Caserta. ‘Per mille camicette al giorno’: per la Festa della Donna il libro scritto a quattro mani

'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)
Antitetico an-ti-tè-ti-co; SIGNIFICATO In antitesi, opposto, contrapposto; ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino tardo antitheticus, dal greco antithetikós ‘contrapponibile’, da antíthesis ‘opposizione, contrasto’, derivato di thésis ‘posizione’ col prefisso anti- ‘contro’.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Famiglia di ristoratori, il padre cuoco, la mamma casalinga, un ristorante che avevano venduto. Un giovane che tutti ricordano come buono e rispettoso, forse un po’ troppo serio, un po’ taciturno. Elementari e medie in paese, liceo scientifico ad Abano, già giocatore di pallavolo, molto appassionato di montagna e di motocross. Ancora innamorato della sua ex, Giulia Cecchettin, anche lei di anni 22, sua compagna di studi, che dopo un po’ di tira-e-molla, aveva deciso di lasciarlo definitivamente. Ultimamente era molto dimagrito.
«Lui sperava sempre che ci ripensasse» racconta un suo compagno di liceo. «Soffriva le pene d’amore. Ma chi non le soffre?» domanda il suo ex allenatore della Libertas Volley. Due sabati fa si offrì di accompagnarla a prendere un paio di scarpe, le sarebbero servite per la cerimonia di laurea. «Non uscire più con lui», le aveva detto la sorella Elena. «Mi dispiace lasciarlo solo, dice che la sua vita non ha più senso senza di me», aveva risposto lei. Filippo la andò a prendere a casa con la Fiat Punto nera ereditata dal nonno. Alle otto di sera, i due mangiarono un panino al McDonald’s del centro commerciale di Nave De Vero, a Marghera. Nessuno sa cosa si siano detti. Sicuramente, lei voleva andare a frequentare la scuola di disegno di Reggio Emilia. Forse lui provò a convincerla a portarlo con sé. Alle 23.15, i due arrivarono davanti a casa di lei a Vigonovo. La discussione si fece accesa. «Lasciami! Mi fai male!», la sentì urlare un vicino, affacciato alla finestra. Filippo riuscì a caricarla in macchina, guidò per pochi chilometri e infilò una strada deserta nella zona industriale di Fossò, fermandosi davanti allo stabilimento di Christian Dior.
Nella macchina, i due litigavano animatamente. In breve si passò alle mani. Filippo la colpì con uno schiaffo, forse con un pugno. Lei scese dall’auto, provò a scappare. Lui la raggiunse la prese per il cappuccio del giaccone, impugnò un coltello e la colpì con violenza. Giulia cadde a terra, sanguinante e esanime. Lui si guardò attorno, la prese per i piedi, la trascinò fino al retro della Punto, aprì il portabagagli e trovò la forza per sollevarla e gettarcela dentro. Poi tornò al volante, ingranò la marcia e si diresse verso il lago di Barcis, specchio d’acqua artificiale nel cuore della Valcellina, sulle prealpi Pordenonesi, luogo che conosceva perché era andato a fare trekking da quelle parti. Era notte fonda quando arrivò nella zona di Piancavallo. Accostò l’auto vicino a una scarpata. Prese il corpo e lo portò giù, percorrendo una ventina di metri dentro il bosco. Filippo depose quindi i resti della sua fidanzata, coprì il tutto con dei sacchi neri. Poi tornò in auto e partì verso la frontiera, determinato a far perdere le sue tracce (nella notte tra sabato 11 e domenica 12, nella zona industriale di Fossò, Venezia).
«“Quel bastardo l’ha copà come un animale”, dice la signora Antonietta, che pure esce dalla chiesa, facendo il gesto del coltello. “Merita la morte, perché ha dato la morte”, e se ne va» [Brunella Giovara, Rep].
• Mario Palma, 81 anni, dipendente di un ospedale napoletano ormai in pensione, incensurato, solo e senza figli. Fu trovato morto sul pavimento del suo appartamento, faccia in giù, in una pozza di sangue. Il medico legale, spostato il cadavere, constatò segni di diverse coltellate, al volto e alla schiena (ieri pomeriggio, in via Mario Gigante, a Napoli, quartiere Fuorigrotta, a qualche centinaio di metri dallo stadio Maradona).
Una signora, vicina di casa del vecchio, aveva visto macchie di sangue davanti alla porta, si è allarmata e ha avvisato il fratello.
• Antonio Napoli, sessantasei anni, psichiatra, e la moglie Francesca Romeo, sessantasette, guardia medica, da tre decenni in servizio a Santa Cristina d’Aspromonte. Una coppia perbene, senza ombre, insieme fin dai tempi dell’Università di Messina.
