dei caratteri che la cultura greca riconosceva alla tragedia, il pathos, e uno dei mezzi per la catarsi, la purificazione dalle passioni attraverso la rappresentazione delle passioni. Noi magari non siamo tragediografi della Grecia antica, ma anche noi, nel nostro piccolo, abitiamo gli afflati impetuosi e seducenti delle potenze drammatiche, e nello scherzo e nella serietà continuiamo a coglierne i frutti.
Ecco perché il pathos, il nostro pathos, l’accezione con cui intendiamo oggi in italiano questo grecismo crudo, è tanto importante: perché squaderna una funzione essenziale della comunicazione, della parola. Cioè ergersi, minuta e volante, a fronteggiare l’imponderabile magma del sentimento nell’unico modo possibile: rendendolo con efficacia.
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