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'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)

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Una regione montuosa con un piccolo pezzo di costa che si affaccia sull’Adriatico. Solcata dai caratteristici “tratturi”, i percorsi storici della transumanza che uniscono i pascoli abruzzesi ai pugliesi, rimane un “piccolo mondo antico”.

Siti archeologici, abbazie e borghi – uniti alle due stazioni sciistiche di Campitello Matese e Capracotta – fanno del Molise un gioiello dell’Italia d’entroterra.

Cosa assaggiare in Molise

Caciocavallo di Agnone: un formaggio DOP dal sapore intenso e leggermente piccante. Ottimo da gustare da solo o grattugiato sui primi piatti.

Ventricina del Colletorto: un salume pregiato, dal sapore intenso e leggermente piccante. Perfetta per antipasti o per arricchire primi piatti.

Tartufo bianco: il Molise è una delle zone più vocate alla produzione di tartufo bianco, un tesoro per i palati più raffinati.

Olio extravergine d’oliva: l’olio molisano è un prodotto di alta qualità, con un sapore fruttato e intenso.

Vino: questa regione produce vini rossi e bianchi di grande qualità, come il Pentro e il Tintilia del Molise.

Tra i piatti e i dolci tipici

Brodetto di pesce: un piatto ricco e saporito, preparato con un mix di pesce fresco e verdure. Ideale per gli amanti del pesce.

Pallotte cacio e ova: un classico della cucina molisana (e abruzzese), queste polpette di formaggio e uova sono un comfort food irresistibile.

Torcinelli: un piatto povero della tradizione contadina, a base di interiora di agnello. Oggi sono considerati una vera e propria specialità.

Cicerchiata: una palla di pasta fritta ricoperta di miele e granella di mandorle, un dolce tipico delle feste.

San Vincenzo al Volturno

Cosa vedere in Molise

Abbazia di San Vincenzo al Volturno: un gioiello dell’architettura benedettina, situata in una valle incantata. L’abbazia è un luogo di pace e spiritualità, dove potrai ammirare reperti archeologici e affreschi di grande valore.

Agnone e la Pontificia Fonderia Marinelli

Ferrazzano: questo borgo medievale è famoso per il suo castello, uno dei più imponenti del Molise. Il Castello Carafa è un vero e proprio baluardo, con torri e mura massicce.

Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia: uno dei più importanti al mondo per lo studio della preistoria. Qui è possibile ammirare reperti unici, come l’Omino di Isernia.

Riserva regionale Oasi WWF Guardiaregia-Campochiaro

Termoli: un borgo marinaro con un caratteristico centro storico e un porto turistico.

Trabucchi (tra Termoli e Campomarino): sono antiche macchine da pesca, vere e proprie opere d’ingegneria, costituite da una piattaforma in legno sorretta da pali, sulla quale veniva stesa una rete per catturare il pesce. Originariamente utilizzati dalle popolazioni costiere per la pesca, oggi rappresentano un’attrazione turistica unica e un simbolo della tradizione marinara del Molise.

Il contadino molisano è ordinariamente taciturno; non dice che l’indispensabile; abitante di una terra difficile, aspra, scoscesa, rotta, a pendii rocciosi, a sassaie aride, ha nelle vene l’asprezza della lotta per vivere.

Francesco Iovine, scrittore

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Gnocchi con crema di zucca, Pecorino, guanciale croccante e noci

Un vero comfort food questo piatto da portare in tavola ogni volta che si ha voglia di coccole. La sapidità del formaggio e del guanciale che si contrappone alla dolcezza della zucca, un imperdibile abbinamento!

Ingredienti per 2 persone

Una fetta grande di zucca

400 g di gnocchi
200 g di stick di guanciale Negroni
40 g di Pecorino + 1 una tazzina di latte caldo
olio extravergine di oliva e sale q.b.
Pecorino grattugiato q.b.
rosmarino e pepe nero q.b.
6/7 noci

Tagliare la zucca a cubotti, cuocerla in padella con un giro di olio, un pizzico di sale, il
rosmarino e acqua calda q.b. finché si sarà ammorbidita, poi frullarla ottenendo una crema.
Cuocere gli stick di guanciale in padella, senza altri grassi, a fuoco dolce, finché risulterà
ben dorato. Mettere da parte su carta assorbente.
Aggiungere il Pecorino grattugiato in una ciotolina, un pizzico di pepe nero e amalgamare
con una tazzina di latte caldo, ottenendo una cremina abbastanza densa. Se necessario
aggiungere ancora latte q.b. per ottenere la consistenza desiderata.
Cuocere gli gnocchi, mancarli con la crema di zucca, un filino di olio e una spolverata di
Pecorino. Impiattare aggiungendo la cremina di formaggio, gli stick di guanciale croccante, qualche noce sminuzzata molto grossolanamente, un filo di olio e un pizzico di pepe nero a piacere.

La ricetta è di Samantha Puleo del blog Il mio piatto a colori

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La storia del Museo di Piana delle Orme, in provincia di Latina, inizia con la passione collezionistica di Mariano De Pasquale, un floricultore laziale che nel corso della sua esistenza era riuscito a raccogliere una straordinaria quantità di oggetti, macchinari e veicoli del passato.

Erano diventati talmente tanti che nacque l’idea di farne un’esposizione aperta al pubblico. La creazione del Museo di Piana delle Orme amplificò il progetto fino a livelli impensabili. Oggi vi si trova una delle più grandi (se non addirittura la più grande) raccolte di veicoli della seconda guerra mondiale perfettamente restaurati.