Un amore inossidabile. La vita dedicata alla professione. Sabato mattina lei aveva appena finito il turno di notte, lui era andato a prenderla in ambulatorio. Stavano tornando a Sant’Anna di Seminara, dove abitano, a bordo di una Peugeot. Ignoravano che, appostato dietro un muretto nelle campagne vicino al cimitero, un uomo li stava aspettando. Il sicario sapeva che i due sarebbero passati di lì, sapeva che lei sarebbe stata seduta al posto del passeggero. Attese che l’auto imboccasse una curva a gomito e rallentasse. Poi prese la lupara a palla unica che s’era portato appresso e sparò. Il proiettile colpì il lunotto, perforò il vetro senza mandarlo in frantumi, colpì al petto la dottoressa. Il marito, colpito al braccio destro da una scheggia, tentò di sottrarsi al fuoco, accelerò bruscamente, poi fermò l’auto cinquecento metri più avanti. Francesca Romeo è il quarto medico ucciso in Calabria negli ultimi tempi. Nessuno, nella zona, ricorda un altro caso di donna ammazzata a colpi di lupara (attorno alle 8 di sabato mattina, a Santa Cristina d’Aspromonte, Reggio Calabria).
Rubrica a cura di Ferdinando Terlizzi, giornalista, decano dei cronisti giudiziari di “Terra di Lavoro. E’ specializzato in cronaca giudiziaria, ha diretto radio, tv libere, agenzie di stampa, periodici e quotidiani. E’ stato cronista giudiziario, capo redattore, inviato speciale e direttore responsabile della nuova “Gazzetta di Caserta”. Ha collaborato con: “Il Roma”, “Napoli Notte”, “Paese Sera”, “Il Mattino”, ”Il Corriere del Mezzogiorno”, l’inserto a panino del “Corriere della Sera”. E’ cronista giudiziario di “Cronache di Caserta“ e “Cronache di Napoli“. Ha pubblicato “Il delitto di un uomo normale” – Albatros 2009; “Il caso Tafuri” – Editalia 2016; “Le case chiuse”, Stampa Sud 2017; “Delitti in Bianco e Nero” – Editalia 2017. “Vittime Assassini Processi” – Edizioni Eracle 2020 – “Sesso Voyeurismo Follia omicida” – Giuseppe Vozza Editore, 2022.
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“Senti il rombo dell’aereo? Ecco, ora bombardano”: la voce di suor Nabila Saleh, religiosa delle Suore del Rosario viene improvvisamente coperta dal rumore di un aereo israeliano. In collegamento con il Sir, da dentro la parrocchia latina della Sacra Famiglia di Gaza, prova da giorni a raccontare quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Nel complesso parrocchiale hanno trovato rifugio quasi 700 sfollati, un numero cresciuto dopo il raid aereo israeliano al complesso della vicina parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio che ha causato 18 vittime e decine di feriti. “Ogni giorno la situazione si fa più dura e critica. I bombardamenti non si fermano. Ieri i raid di Israele hanno colpito la nostra zona, qui vicino alla parrocchia. Siamo stanchi e afflitti, i bambini non dormono, le famiglie fanno sempre più fatica ad andare avanti sotto le bombe”. Ieri alla comunità cristiana di Gaza sono arrivate le parole del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa: “un po’ di sollievo – dice la religiosa – parole che ci hanno fatto bene all’anima”.
Sotto le bombe. Ma ci sono anche ‘corpi’ da assistere e curare: “Chiediamo che si fermino le bombe e i razzi, la popolazione gazawa è sfinita – implora la religiosa -. Tra i nostri fedeli ci sono anche anziani, disabili gravi, bambini. Piange il cuore a vederli in questa situazione. Mi chiedo che male hanno mai fatto per meritare un simile destino”.
“Dove sono finiti l’umanità, il diritto, il rispetto della vita: dove? Sotto le bombe”.
“Mancano cibo, acqua, elettricità ma si va avanti. Gaza è distrutta, macerie ovunque. L’importante, però, è restare in vita, ci sarà tempo per ricostruire”. “La notte appena trascorsa l’abbiamo passata dentro la chiesa perché razzi e bombe sono esplose qui vicino – aggiunge suor Maria del Pilar, missionaria dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) a Gaza -. Nessuno tra i nostri ha riportato ferite, ma solo tanta paura, specie tra i bambini. Dopo quasi tre settimane di guerra in parrocchia stiamo tutti abbastanza bene e questo lo considero un miracolo. Qui abbiamo circa 700 sfollati, per un totale di 132 famiglie, ognuna di queste con i suoi problemi, pensieri, paure ed educazione. Nonostante ciò la convivenza tiene e ci si aiuta gli uni gli altri, senza risparmio”.
