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Giustizia riparativa. Diocesi di Napoli: “Necessaria molta sensibilizzazione per abbattere i pregiudizi in un luogo afflitto dalla camorra”

“Una giustizia che ripara”: è questo il progetto portato avanti dall’Ufficio di pastorale carceraria della diocesi di Napoli, guidato da don Franco Esposito, nell’ambito del progetto sperimentale nazionale di giustizia riparativa, promosso da Caritas italiana, che ha coinvolto otto Caritas diocesane, attive nei rispettivi territori a promuovere percorsi di riconciliazione nelle carceri, nelle scuole, nelle comunità.

(Foto Caritas Italiana)

Il progetto a Napoli si è focalizzato sulla formazione dei volontari; su incontri nelle scuole e nelle comunità parrocchiali; su incontri nel Centro di pastorale carceraria e negli istituti penitenziari; su convegni rivolti a tutta la cittadinanza. Il corso di formazione sul nuovo paradigma della giustizia ripartiva, per la durata di 6 mesi attraverso incontri mensili, è stato rivolto sia ai volontari che già svolgono un servizio nella realtà carceraria sia per i nuovi volontari che per la prima volta si affacciano a tale realtà. Hanno partecipato 80 volontari, tra i quali sono stati individuati e selezionati 10 volontari formati ad hoc in giustizia riparativa per l’attività di sensibilizzazione sia negli istituti scolastici sia nelle comunità parrocchiali. Sono state 23 le scuole nelle quali sono stati promossi incontri periodici, con una parte dedicata alla giustizia riparativa e un’altra incentrato sul confronto e discussione con gli studenti. In un secondo momento, all’aspetto teorico si è accostato quello esperienziale con la partecipazione a circle-time riparativi, nei quali i ragazzi hanno incontrato soggetti in misura alternativa alla detenzione e gli ex detenuti seguiti dal Centro di pastorale carceraria di Napoli. Con le stesse modalità delle scuole si sono tenuti incontri all’interno delle comunità parrocchiali, anche se gli incontri sono stati in 3 parrocchie, rispetto alle 10 previste inizialmente nel progetto. Nel Centro diocesano di pastorale carceraria, che ospita circa 30 persone in affidamento ai servizi sociali in collaborazione con il Uiepe, gli incontri, condotti da facilitatori che già operano nel campo della giustizia riparativa, si sono avvalsi anche di testimonianze di membri del Coordinamento delle famiglie vittime innocenti della criminalità. Sono stati organizzati incontri anche nel carcere di Aversa e di Napoli-Poggioreale con gli operatori penitenziari; nonché al Provveditorato penitenziario della Campania. Non sono mancati due convegni rivolti a tutti, il 24 giugno 2023 e il 10 novembre 2023. Da tutti questi incontri, si legge nella relazione finale del progetto, “sono scaturiti delle curiosità nell’ascolto sia da parte degli studenti sia dei fedeli delle comunità parrocchiali, soprattutto quando gli incontri venivano realizzati con testimonianza di autori di reato e i familiari delle vittime innocenti della criminalità. In particolare, si è mostrato maggiore interesse alla conoscenza del nuovo paradigma della giustizia riparativa, facendo domande relative alla procedura, alle modalità dell’incontro tra il reo e la vittima offesa dal reato, nonché ai modi in cui il reo potesse riparare il danno. Tali incontri hanno portato dei cambiamenti nel modo di vedere la giustizia, una giustizia soprattutto umana volta alla consapevolezza da parte del reo del danno causato nonché alla riparazione dello stesso. In effetti, grazie a questi incontri, vi sono state riflessioni sulla loro esperienza personale, per alcuni c’è stata maggiore sensibilizzazione verso la Restorative Justice”.

(Foto Caritas italiana)

“Anche se il progetto nazionale si è concluso, continuiamo l’attività con le scuole e le parrocchie perché abbiamo inserito questo progetto nazionale sulla giustizia riparativa in quelle che sono le nostre attività prevalenti, tra cui la sensibilizzazione al tema carcere”, dice al Sir Valentina Ilardi, psicoterapeuta, impegnata nella pastorale carceraria della diocesi di Napoli, esperta in giustizia riparativa e mediazione, referente per il progetto nazionale di giustizia riparativa, per la Caritas di Napoli. “Abbiamo già programmato appuntamenti da settembre con le scuole e dobbiamo insistere maggiormente con le parrocchie, ma già a fine mese abbiamo un nuovo incontro con una parrocchia. Ora – spiega Ilardi – il progetto va avanti, senza i fondi del progetto nazionale, quindi magari con tempi più lunghi, ma il nostro obiettivo resta creare le fondamenta – quando i tempi saranno maturi – per realizzare un centro di giustizia riparativa, oltre che comunità riparative e luoghi protetti dove poter attuare percorsi ristorativi”.

