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Italia, il Paese delle contraddizioni: argute considerazioni politiche ‘a tutto tondo’ di Stelio W. Venceslai

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Per molti osservatori stranieri la politica, in Italia, è incomprensibile. Il Paese è certamente democratico, ma i partiti si azzannano tra loro, specie se sono all’opposizione. Non ci sono più idee da proporre, ma solo le faccine sorridenti e melense dei leader nei manifesti e nelle liste elettorali (vota Renzi, vota Meloni, vota Conte, vota Salvini, e così via). Le opinioni politiche sarebbero tutt’altra cosa, ma non ne abbiamo più nessuna. Noi votiamo il leader, l’illuminato (o l’illuminata), non le idee o i programmi.

A sentire la sinistra, il Paese langue tra disoccupazione e miseria.  A sentire la destra, stiamo arrivando quasi alla piena occupazione. La sinistra ribatte che i nuovi assunti sono a tempo determinato con salari e stipendi fame. La destra risponde che è meglio un salario o uno stipendio modesto piuttosto che un assegno da reddito di cittadinanza marca 5Stelle.

La sinistra sostiene che si sottraggono soldi alla Sanità e grida allo sfacelo del servizio pubblico sanitario. La destra, invece, esalta nel bilancio 2024 un finanziamento aggiuntivo di quattro miliardi per la sanità. Chi ha ragione? Se non capiamo noi come stanno le cose, meno ancora può capirle chi ci osserva da altri lidi.

Il Paese sta male. Forse, ma non tanto.

I ristoranti si sono moltiplicati e non si trova il personale. Se non riservi un tavolo fai la fila, in attesa del secondo o del terzo turno. I turisti, nazionali e stranieri, furoreggiano. I musei sono pieni di gente, le piscine pubbliche e le spiagge siciliane sono affollate, vista la clemenza del tempo. Le stazioni sciistiche idem. Dodici milioni d’Italiani si spostano per le festività. Una Bengodi. In una Roma sporca, buia e decadente si aggirano folle di persone che spendono, magari solo per degli hamburger, ma spendono. Il denaro gira. C’è una contraddizione evidente tra ciò che la sinistra dice e ciò che la destra esalta. Dov’è la verità?

La verità è che il nostro è un Paese mediterraneo. Non è virtuoso come quelli del Mare del nord o del Mar baltico. È abituato a sopravvivere nonostante il peso di balzelli, leggi e leggine, di ritardi inesplicabili, di lunghe file d’attesa negli ospedali, nelle ASL o nei tribunali. Si adatta alle situazioni, è un po’ ambiguo e un po’ sfuggente, trova sempre una scappatoia, un sistema parallelo che gli permetta di vivere alla grande e di godersi calcio e canzonette, le uniche cose che sembrano interessare tutti.

Chi paga le tasse sono solo i lavoratori dipendenti. Quelli non possono sfuggire. Gli evasori sono tutti gli altri, compresi gli stessi lavoratori dipendenti. Il benessere è negato ma esiste. Gli alberghi sono pieni, d’estate e d’inverno e non solo di viaggiatori stranieri. Tutti si arrangiano, o con il doppio lavoro non retribuito, ufficialmente, o non pagando l’IVA ma cash, in una specie di mercato nero dei servizi che arricchisce l’iniziativa privata (vedi le cliniche) e risolve i problemi della gente molto meglio di quanto non faccia lo Stato. Quale Stato, poi?

Il nostro è uno Stato bifronte (non a caso Giano era fra le maggiori divinità romane e. quindi, rispettiamo la tradizione, perbacco!): lo Stato ufficiale e lo Stato vero.

Da decenni si parla di lotta all’evasione. È un cliché che possiamo mandare a memoria. Se ne parla, ma non si fa. Se si facesse davvero, mettendo in galera gli evasori al posto dei consumatori di droga che affollano le carceri, il sistema si arresterebbe. Lo sanno tutti. E ci si guarda bene dal farlo.

L’economia scorre su un doppio binario, senza scontri. Non ci sono passaggi a livello incustoditi.

Le pensioni sono l’argomento cardine tra la gente e, purtroppo, anche nelle mani dei politici, che non ci capiscono molto. Per ora tutto va bene. In futuro, molto meno. Se non cresce il lavoro non crescono i contributi. Dove si prenderanno i soldi per le pensioni dei nostri figli e dei nostri nipoti? Mistero.

Si arzigogola sullo scalino e sullo scalone, su quota 100, 101, 102 (siamo tutti alpinisti), si oscilla fra il proposito di pensionare appena possibile per far posto ai giovani e quello, invece, di trattenere il più possibile la gente al lavoro. Così, se muoiono prima, non si pagano pensioni, tranne che ai superstiti.

Le pensioni attuale sono misere, specie ai piani inferiori, ma sono certe. Il sistema è ingessato con tanti cerotti. È talmente brutto che lo si lascia vivere per pietà.

Perché non si lascia alla gente il diritto di decidere della propria vita Che c’entra lo Stato con le mie prospettive di vita Se ho voglia di continuare a lavorare e sono in grado di farlo, perché me ne devo andare? Se ho voglia di smettere di lavorare oppure di cambiare lavoro o, semplicemente, di godermi la vita con quello che ho accumulato (tanto o poco non importa, sono fatti miei) con i miei contributi, perché non posso farlo quando voglio? Che c’entra lo Stato con le mie propensioni?

In politica c’è il balletto delle ipocrisie. La maggioranza è solida, la minoranza annaspa ed è divisa. Le votazioni in Parlamento sull’annuale manovra vengono sempre descritte dall’informazione come drammatiche, ma sono scontate. Ci si azzuffa sul nulla, come sul MES. Nessuno ha capito dov’è il problema. Ratifico o non ratifico? Se ratifico e chiedo soldi, è giusto che poi si controlli che non li butti dalla finestra (vedi ex ILVA o ex Alitalia). Se non li chiedo non mi assoggetto a nessun controllo.

E allora, dov’è il problema

Riflettere è pericoloso. Si esce dagli schemi preordinati. Si va controcorrente. Meglio andare a mangiare fuori. Prenotiamo un tavolo così, tra una portata e un’altra, possiamo telefonare. Fateci caso. Hanno tutti il cellulare in una mano e la forchetta nell’altra. C’è un bisogno spaventoso di comunicare, così si parla e non si pensa. E, poi, siamo al cambio dell’Anno.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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