Le telefonate del Papa. La più grande consolazione per i cristiani di Gaza è “la quotidiana telefonata di Papa Francesco per parlare con noi” afferma suor Pilar che proprio ieri ha raccontato direttamente al Pontefice quanto stanno vivendo nella parrocchia: “gli ho riferito anche dei bombardamenti e dei razzi. Ascoltare le sue parole per noi è confortante”. “Il Papa ci chiama ogni giorno – racconta al Sir da Betlemme, dove è bloccato dallo scoppio della guerra, il parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli – ci manifesta la sua preghiera, la sua vicinanza e la sua preoccupazione. Ripete sempre di custodire i bambini e di pregare tanto. Ogni giorno, al termine della telefonata, ci benedice tutti”.
Giornata di preghiera. Un invito, quello alla preghiera, che padre Romanelli raccoglie subito: “Ci uniremo domani a Papa Francesco per la giornata di digiuno e di penitenza, e vivremo anche noi un’ora di preghiera per implorare la pace nel mondo. I primi a farlo sono e saranno proprio i cristiani di Gaza. Sin dalle prime ore del mattino si preparano alla Messa, ce ne sono due al giorno, alla recita del Rosario, all’Adorazione continua”.
“Tutti, bambini, giovani, anziani, famiglie trascorrono il tempo pregando, una preghiera incessante che si alza da ogni angolo della struttura parrocchiale, quasi a rispondere al rumore delle bombe e dei razzi”.
Il parroco ringrazia anche il patriarca latino, card. Pizzaballa, per le sue “parole di vicinanza, di affetto e di impegno concreto per i nostri fedeli arrivate ieri attraverso un videomessaggio”. Il patriarca, ricorda il religioso, “conosce singolarmente tutti i nostri fedeli. Le sue sono parole che escono dal profondo del cuore e che confermano anche l’impegno del Patriarcato latino per la pace in tutta la Striscia di Gaza”. La parrocchia, in questa emergenza umanitaria, cerca di fare il possibile: “Quel poco che si riesce ad avere o acquistare – dichiara padre Romanelli – viene redistribuito a tutti gli sfollati. Per quanto è possibile distribuiamo acqua potabile anche alle famiglie delle zone vicine che vengono a chiedere. La parrocchia è unita al quartiere di al-Zaytoun e ai suoi abitanti cercando di fare il possibile per alleviare le loro sofferenze”.
Aprire corridoi umanitari. Ma è una goccia nell’oceano dei bisogni. Denuncia il parroco: “Il corridoio umanitario aperto al valico di Rafah non è sufficiente a fare fronte ai bisogni della popolazione gazawa. Prima della guerra a Gaza entravano quotidianamente centinaia di camion con aiuti umanitari e non erano sufficienti, come possono bastare oggi solo 20 Tir al giorno? Rafah deve essere sempre aperto perché i bisogni erano enormi prima e oggi lo sono molto di più. Devono essere aperti altri corridoi umanitari”. Ma la prima cosa da fare, per padre Romanelli,
“è fermare i bombardamenti e il lancio dei razzi; serve un cessate-il-fuoco immediato e lavorare per favorire il rilascio degli ostaggi”. Ci sono poi migliaia di feriti che devono essere curati”.
“Lo stop dei combattimenti – ribadisce – è necessario per aiutare la popolazione. Chi è stato costretto a lasciare la propria casa oggi non ha più nulla, nemmeno un po’ di farina che prima poteva trovare nella sua dispensa. La gente ha bisogno di tutto”. “I parrocchiani – rivela il religioso di origini argentine – ci chiedono di ‘pregare e parlare’. ‘Fate pregare tutti coloro che chiedono e credono nella pace, parlate perché si conosca questa drammatica tragedia umanitaria’”. In un’unica parola: “pregate per la pace”.
L’appello. Da qui l’appello di padre Romanelli: “Alla vigilia di questa Giornata di preghiera voglio invitare tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sparsi nel mondo ad unirsi in preghiera per la pace. E soprattutto ad unire alla preghiera sacrifici: chi è malato possa avere la forza di offrire la sua sofferenza, chi può offra digiuni e rinunce perché Dio nella sua misericordia accolga questa preghiera e doni la pace a Israele, alla Palestina, e che cessino i bombardamenti nella Striscia di Gaza”.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
“Un giorno della rabbia da un punto di vista di chi è veramente religioso e tra questi anche i musulmani, non ci può essere. Noi dobbiamo essere uomini di fede, uomini di speranza, uomini che operano per salvaguardare una visione costruttiva di pace comune”. Va dritto al punto senza tergiversare l’Imam Yahya Pallavicini, vice presidente Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana). Subito dopo il bombardamento dell’ospedale al Ahli a Gaza, Hezbollah ha indetto “un giorno di rabbia senza precedenti” e centinaia di manifestanti hanno risposto alla chiamata in Libano, Giordania, Tunisia, Cisgiordania e Iran manifestando per strada e mirando soprattutto alle ambasciate. Una reazione che ha coinciso in Europa con un picco di allerta che ha coinvolto aeroporti, musei e luoghi di culto, in primis le sinagoghe. Il Sir ha contattato l’imam Pallavicini mentre si trovava a Siviglia per partecipare ad un incontro di imam e rabbini europei per confrontarsi con “i terribili eventi in Medio Oriente” e l’impatto che stanno avendo “in Europa, portando a sfiducia e pregiudizi che possono sfociare nella violenza”. “È tempo per noi di esserci l’uno per l’altro nei momenti difficili. Un attacco contro uno di noi è un attacco contro noi tutti”, si legge nel documento finale che è stato diffuso al termine dell’incontro.