Intanto, “la sensibilizzazione e la formazione dei volontari restano nostre attività e ci sarà spazio anche per la giustizia riparativa”. Tra i 10 volontari formati durante il progetto, ce ne sono due che stanno seguendo un master universitario sulla giustizia riparativa. “L’impegno prevalente di questi 10 volontari formati sarà di fare da ponte con le scuole, con le parrocchie e Terzo Settore, per organizzare nuovi incontri. Gli incontri, infatti – racconta Valentina -, sono tenuti da don Franco Esposito, da me e dai volontari, anche con qualche testimonianza delle attività che svolgiamo anche in carcere. Tra i volontari ci sono anche persone componenti del Coordinamento delle famiglie vittime innocenti della criminalità, quindi le loro testimonianze sono molto utili, efficaci e significative”.

Il tema della giustizia riparativa nelle scuole è stato proposto anche come un fattore protettivo all’evasione scolastica e al fenomeno del bullismo. “A scuola con ragazzi e insegnanti abbiamo avuto un buon feedback. Partendo da questo dato positivo, durante il prossimo anno scolastico, con le stesse persone coinvolte finora negli istituti in cui abbiamo realizzato il progetto, faremo anche pratica concreta di giustizia riparativa su temi a loro vicini, come il bullismo”, rivela Ilardi.

Rispetto all’obiettivo di realizzare comunità riparativi e luoghi protetti dove poter attuare percorsi ristorativi come punti deboli incontrati si è evidenziata la mancata risposta nelle comunità parrocchiali, un fattore che ha ostacolato il susseguirsi del progetto, invece di 10 comunità parrocchiali previste nel progetto sono state raggiunte solo 3. “Le parrocchie sono un po’ più restie ma siamo riusciti a fare degli incontri, anche se non come volevamo strutturarli noi, cioè mirati con poche persone, per creare in ogni parrocchia un gruppo che potesse dedicarsi al tema e farsi portavoce delle istanze di giustizia riparativa. Noi avevamo l’obiettivo di realizzare comunità riparative e luoghi protetti dove poter attuare percorsi ristorativi nelle comunità parrocchiali, ma qui l’ostacolo è stato proprio che manca una sensibilità su questo tema. L’obiettivo resta, ma prima dobbiamo svolgere un’opera grande di conoscenza del tema, farlo entrare nella mentalità delle persone”, sottolinea l’esperta.

Gli incontri nel Centro di pastorale carceraria “sono riusciti molto bene, perché abbiamo mostrato casi di vita reale creando molto coinvolgimento nei partecipanti. Infatti, a questi incontri sono intervenuti sia detenuti in misure alternative, sia ex detenuti, sia vittime e familiari delle vittime della criminalità. Ognuno ha portato la sua testimonianza. Durante la formazione e durante gli incontri ci sono stati dei confronti tra chi ha commesso reati e chi li ha subiti, anche se non coinvolti direttamente nel medesimo caso, ma in vicende diverse. In futuro – anticipa Ilardi -, speriamo di realizzare dei percorsi di giustizia riparativa veri e propri con autori di reati e le loro vittime dirette, nei tempi giusti anche per il territorio, dove è fortemente radicato il pregiudizio verso chi delinque, per la presenza pervasiva della criminalità: l’elevato tasso di criminalità a Napoli infastidisce, c’è una fetta di popolazione che non tollera più questo stato di cose ed è così stanca dell’insicurezza e violenza in cui vive da non riuscire ad avere un’apertura verso la giustizia riparativa.

Bisogna preparare molto il terreno per arrivare a questo per combattere sfiducia, senso di impotenza verso la criminalità, pregiudizi”.

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Napoli. Arte e ‘podcast’ contro i pregiudizi sui nomadi e per sensibilizzare all’inclusione

Uniti contro i pregiudizi sui nomadi: podcast e arte per sensibilizzare all’inclusione: sabatoi 6 e lunedì 8 aprile gli eventi di NEA e ART33 sostenuti dall’UNAR.

“Non chiamateci zingari” è il titolo provocatorio degli eventi messi in campo dalle associazioni NEA Napoli Europa Africa e ART.33 in occasione di due appuntamenti fondamentali per sensibilizzare cittadini e istituzioni all’inclusione di persone e culture diverse.

Le iniziative, il 6 e l’8 aprile 2024, si svolgono nell’ambito della 1a Settimana di azione per la promozione della cultura romanì e per il contrasto all’antiziganismo promossa dall’UNAR e della 29a Settimana di azione contro il razzismo.

Prosegue, dunque, il percorso iniziato nei mesi scorsi con la costruzione del podcast “Voci Rom”. Quest’anno gli studenti del liceo Piero Calamandrei di Ponticelli hanno realizzato, attraverso l’ascolto e l’utilizzo dei materiali dello scorso anno, una ricerca e un’inchiesta territoriale con la raccolta di interviste a “gagé” sui temi della storia, delle donne e dell’arte provando a rispondere alla domanda: “Cosa sanno i gagé del popolo rom?”. La risposta è nei tre podcast dal titolo: “Voci Gagè – Cosa (non) sappiamo del popolo rom” che saranno sveltati al pubblico.

Sabato 6 aprile, in collaborazione con “Macadam, cantiere delle Arti Viaggianti”, nella splendida cornice del Bus Theater e del Casabar, che offre la sede alla prima iniziativa, si presentano i podcast. A seguire il concerto di una delle band iconiche della fusione tra culture, Mascarimiri, gruppo rom salentino, con un forte legame col mediterraneo e le sue sonorità. Lunedì 8 aprile, in occasione della Giornata internazionale di Rom e Sinti, nello Spazio Metamorfosi di Ponticelli, si presenta il film “Gitanistan – Lo Stato immaginario delle famiglie rom-salentine” di Pierluigi De Donno e Claudio Giagnotti. A seguire gli allievi del Calamandrei presenteranno i podcast realizzati durante la settimana.

Il progetto ha ricevuto un finanziamento pubblico dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali.

Programma dettagliato

Sabato 6 aprile 2024: Macadam. Cantiere delle Arti Viaggianti – via Castagnola, 11 – San Giorgio a Cremano (NA).

ore 19: Preview del podcast “Voci Gagè”, introducono Luigi Mete (associazione N:EA) e Giuseppe Ruocco (associazione ART.33); ore 20: Talk, Aperitivo e Convivio; ore 21.30: Mascarimirì in concerto (electro world music)
a seguire dj Kandıralı Live Selecta; cocktail & dreams a cura di Where is Casabar.

Lunedì 8 aprile 2024 (Giornata internazionale di Rom e Sinti): Spazio Metamorfosi presso IC Bordiga, via Argine 917, Ponticelli (Napoli): ore 16 proiezione del film “Gitanistan – Lo stato immaginario delle famiglie rom-salentine” di Pierluigi De Donno e Claudio Giagnotti; ore 17.30: Presentazione del podcast “Voci Gagè”.

Introducono Luigi Mete (associazione NEA) e Mariarosaria Teatro (associazione ART.33), a seguire dibattito e talk.

(Alessandro Bottone – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

Lavoro in carcere, incontro a Caserta tra Terzo Settore ed Istituzioni per superare stereotipi, pregiudizi e disinformazione

Caserta – Si è svolto presso il palazzo della Provincia di Caserta l’incontro “Lavoro in Carcere – gli stereotipi, i pregiudizi e la disinformazione” organizzato dall’ETS Generazione Libera insieme a CSV Assovoce Caserta, Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) sezione di Santa Maria Capua Vetere ed ACLI Caserta con il patrocinio di Provincia di Caserta, Regione Campania, Garante dei Detenuti della Regione Campania e dall’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere.
Il lavoro in carcere.
L’evento ha visto la presenza di quattro realtà campane impegnate i progetti di lavoro e formazione dei detenuti, un tema di fondamentale importanza sia per combattere l’alienazione dell’ambiente carcere che per ridurre significativamente i tassi di recidività. La costruzione di nuove opportunità e di occasioni in grado di accrescere il livello di formazione dei detenuti sono, infatti, lo strumento migliore per evitare la ricaduta tra le file della criminalità di quanti lasciano il carcere dopo il periodo di detenzione.
A discuterne sono stati Rosario Laudato, Presidente dell’ETS Generazione Libera, Elena Pera, Presidente CSV Assovoce Caserta, Sergio Carozza, Presidente provinciale ACLI Caserta, Rita Caprio, della COOP L’Uomo ed il Legno, Francesco Pascale, della COOP Terra Felix, Giuliana Tammelleo, Presidente AIGA sezione di Santa Maria Capua Vetere, Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della regione Campania, e Carlo Brunetti, Direttore del carcere di Carinola. I saluti istituzionali sono stati tenuti da Gianni Solino, Direttore del Museo Provinciale Campano di Capua, in vece del Presidente provinciale Giorgio Magliocca, e da Angela Del Vecchio, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere.