(Foto ANSA/SIR)
Imam, ma cosa si intende esattamente per “giorno di rabbia”?
La rabbia è qualche cosa che fondamentalmente istigano i barbari e i criminali, e persone che vogliono lavare il cervello dei popoli per fare delle rivendicazioni, legittime o illegittime, giustificate o non giustificate. Ma alla fine la rabbia provoca soltanto disordine, e mai porta ad una risoluzione positiva. Si tratta quindi di generare un clima di risentimento che in questo caso andrà solo a aumentare o a scatenare violenza e odio su un clima di violenza e odio.
Le immagini sconvolgenti che stanno trasmettendo da Gaza entrano nelle case e vengono viste dalle masse, anche dalle vostre comunità. C’è il pericolo che quanto sta succedendo possa scatenare un odio antisemita, antioccidentale? Siete preoccupati?
Sì, c’è un rischio soprattutto per quello che le immagini stanno narrando. Sono immagini di distruzione e di morte che provocano sgomento sia perché si abbattono su innocenti sia per la modalità così crudele con cui stanno colpendo la popolazione civile. Ma tutto questo, insieme allo sgomento legittimo, dovrebbe provocare un impegno maggiore a porre fine a qualsiasi tipo di odio e conflitto, fosse anche militare, guerriglia terroristica e ripristinare un processo di dialogo che possa portare ad un piano di comunicazione, civiltà, rispetto e riconoscimento reciproco. La preoccupazione a cui lei faceva riferimento, c’è ed è il motivo per cui rabbini e imam d’Europa si sono riuniti a Siviglia.
C’è la preoccupazione che si possa infiltrare una volontà di conflitto e esportare questa guerriglia persino in Europa.
Quale responsabilità viene consegnata ai leader spirituali e religiosi in questo momento di altissima allerta terrorismo in Europa e in Italia
La responsabilità che gli imam devono assumersi è ancora più grande rispetto a quella che avevano in tempo di pace. Stiamo purtroppo vivendo un momento di barbarie e di criminalità organizzata su basi terroristiche che distrugge, uccide e rapisce innocenti. A questa barbarie si sta rispondendo con una ritorsione militare da parte dell’esercito dello Stato di Israele. Scopo dei terroristi è strumentalizzare queste situazioni di crisi per mettere gli uni contro gli altri, ebrei contro musulmani. A fronte di questa strumentalizzazione e radicalizzazione, noi dobbiamo invece avere una grande responsabilità di mediazione e garantire a tutti, ai fedeli e ai concittadini, agli ebrei e ai musulmani e ai luoghi di culto degli ebrei e dei musulmani in Europa di vivere in pace.
Ma siete all’altezza di poterlo fare?
Adesso c’è amarezza, c’è sgomento e di conseguenza c’è il rischio che la paura possa generare ritorsioni.
Questo è qualcosa che dal punto di vista religioso, i leader religiosi sanno. Devono pertanto cercare di prevenire, accompagnando verso la luce, non verso le tenebre.
Avete predicato il dialogo per anni e in questi giorni, nel giro di due settimane, sembra essere ritornati al clima di terrore che l’umanità visse dopo l’11 settembre del 2001. Lei come vede questo tempo?
È pericolosissimo rifomentare in tutta la regione della Terra Santa una polarizzazione tra l’identità del popolo israeliano e palestinese e creare un disordine e una ondata a vasto raggio di violenza e di odio. Noi dobbiamo, al contrario, cercare assolutamente di calmare gli animi e prevenire questa deriva. E pregare perché una pace interiore e una luce dell’intelletto possano ancora ispirare le vite dei credenti e dei cittadini tutti insieme.