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(Fonte: DeaNotizie – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

Caserta. ‘Lavoro in carcere’: contro pregiudizi e stereotipi vertice fra istituzioni e ‘Terzo Settore’

Si è svolto giovedì mattina, presso il palazzo della Provincia di Caserta, l’incontro “Lavoro in Carcere – gli stereotipi, i pregiudizi e la disinformazione” organizzato dall’ETS Generazione Libera insieme a Csv Assovoce Caserta, Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga) sezione di Santa Maria Capua Vetere ed Acli Caserta con il patrocinio di Provincia di Caserta, Regione Campania, Garante dei Detenuti della Regione Campania e dall’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere.

IL LAVORO IN CARCERE

L’evento ha visto la presenza di quattro realtà campane impegnate i progetti di lavoro e formazione dei detenuti, un tema di fondamentale importanza sia per combattere l’alienazione dell’ambiente carcere che per ridurre significativamente i tassi di recidività. La costruzione di nuove opportunità e di occasioni in grado di accrescere il livello di formazione dei detenuti sono, infatti, lo strumento migliore per evitare la ricaduta tra le file della criminalità di quanti lasciano il carcere dopo il periodo di detenzione.

A discuterne sono stati Rosario Laudato, presidente dell’ETS Generazione Libera, Elena Pera, presidente Csv Assovoce Caserta, Sergio Carozza, presidente provinciale Acli Caserta, Rita Caprio, della Coop L’Uomo ed il Legno, Francesco Pascale, della Coop Terra Felix, Giuliana Tammelleo, presidente Aiga sezione di Santa Maria Capua Vetere, Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della regione Campania, e Carlo Brunetti, direttore del carcere di Carinola. I saluti istituzionali sono stati tenuti da Gianni Solino, direttore del Museo Provinciale Campano di Capua, in vece del presidente provinciale Giorgio Magliocca, e da Angela Del Vecchio, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria Capua Vetere. A moderare è stato Gianrolando Scaringi, giornalista de “Il Mattino”.

LE ESPERIENZE

Al centro del dibattito si è posto il dualismo tra la diffidenza ed il pregiudizio che vivono i detenuti e l’esperienza che l’ETS Generazione Libera vive quotidianamente nel carcere di Carinola – attraverso il progetto “I faRinati”, un laboratorio di produzione di prodotti da forno di alta qualità – così come l’esperienza di produzione agricola vissuta presso la casa circondariale di Secondigliano dalla cooperativa L’Uomo e il Legno.

«In Italia ci sono circa sessantamila detenuti, di questi solo il 30% lavora – ha dichiarato Rosario Laudato – e solo mille all’esterno delle carceri. Gli esempi virtuosi sono tutti al Nord, costruiti realizzando sinergie importanti tra Terzo Settore, istituzioni e case penitenziarie. In provincia di Caserta ci sono ben cinque carceri (Arienzo, Aversa, Carinola e due a Santa Maria Capua Vetere, militare e non) ai quali va aggiunto anche il centro semiresidenziale per minori (anch’esso a Santa Maria Capua Vetere). Tante case circondariali, tanti detenuti e tante occasioni da cogliere e far cogliere, soprattutto agli imprenditori che, con la Legge Smuraglia, possono godere di una serie di sgravi contributivi e fiscali assumendo detenuti in stato di reclusione o ammessi al lavoro all’esterno. Ma c’è anche tanto da fare per sostenere i progetti già in atto».

«Conosciamo bene i problemi delle carceri che l’Europa continua a sottolinearci – ha commentato il garante Samuele Ciambriello – come il sovraffollamento ed il delicatissimo problema dei suicidi, i quali hanno anche incidenza sul personale penitenziario. Dobbiamo pensare agli istituti di pena sempre più come comunità ed aiutarli a costruire relazioni sia interne che esterne per facilitare progetti di lavoro e permettere la circolarità dei prodotti realizzati dietro le sbarre. È, altresì, necessario creare rete tra queste realtà costruendo anche una filiera virtuosa tra produttori della materia prima e trasformatori finali, sempre nelle carceri».

«Il lavoro è un elemento imprescindibile dell’impegno educativo rivolto ai detenuti – ha concluso il direttore Carlo Brunetti – e precisato sia nell’art.27 della Costituzione che nella Riforma Penitenziaria del 1975. Ci sono tanti esempi virtuosi, che includono anche realtà formative e scolastiche, ma, purtroppo, ci vuole tempo per passare dalle parole ai fatti, spesso troppo tempo. Questo non vuol dire che le cose non possono cambiare ma, al momento, è necessario lavorare sui territori. Per combattere i pregiudizi è necessario comunicare e sensibilizzare, a partire dal Terzo Settore e dal mondo dell’impresa del territorio».