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Venerdì 8 settembre 2023, proseguiranno i “Salotti Letterari” di Appuntamenti d’Estate 2023 promossi dal Comune di Minori. In piazzetta Maggiore Garofalo, con inizio alle ore 21.00, protagonista “Prof per un giorno”, libro curato da Alessandra Aceto, Docente di italiano e psicologa. Il volume è stato realizzato interamente dai ragazzi della Classe 2B dell’Istituto Comprensivo “Giovanni Pascoli” di Tramonti, con l’aiuto della loro Docente di italiano Alessandra Aceto, sviluppando in piena autonomia una tematica specifica per un totale di venti argomenti tracciati di cui si compone questa esperienza letteraria: dall’amicizia ai rapporti in famiglia, dalla comunicazione alla scuola al tempo del Covid-19, dal razzismo ai videogiochi. “Immedesimatevi nel Prof e lo diventerete” è stato, in altri termini, il mantra che ha accompagnato i ragazzi di Tramonti in un’esperienza letteraria tutta da vivere con grande coinvolgimento e passione. I venti argomenti trattati sono tutti accompagnati da disegni realizzati dagli stessi alunni, sotto la guida della docente di Arte e immagine Anna Moscato, che ha ideato anche la prima di copertina, che ritrae i volti di tutti i ragazzi, e la quarta ove campeggia la frase “L’abbraccio autentico simboleggia un’apertura al mutuo soccorso tra alunni che, se ben accolto ed accettato, spalanca le porte alla costruzione del benessere tra i pari”. Con la curatrice del libro Alessandra Aceto e l’architetto Anna Moscato si intratterrà Alfonso Bottone, scrittore e direttore organizzativo di …incostieraamalfitana.it. Interverranno gli alunni della Classe 2B dell’Istituto Comprensivo “Giovanni Pascoli” di Tramonti. Con i saluti del Sindaco di Minori Andrea Reale e la collaborazione della Pro Loco di Minori.
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Sul limitare del bosco, nei prati che sovrastano il piccolo abitato di Malosco (Tn), mi incuriosisce un cartello realizzato in plastica trasparente. Riporta i simboli dei principali social media (Instagram, Facebook e Twitter) e la scritta “In Val di Non, nei luoghi più belli, il cellulare non prende. Ritorna ad apprezzarli con gli occhi, con il cuore e con la mente”. Quello che poteva essere un disagio è stato qui trasformato intelligentemente in un’opportunità, in un valore aggiunto a qualche giorno di riposo e di vacanza immersi nella natura. A fianco, un altro cartello indica cosa fare nel caso di incontro con un orso. Il rischio oggi è, per tutti, indubbiamente molto alto. Non quello di un faccia a faccia con un plantigrado, ma quello di vedere e di vivere sempre le cose attraverso la mediazione di un dispositivo elettronico (del suo schermo e della sua fotocamera) e di dover in tempo reale “condividere” con altri quello che si sta vedendo, facendo, perfino mangiando. Quasi che, se gli altri non lo sanno, la mia esperienza sia meno reale, il panorama meno bello, il mio pasto meno gustoso. E siamo sinceri, questo non è (solo) un problema dei giovani. Il cellulare, o sarebbe meglio dire lo smartphone, ovvero questo dispositivo elettronico che per sbaglio funge anche da telefono, ma che ci permette di scattare foto e realizzare filmati, ascoltare musica e guardare video, compiere pagamenti e altre operazioni bancarie, trovare la strada giusta, consultare il meteo, monitorare la nostra attività fisica e mantenere appunto in ogni momento attiva la nostra rete sociale attraverso i social e svariate app di messaggistica – incorporando così in un unico aggeggio le funzioni di telefono, macchina fotografica, cinepresa, sveglia, computer, TomTom e iPod (e chi se li ricorda più questi ultimi?), barometro e cardiofrequenzimetro… – è diventato per la maggior parte di noi una sorta di protesi, inseparabile e indispensabile. Tanto che quando non c’è rete, quando WhatsApp non funziona o addirittura quando è lo stesso telefono a non volerne sapere di accendersi (pare che moltissime persone non lo spengano mai neppure di notte), l’ansia e il panico si diffondono rapidamente, a tutte le età. Ma è proprio in quei luoghi e in quei momenti che puoi avere la grazia di riprendere contatto con la realtà, di renderti conto che il mondo esiste, gli altri esistono e perfino tu esisti, anche quando sei disconnesso e non raggiungibile; che i panorami si possono fissare nella mente e nel cuore; che il silenzio può diventare la più bella colonna sonora di un momento speciale. La buona notizia è che questa condizione può essere non solo il positivo effetto collaterale di un disservizio tecnologico, ma anche il frutto di una libera scelta. Gli esperti di comunicazione la chiamano “digital detox”, ovvero “disintossicazione digitale” e pare sia praticata da un numero crescente di persone di tutte le età che decidono per un periodo più o meno lungo (in genere un weekend o un’intera settimana di ferie) di spegnere del tutto o limitare al massimo l’utilizzo del telefono, del computer e di ogni altro dispositivo elettronico. E per non “cadere in tentazione” si può addirittura decidere di lasciarli a casa, comunicando, come si faceva un tempo, un proprio recapito in caso di autentiche emergenze. All’inizio potrà risultare difficile, ma i benefici, assicurano gli psicologi, saranno una maggior attenzione a ciò che ci circonda, meno ansia, miglior capacità di rilassarsi e più disponibilità nel vivere a pieno il rapporto con chi si ha vicino. E forse anche una maggiore facilità di “connessione” con Dio. Penso proprio valga la pena provare!
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Lutto cittadino nel Comune di Sant’Antimo, in provincia di Napoli.
«Nella triste occasione dei funerali di Giulia Tramontano, è stato proclamato il lutto cittadino per la giornata di domenica 11 giugno 2023.
Esprimendo ancora il profondo cordoglio per la tragica scomparsa della cara Giulia e del piccolo Thiago in occasione dei funerali, che avranno luogo alle ore 15.00 presso la parrocchia “S. Lucia” in forma privata, si invita la cittadinanza tutta ad evitare comportamenti che contrastino con lo spirito del lutto cittadino e con il dolore dei familiari”. Così il sindaco Massimo Buonanno.
Anche il nome di Thiago, il bimbo che Giulia portava in grembo, sul manifesto funebre.
Due le comunità unite dalla tragica vicenda della giovane madre uccisa dal fidanzato a Senago, in provincia di Milano, che nel giorno dell’addio si stringono attorno ai suoi cari.
Nella stessa ora del funerale, a Senago, si è tenuta una veglia spontanea da parte della popolazione.
Visibili i gonfaloni dei Comuni di Sant’Antimo e Senago ai lati dell’ingresso della parrocchia dove, tra rose bianche e candele ovunque, un lungo drappo bianco e rosa recava la scritta “L’amore non priva ma regala, protegge non uccide. Tutti uniti per Giulia e Thiago”.
Una comunità sconvolta quella di Sant’Antimo per l’omicidio di Giulia.
Alla fiaccolata di giovedì, in suo ricordo, hanno partecipato oltre 20mila persone.
In molti stanno chiedendo al sindaco di individuare uno spazio per un murale commemorativo.
La cerimonia è stata presieduta dal vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, e dal parroco don Salvatore Coviello.
Essa ha avuto luogo in forma strettamente privata, rispettando il desiderio della famiglia.
In chiesa c’erano la mamma, il padre, la sorella e il fratello di Giulia e sono entrate solo le persone autorizzate dai parenti.
Il sindaco della Città Metropolitana di Napoli, Gaetano Manfredi, non ha partecipato ai funerali, osservando la volontà della famiglia di Giulia.
Egli ha voluto però rendere omaggio a Giulia e ai suoi familiari con un messaggio:
“Nel pieno rispetto per la scelta di celebrare funerali in forma privata, rivolgo un abbraccio alla famiglia di Giulia Tramontano e all’intera comunità di S. Antimo che si è ritrovata unita dopo questo dramma che ha colpito ciascuno di noi. Da parte delle Istituzioni, massimo impegno per proseguire il percorso di prevenzione e ascolto per le donne vittime di violenza”.
“Non ci sono parole davanti a gesti del genere. Non sono giustificabili. Giulia può essere indicata come una testimone, una martire”. Così il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo.
Su uno dei numerosi striscioni affissi all’esterno della chiesa, si vedono le immagini di Giulia e del piccolo Thiago, con le ali da angelo. Sopra, la scritta: “Chiudiamo gli occhi Thiago…Li aprirai in un posto migliore…promesso”.
Lungo e commosso l’applauso che ha accompagnato l’uscita della bara di Giulia dalla chiesa. E il cielo che si punteggiava di bianco con le centinaia di palloncini in volo: alcuni uniti a rose a formare un enorme rosario con cui omaggiarla, e dare a lei e al suo piccolo l’ultimo saluto.
Le parole della sorella Chiara: “Grazie a tutti per l’affetto che ci avete dimostrato in questi giorni atroci.
I vostri pensieri ci hanno inondato di amore e vicinanza.
Ora però è il momento dell’ultimo saluto intimo e straziante a Giulia e Thiago e vorremmo viverlo insieme ai parenti ed amici più stretti.
Siamo certi che capirete, perché in questi giorni avete dimostrato di saper vivere il nostro stesso dolore, operare il nostro stesso silenzio e commemorare Giulia con amore e rispetto”.
L’articolo Sant’Antimo, l’affetto di due comunità nel giorno dell’addio a Giulia e al suo piccolo Thiago proviene da BelvedereNews.
di Franco Corleone
L’Espresso, 11 giugno 2023
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Abbiamo celebrato la Pentecoste e la Chiesa, dopo il periodo quaresimale e pasquale, riprendendo il cammino ordinario, ci aiuta a vivere, sull’esempio di Gesù, nella consapevolezza dell’amore fedele di Dio.