(Gianrolando Scaringi – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

Caserta. ‘Lavoro in Carcere’, stereotipi, pregiudizi e disinformazione: giovedì dibattito alla Provincia

“Lavoro in Carcere”, gli stereotipi, i pregiudizi e la disinformazione: giovedì 14 marzo 2024 dalle ore 10.00. Palazzo della Provincia di Caserta, viale Lamberti 2.

Programma:

Saluti:Giorgio Magliocca: Presidente della Provincia; Carlo Marino: Sindaco del Comune di Caserta; Angela Del Vecchio: Presidente Ordine degli Avvocati di Santa Maria C.V.

Coordina: Gianlorando Scaringi: giornalista “II Mattino”.

Discussant:

Rosario Laudato: ETS Generazione Libera; Elena Pera: Presidente CSV Asso.Voce, Caserta; Sergio Carozza:  Presidente Provinciale ACLI-Caserta; Rita Caprio: Coop L’uomo ed il legno; Francesco Pascale: Coop Terra Felix:
Giuliana Tammelleo: Presidente AIGA S.Maria Capua Vetere; Samuele Ciambriello: Garante dei Detenuti Campania;
Carlo Brunetti: Direttore del Carcere di Carinola; Rappresentante Ufficio di Sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere.

(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

Malattie rare. La lotta di Alessandro, Veronica e Roberta contro burocrazia, ignoranza e pregiudizi

Basta essere pazienti – Persone rare, diritti universali è il claim della campagna di sensibilizzazione ideata e lanciata da Omar (Osservatorio malattie rare) a Roma, in occasione della Giornata mondiale delle malattie rare (Rare Disease Day) che ricorre oggi, 29 febbraio. “’Basta essere pazienti’ – spiega Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore dell’Osservatorio – è la consapevolezza di dover attendere che i tempi della ricerca facciano il loro corso, essere consapevoli delle specifiche difficoltà legate alla propria patologia, ma significa anche non chiudere gli occhi davanti a tutti quei diritti sanciti dalle norme ma difficilmente esigibili in maniera uniforme. Significa non voler più attendere la rimozione delle barriere, materiali o culturali. Questa campagna, e la petizione che verrà condivisa e sottoscritta, è un invito ad un impegno collettivo nel creare una società inclusiva che rispetti e valorizzi l’individualità di ciascuno”.

Alessandro – Foto Omar

Alessandro e la battaglia per il diritto allo studio. Dalla scuola dell’infanzia all’università, una continua lotta per ottenere l’assistenza necessaria per poter frequentare la scuola. “Quando mia madre, parecchi anni fa, era andata alla scuola materna per fare l’iscrizione, le dissero che no, che ero troppo malato, che non ci sarei potuto andare a scuola. Mia madre ovviamente non si arrese, e ora eccomi qui, sono all’ultimo anno di giurisprudenza, e tra poco mi laureerò.” Inizia così la storia di Alessandro, riassunta in pochi minuti per la campagna Basta essere pazienti, che nel suo caso tocca il tema fondamentale del diritto allo studio e all’inclusione. Alessandro, affetto fin dalla nascita dalla Sma (atrofia muscolare spinale), ha incontrato diversi ostacoli burocratici e amministrativi per poter esercitare il proprio diritto allo studio. “Ogni anno – racconta – il numero di ore che mi veniva assegnato non era idoneo per poter frequentare, né a scuola né tantomeno all’Università. Puntualmente ogni anno mia mamma doveva iniziare una nuova battaglia per permettermi di stare a scuola come gli altri.

Poi ho iniziato a combattere io. Ci vuole tanta fatica, e la fatica purtroppo può scoraggiare”.

Ma non c’è solo la scuola. “A me piace moltissimo andare ai concerti di musica Metal – prosegue Alessandro – ma comprare il biglietto per me è un’impresa. Io non posso semplicemente comprare un biglietto come gli altri, ma devo essere io ad accertarmi che effettivamente il luogo in cui si svolge il concerto sia adeguato ad ospitare una persona che si muove con una carrozzina”.

Veronica e la malattia nascosta nello zaino “Il mio zainetto per me è fondamentale, perché mi nutre. Senza questo zaino dovrei rimanere a casa, attaccata per 16 ore a un’asta e ad una pompa, e non potrei vivere”. Inizia così la storia di Veronica, 31 anni, raccontata dalla ragazza per la medesima campagna di comunicazione promossa da Omar in occasione della Giornata odierna. Veronica è affetta da pseudo-ostruzione intestinale cronica (Cipo), una malattia rara molto invalidante che colpisce l’apparato gastrointestinale e ne compromette il normale funzionamento. La ragazza non può più né mangiare né bere e deve nutrirsi attraverso l’alimentazione parenterale (nutrizione intravenosa): il suo zainetto contiene il cibo che la tiene in vita. Per questa patologia al momento non esiste una cura.

Veronica – Foto Omar

Quando la patologia è invisibile. “Ho iniziato a star male intorno ai 14 anni e la diagnosi è arrivata circa dieci anni dopo. Il fatto di avere una patologia invisibile spesso mi fa sentire non capita, e questa cosa mi fa molto arrabbiare, perché sembra che io abbia meno diritti e una disabilità meno importante di chi invece ha una patologia visibile”, spiega Veronica. “A volte la gente mi guarda e dice ‘eh, ma stai bene!’, non vedendo tutto quello che c’è dietro: ho dei dolori cronici, per non parlare della socialità, perché la maggior parte delle convenzioni sociali si basano sul cibo”.

Una sfida nella sfida. Vivere con una malattia rara non visibile è una sfida nella sfida, e ci sono diritti, come ad esempio quello del riconoscimento dell’invalidità civile, che spesso non vengono riconosciuti. “Ogni tot di anni l’Inps ti richiama per una visita”, prosegue Veronica. “Pur essendo peggiorata in questi anni, non mi hanno dato l’aggravamento, e oltretutto hanno avuto il coraggio di abbassare di nuovo la percentuale di invalidità, togliendomi anche la 104; sul referto non hanno menzionato la mia patologia, perché questo avrebbe significato dovermi dare il 100%”. Fra i problemi che Veronica deve affrontare c’è anche la burocrazia: “Il piano terapeutico fatto dai miei medici dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, qui a Roma non è valido e lo devono rifare. Fra l’altro la validità è solo per sei mesi, anche se io purtroppo queste cose le dovrò fare a vita”. Stesso discorso per i farmaci, che vengono forniti in un quantitativo molto ridotto, per cui ogni 15 giorni la giovane deve tornare a riprenderli.

“Per me ‘basta essere pazienti’ significa non dover continuare a lottare ogni giorno contro la burocrazia, contro l’ignoranza della gente e, soprattutto, contro le istituzioni”,

conclude Veronica.

Roberta e il silenzio spezzato. “Vorrei davvero che questa poca conoscenza delle malattie rare, soprattutto al Sud, cambiasse… Basta, basta essere pazienti.” Sono le parole di Roberta, 25 anni, affetta da miastenia gravis e anche lei testimonial della campagna di Omar. La miastenia gravis è una malattia rara autoimmune che colpisce le giunzioni muscolari e può avere conseguenze fortemente invalidanti. Se non trattata adeguatamente può portare a gravi complicazioni, inclusa la compromissione della respirazione, che può mettere a rischio la vita.

Roberta – Foto Omar

“Ho 25 anni – racconta Roberta – e per la mia diagnosi c’è voluto un anno e mezzo. Sapevo che in me qualcosa non andava, ma sono dovuta arrivare a non respirare più, sono dovuta finire in rianimazione per un mese intero prima di capire di cosa si trattasse”. “Un anno e mezzo in cui mi sono chiusa in me stessa. Chiusa in casa, non parlavo più. Perché la miastenia mi ha tolto tutto: la parola, il sorriso. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a deglutire, non potevo mangiare. Soprattutto nessuno mi credeva, nemmeno la mia famiglia: tutti pensavano che fossi depressa. Quando mi hanno detto che non ero depressa ma che ero affetta da miastenia gravis – racconta, visibilmente commossa – ho finalmente tirato un sospiro di sollievo”.

Una pagina Instagram. Al ritorno a casa Roberta si è sentita sola: “Avevo bisogno di trovare qualcuno che provasse quello che provavo io. Sentivo la necessità, l’urgenza di urlare, ma anche di aiutare chi come me stava vivendo questo momento così difficile. Così ho aperto una pagina Instagram e ho conosciuto persone meravigliose. Ora siamo in quattro a gestire questa pagina e continuiamo a parlare della nostra vita con la malattia. Non certo per fare vittimismo ma perché

è inammissibile che nel 2024 una patologia come la miastenia gravis non sia conosciuta”.