Lo Spirito Santo inviato dal Risorto ci sostiene nella missione che ci è stata affidata con il Battesimo. In questo percorso fatto di luci ed ombre possiamo far memoria di quanto dice Papa Francesco: “Lo Spirito ci trasforma nel profondo, apre il cammino della preghiera, ci fa sperimentare la gioia commovente di essere amati da Dio come veri figli. È Lui che porta al presente Gesù nella nostra coscienza, […] lo porta oggi, adesso, in questo momento nel nostro cuore e ci fa incontrare con Cristo”.
Durante il tempo pasquale che cosa è cambiato nella nostra vita di credenti?
Come abbiamo ascoltato e incarnato la Parola del Signore nel quotidiano?
Incontrando gli altri, siamo stati riflesso con la nostra esistenza della prossimità del Padre come ci ha insegnato Gesù?
È il senso della nostra vita, Cristo e il Vangelo, che ci permette di essere cristiani consapevoli di quanto accade dentro di noi, infatti lo Spirito di Dio ci abita, ci attraversa e ci invia. Il silenzio profondo, a livello personale, ci consente di individuare tra le tante voci quella dello Spirito che continuamente ci aiuta a pensare, a progettare, ad agire, ad amare come Gesù, a donare realmente la vita per i fratelli e le sorelle che troviamo lungo i nostri passi.
Il Risorto, che ci conduce sulle strade asfaltate o dissestate per annunciare con la vita il Vangelo, ci dona la forza per essere autentici portatori del suo amore anche nelle difficoltà. Perché ciò si realizzi nell’ordinarietà, ci chiede di verificare se la nostra esistenza di battezzati è unificata in Lui, se ogni giorno ci impegniamo in un cammino di fede autentico.
Spesso consumiamo la maggior parte delle energie, per inseguire il benessere individuale. Siamo sempre in movimento e non riusciamo a sentire la terra sotto i piedi, né a prefiggerci obiettivi da raggiungere, per dare significato alla vita. A volte manca il contatto con l’esistenza reale e ognuno si costruisce un mondo dove può fare solo ciò che piace.
Abbiamo bisogno di imparare ad alzare il volto per incontrare con gioia quello degli altri, per riscoprire insieme che la vita è un dono, che ovunque è presente il Signore che segue con amore la vita di ogni vivente, che lo Spirito ci invia nelle storie di ogni giorno per portare la gioia, la speranza. Bisogna essere portatori di un modo altro di vita, per far toccare con mano che è possibile stabilire relazioni gratuite, custodendo i diritti personali nel rispetto della cura del bene comune.
Lo Spirito ci invia a dare la vita per l’altro come Gesù, a dimostrare con i fatti che l’altro mi interessa, parafrasando don Milani.
Non si può essere animati dallo Spirito e rimanere a guardare gli eventi della storia. Se siamo fondati in Cristo, siamo chiamati a costruire la storia con il Vangelo. In questo tempo è necessario un apporto culturale che porti l’essere umano ad aprirsi ad ogni altro, a rispettarlo, ad accoglierlo, ad incontrarlo nella gratuità. Tutti, sull’esempio della Trinità, siamo impegnati a rendere visibile l’amore: nessuno può difendere il proprio orticello se non cura quello dell’altro.
In questo tempo è urgente la testimonianza attiva dei cristiani nella stabilità o nell’itineranza. Ognuno è chiamato a vivere ovunque con passione il Vangelo, a rendere credibile nella storia la presenza di Dio con la propria vita e riconoscerla negli altri, ad incarnare il pensiero, i sentimenti e l’agire di Cristo.
Gesù ci ha consegnato il Vangelo e ci chiede di viverlo.
Vivere il Vangelo è trovare in ogni momento il canale che permetta di rimanere in relazione, senza contrapporsi agli altri, poiché la verità e la giustizia si coniuga sempre con la carità.
Vivere il Vangelo è raggiungere i luoghi dove le persone sono schiacciate nella loro dignità, per cercare con passione le modalità che consentono di ricomporre in loro l’immagine e somiglianza di Dio spesso bistrattate.
Vivere il Vangelo è custodire il creato, perché si possa cogliere ovunque la bellezza del Creatore.
Vivere il Vangelo è costruire con responsabilità un mondo di pace con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Vivere il Vangelo è ringraziare il Signore per il dono della vita, dell’umanità che è in noi e metterla a servizio degli altri.
Come intendiamo vivere il tempo ordinario quest’anno?