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Epilessia. Cinema per sensibilizzare i ragazzi contro i pregiudizi e panchine viola nei parchi. Intanto a scuola non fa più paura

Oggi ricorre la Giornata internazionale dell’epilessia, una patologia neurologica cronica che interessa mediamente l’1% della popolazione, in Italia circa 500mila persone. I più colpiti sono i bambini: nel 60% dei casi, infatti, la malattia insorge prima della pubertà, entro i 13-14 anni, con possibili conseguenze negative sullo sviluppo psicomotorio e ricadute sul piano sociale. In occasione della Giornata, la Lega italiana contro l’epilessia (Lice) e la Fondazione Lice hanno presentato oggi a Roma le due iniziative della Campagna di awareness 2024: “Epilessia al cinema: racconti di storie reali. Incontri con le scuole” e “Metti in panchina l’Epilessia”.

Al cinema con i ragazzi per parlare di epilessia. Questo il primo obiettivo della nuova campagna, realizzata in collaborazione con Anec (Associazione nazionale esercenti cinema).

Perché di epilessia bisogna parlare sempre più, diffondendone una corretta conoscenza e scardinando pregiudizi e tabù che ancora la circondano.

E proprio perché insorge per lo più in età infantile, è importante sensibilizzare e informare i più giovani attraverso un percorso che coinvolga scuole e studenti, grazie alla diffusione del cortometraggio Fuori dall’acqua che il Sir ha presentato l’anno scorso. “Vogliamo ribadire il nostro impegno contro lo stigma sociale nei confronti delle persone con epilessia rivolgendoci ancora una volta ai giovani”, ha esordito Laura Tassi, presidente Lice e neurologo presso il Centro di chirurgia dell’Epilessia e del Parkinson “Claudio Munari” del Niguarda, Milano. L’epilessia, ha spiegato, “impatta inevitabilmente sulla vita quotidiana di chi ne soffre, anche nei rapporti con le persone, compagni di scuola, amici. Lice da sempre sostiene le persone con epilessia a non arrendersi alla propria condizione per affrontare la vita con coraggio, ad ogni età”.

Epilessia al cinema: racconti di storie reali. Incontri con le scuole è dedicata agli studenti di istituti secondari che parteciperanno alle Matinée al Cinema. L’iniziativa, prevista in dieci città, ognuna sede di un coordinatore Lice, sarà realizzata in collaborazione con Anec. Durante le Matinée studenti e insegnanti potranno assistere alla proiezione di Fuori dall’acqua, cortometraggio tratto dalla storia di un ragazzo con epilessia, presentato lo scorso anno al Giffoni Film Festival e alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. La mattinata prevede anche la proiezione del docufilm Lice Dissonanze, esperienza di vita con l’epilessia di due giovani adulti. A seguire un dibattito sulla malattia e lo stigma sociale che affrontano le persone che ne soffrono.

Metti in panchina l’epilessia è la seconda iniziativa presentata oggi. Obiettivo promuovere la collocazione di panchine viola, il colore della lotta all’epilessia, nelle principali città d’Italia (giardini rionali, parchi, viali e all’interno degli ospedali). Un progetto che potrà proseguire nel corso degli anni. Le panchine viola, con il logo Fondazione Lice e una frase speciale, verranno realizzate con la Fondazione Big Bench Community Project su un progetto ad hoc del designer statunitense Christopher Edward Bangle, oggi presente in conferenza stampa.

“L’epilessia è fonte di discriminazione”, spiega Oriano Mecarelli, past president Lice. Per questo, “sulle nostre panchine sarà bello sedersi per favorire l’inclusione” delle persone che ne soffrono.

“Vogliamo che l’epilessia non faccia più paura e chi ne soffre non debba più nascondersi”,

aggiunge Antonio Gambardella, presidente Fondazione Lice. Soddisfazione anche da Mario Lorini, presidente Anec: “Siamo lieti di accogliere il mondo scolastico nell’iniziativa”.

Foto Ospedale Bambino Gesù

La scuola non ha paura delle crisi è invece il progetto avviato nel 2016 dall’ Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma in collaborazione con la Lice. Ad oggi vi hanno aderito 130 istituti di Roma e provincia, per un totale di 6mila insegnanti, formati da personale specializzato del Bambino Gesù (medici, psicologi, infermieri) tramite incontri periodici nelle scuole, per gestire le crisi epilettiche. Attraverso esercitazioni pratiche e video-tutorial, gli insegnanti vengono preparati ad affrontare gli attacchi epilettici in classe e a somministrare correttamente, se necessario, i farmaci in grado di interromperli. “Fin dalle prime edizioni – sottolinea Nicola Specchio, responsabile Neurologia dell’epilessia del Bambino Gesù – l’iniziativa ha ottenuto risultati al di sopra delle aspettative, contribuendo a creare un ambiente sicuro e inclusivo per i bambini e i ragazzi con questa patologia”. Di qui l’intenzione di “proseguire con il massimo impegno per coinvolgere un numero sempre maggiore di Istituti”.