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Per la prima volta nella storia, eccezionale avvistamento di una lontra eurasiatica (Lutra lutra) lungo la costa di ponente di Barletta in prossimità della Foce del Fiume Ofanto. A immortalarla è stato Vito Rizzi, fotografo di professione, amante della natura per indole: la testa che sbuca dall’acqua, una nuotata prima di aggrapparsi alle rocce e la prontezza di prendere lo smartphone per eseguire uno scatto. Un segnale chiaro e tangibile dell’ottimo stato di salute in cui versa questo tratto di costa ove nientemeno che le lontre provenienti dal Parco Naturale del Fiume Ofanto, iniziano a farsi fotografare anche di giorno (nonostante le loro abitudini crepuscolari e notturne). Infatti, lo scatto è avvenuto alle 10 del mattino. La lontra è da sempre considerata la “specie bandiera” degli ecosistemi fluviali, una specie bio-indicatrice di ambienti sani e “naturali”; questo avvistamento non può che considerarsi di buon auspicio e dimostrazione che si sta percorrendo la giusta strada nella gestione del territorio attraverso le aree protette. È chiaro che in futuro si apriranno nuovi scenari per la valorizzazione del territorio e la destagionalizzazione anche grazie a queste nuove ed appassionanti presenze. L’avvistamento, non frequentissimo in Puglia, risale a pochi giorni fa, ma assume un importante valore simbolico per come la popolazione di questa specie, considerata molto vulnerabile, stia pian piano tornando a fare capolino in molte zone del Paese. Secondo gli esperti che collaborano con le Istituzioni provinciali e con il Parco Naturale del Fiume Ofanto, la presenza della lontra alla foce può essere anche legata, però, a cambiamenti climatici che incidono sull’habitat e inducono la fauna a modificare le proprie abitudini: la presenza di specie alloctone che rappresentano nuove fonti di cibo, come il granchio blu di cui le lontre sono ghiotte e che si è insediato alla foce dell’Ofanto, può aver indotto l’animale a spingersi fino alla costa. Proprio l’avvistamento di una lontra in quelle condizioni è certamente un fatto eccezionale che infonde speranza ma ci chiama anche ad indagare sulle cause, spingendoci in campi inesplorati alla ricerca di una nuova possibile armonia tra uomo e natura.
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Se c’è l’antitetico ci sarà anche il tetico, no? E anzi capire il tetico dovrebbe essere imprescindibile per capire l’antitetico, giusto? Giusto, tendenzialmente. Ma l’antitetico è un termine con un’allure speciale.
Ha senz’altro il pedigree di un’alta e nobile famiglia filosofica, e oltretutto è evidentemente un anti-, un contrario; eppure sa entrare nei nostri discorsi senza portarsi dietro per forza tutto l’ingombro del suo albero genealogico — insomma, ha il sangue blu ma è alla mano. Al contrario, ad esempio, proprio del tetico.
‘Tetico’ è un grecismo passato attraverso il latino tardo e recuperato come voce dotta: deriva da thetikós, aggettivo fondato su thésis (da cui naturalmente la nostra multiforme ‘tesi’) e che avrebbe tutta l’ampiezza di significato di un ‘relativo alla tesi’, ma che finsice per concentrarsi su degli usi specialistici. In musica e nella filosofia idealista, come anche in logica, trova un bello spazio, identificando tempi, fasi dialettiche, giudizi.
Ad ogni modo, dal rapporto tesi-tetico, traiamo che l’antitetico dovrebbe essere qualcosa di relativo all’antitesi, quindi.
È un ‘quindi’ giusto, ma facciamo (ancora) questo rilievo. L’antitesi sa aprirsi ai contesti non tecnici: può essere una mera contrapposizione, senza eccessive profondità filosofiche o retoriche. Ma è questo il nobile lignaggio a cui appartiene. Ha una consistenza che è principalmente e immediatamente filosofica (anche per l’antitesi l’idealismo si sdilinquisce) oppure retorico (noi l’antitesi l’abbiamo trattata in passato proprio in quanto figura retorica). L’antitetico sviluppa questo carattere formidabile: ha un significato semplice. Può dirsi antitetico ciò che costituisce tecnicamente un’antitesi filosofica o retorica, certo, ma è un richiamo non così marcato. Anzi l’estensione generalista che ce lo mostra come ‘opposto’ o ‘contrapposto’ è decisamente robusta, nell’uso. E così arriviamo alla situazione per cui un nobile termine di antichissima famiglia greca, filosofica e retorica, entra nei nostri discorsi. E lo fa dando loro un tono, certo, ma senza troppe pretese, senza le forche caudine di significati specifici che possano essere padroneggiati solo con un retroterra culturale di caratura non piccola.
Posso parlare di come io abbia difficoltà ad accettare opinioni antitetiche alla mia; i giornali, parlando della persona in vista, indugiano sui suoi comportamenti antitetici ai principi che dichiara di difendere; e due inclinazioni antitetiche mi lacerano. Poi naturalmente, in senso più tecnico, posso parlare di come due enunciati siano antitetici, o di come un film sia giocato su parallelismi antitetici.
Il tratto nobile e ricercato del termine resta. Pur significando qualcosa di semplice, si affranca dai riferimenti più prêt-à-porter di opposizioni, contrapposizioni e contrari. Però non mostra particolare snobismo: davvero una bella risorsa.