Foto Casa Sollievo della Sofferenza

Intanto, anche questa sera si rinnova la tradizionale illuminazione dei principali monumenti italiani in viola. A Roma sarà il Colosseo; a San Giovanni Rotondo le colonne della facciata dell’ Irccs Casa Sollievo della Sofferenza sono state adornate in viola. L’Unità di Neurologia dell’Irccs, con il suo Centro per lo studio e la cura dell’epilessia, ha promosso due eventi divulgativi per studenti, cittadini, persone con epilessia e loro familiari. “Sono ancora troppi i luoghi comuni sull’epilessia, spesso persino veicolati e rafforzati da operatori sanitari non esperti”, afferma Giuseppe d’Orsi, epilettologo e responsabile dell’Unità di Neurologia di Casa Sollievo. In caso di crisi, spiega, non bisogna bloccare braccia e gambe o tentare di aprire la bocca del paziente; occorre invece cercare di evitargli l’eventuale caduta, allontanare ostacoli o corpi contundenti dalla testa e dal corpo e posizionarlo su un lato. Se il 30% dei pazienti è farmacoresistente, “almeno il 15-20%” di loro – conclude – potrebbe giovarsi di un intervento neurochirurgico specificamente mirato che consenta la rimozione delle regioni cerebrali dove ha origine la scarica epilettica ed il conseguente controllo delle crisi”.

 

 

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Napoli. Favole per bambine: uguaglianza e lotta ai pregiudizi nel libro ‘Racconti incantati per bambine coraggiose’

Un libro di favole che vuole educare all’uguaglianza, contro i pregiudizi, dal titolo “Racconti incantati per bambine coraggiose”.

LOTTARE CONTRO I PREGIUDIZI ED EDUCARE ALL’UGUAGLIANZA

È questo l’obiettivo del libro di favole per bambine “Racconti incantati per bambine coraggiose” dell’autrice KIRA.

Il libro, disponibile in anteprima ebook su Amazon e presto in versione cartacea su tutti gli store online, è edito da LULù CHE FA STORIE, collettivo letterario che opera in Campania e marchio editoriale.

Il libro è una raccolta di dieci fiabe che RACCONTANO ALLE BAMBINE IL MONDO CHE CAMBIA, affrontando in maniera giocosa temi profondi come l’omosessualità, il bullismo, l’ecologia, il razzismo e perfino la maternità surrogata.
“Racconti incantati per bambine coraggiose” rappresenta UN VIAGGIO VERSO LA CONSAPEVOLEZZA, uno spunto per comprendere meglio se stesse e il mondo fuori, un mondo in continua evoluzione.

Attraverso le storie, LE BAMBINE CAPIRANNO IL VALORE DELLA GENTILEZZA, DELL’AMORE, DELL’EMPATIA E DEL CORAGGIO. E impareranno ad affrontare le sfide della crescita con determinazione, anche a costo di rompere gli schemi, se occorre.

L’obiettivo di questo libro è OFFRIRE ALLE BAMBINE MODELLI POSITIVI E STORIE CHE LE ISPIRINO a credere in se stesse e nelle proprie capacità“, ha dichiarato l’autrice, KIRA, che ha scelto di usare uno pseudonimo per firmare il libro.

In un mondo in cui spesso si sente parlare di odio e discriminazione, dove le donne hanno difficoltà a far sentire la propria voce, a realizzarsi, è importante che le bambine abbiano la possibilità di crescere con un messaggio positivo d’incoraggiamento e di empowerment“, ha aggiunto Kira.

“Il libro è una risposta a coloro che vogliono un futuro diverso, un futuro in cui tutti siano LIBERI DI ESSERE SE STESSI”, ha dichiarato Cristiana Formetta, admin del collettivo Lulù che fa storie. “Vogliamo offrire alle bambine un libro che le ISPIRI A LOTTARE PER UN MONDO PIù GIUSTO E INCLUSIVO”.

Kira è nata in una piccola cittadina ai piedi delle montagne. Fin da giovane, ha sempre vissuto in mezzo alla natura e agli animali. Questa profonda connessione con la natura è diventata una parte essenziale delle favole che oggi racconta a sua figlia.

L’ebook di “Racconti incantati per bambine coraggiose” è disponibile in esclusiva Amazon al prezzo di 2,99€.

La versione cartacea è invece disponibile su tutti gli store online al prezzo di 10 euro.

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