Ma non solo. La collezione si è estesa a giocattoli d’epoca, attrezzature e veicoli agricoli, reperti storici di ogni genere inseriti in un preciso percorso storico-tematico. Ben 50 anni di storia vengono sfogliati a ogni passo riaccendendo ricordi di oggetti e di eventi raccontati dai nonni o studiati sui libri di scuola.

50 anni di storia a Piana delle Orme

Un primo padiglione è dedicato ai giocattoli d’epoca, migliaia di pezzi perfettamente conservati, tra cui soldatini, modellini, bambole, trenini che riportano a un’epoca in cui il gioco era un concetto molto più semplice e autentico di oggi.
Segue un lungo percorso nella storia della bonifica dell’agro pontino, realizzata durante l’epoca fascista.
In quel periodo vennero eliminati stagni e acquitrini, bonificate le zone malariche e malsane, vennero create nuove città e si incentivarono lavoratori di altre regioni italiane a colonizzare questo territorio diventato finalmente fertile.

Nell’area espositiva sono state ricreate le abitazioni, le stalle e gli ambienti con posizionamento dei mezzi agricoli dell’epoca e foto storiche. A questa sezione è collegata quella dei mezzi agricoli, con una impressionante collezione di trattori e macchine agricole antiche.


Se fin qui ci si è stupiti, quello che segue, ovvero le collezioni dedicate alla seconda guerra mondiale, lascia davvero senza parole.

La sezione dedicata alla Seconda Guerra Mondiale

Centinaia di veicoli militari di ogni tipo, cannoni, carrarmati, strumentari perfettamente restaurati con allestimento di scene di guerra estremamente realistiche. Una sala apposita è stata dedicata a quello che forse è il carrarmato più raro del mondo: un prototipo americano di carrarmato anfibio con tanto di eliche che affondò nel golfo di Salerno e fu ritrovato decenni dopo grazie all’ostinazione di tre subacquei salernitani. Recuperato dalle profondità del mare e oggi perfettamente restaurato.

Le sezioni dedicate alla seconda guerra mondiale sono suddivise in momenti specifici del conflitto: da El Alamein a Salerno, lo sbarco di Anzio, la battaglia di Cassino.
Una sezione è dedicata anche al terribile tema della deportazione e internamento degli ebrei.

All’esterno dei padiglioni si trova una ricca collezione di aerei che completa la grandissima raccolta.


Per gli appassionati esiste la possibilità di acquistare cimeli originali dell’epoca del conflitto.
Per quanto la guerra in tutte le sue declinazioni sia sempre un tema allo stesso tempo orribile e delicato da trattare, il Museo di Piana delle Orme si fa apprezzare soprattutto per la ricchezza del materiale esposto e il contesto storico perfettamente spiegato con la presenza di numerosi pannelli esplicativi.

Ma dopo la guerra cos’è successo?
Il Museo di Piana delle Orme si sta interessando anche a questo, allestendo un nuovo interessantissimo padiglione che sarà dedicato al dopoguerra, pronto tra qualche mese.
La lunghezza della visita non deve spaventare: l’area è piacevolmente allestita con un punto di ristoro che permette di sostare e rifocillarsi in qualsiasi momento.
Di certo si tratta di una esperienza che non lascia indifferenti, anzi, rimarrà indelebile nei ricordi per tanto, tantissimo tempo e la cui funzione educativa la rende adatta anche a ragazzi e bambini.

Alla scoperta del Lazio

con i racconti di Roberto Pellecchia

La Critpa dei Cappuccini a Roma, dove l’arte si fonde con la morte

Tra i Castelli Romani a Nemi, il paese delle fragole

La doppia magia di Torre Alfina

A Calcata nella Tuscia Tiberina

A Bomarzo nel Parco dei Mostri

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Ai Castelli Romani il titolo di ‘Città del Vino’ per l’anno 2025; ad ottobre l’ambìto riconoscimento

I Castelli Romani sono ufficialmente la Città Italiana del Vino 2025.

La nomina sarà formalizzata il 27 ottobre a Stresa (VB), in occasione della Convention Città del Vino.

La candidatura ha coinvolto dieci comuni della provincia di Roma, con Marino come capofila e Nemi nel ruolo di coordinatore, affiancati dai comuni di Ariccia, Colonna, Frascati, Genzano di Roma, Grottaferrata, Lanuvio, Lariano e Velletri.

Il 2025 sarà un anno all’insegna dei Castelli Romani come Città del Vino italiana. Un territorio di grande valore, con una candidatura vincente che coinvolge 10 comuni”, ha dichiarato Angelo Radica, presidente dell’Associazione Città del Vino. “Questo territorio esprime grandi potenzialità non solo nel settore enologico, ma anche dal punto di vista socio-economico, turistico e ambientale, sempre alla ricerca della sostenibilità”.

Castelli Romani e la viticoltura

I Castelli Romani rappresentano una delle zone vitivinicole più prestigiose d’Italia, con denominazioni di rilievo come il Frascati DOCG e il Marino DOC. Complessivamente, il territorio vanta 2 DOCG e 7 DOC, simbolo di una tradizione secolare che ha saputo innovarsi mantenendo viva la sua identità.

Dalle storiche vigne urbane a una visione moderna e sostenibile, i Castelli Romani hanno saputo coniugare tradizione e innovazione“, ha aggiunto Radica.

Il programma per il 2025 prevede un ricco calendario di eventi, che coinvolgeranno tutti i dieci comuni, valorizzando la cultura del vino e attirando visitatori ed esperti da tutta Italia e dall’estero. Questo darà ulteriore impulso alla promozione del territorio, creando nuove opportunità per il settore vitivinicolo locale e per l’enoturismo.

Il comune di Marino

Il comune di Marino, capofila della candidatura, si trova in un momento particolarmente significativo, come ha sottolineato il sindaco Stefano Cecchi: “Siamo onorati di essere il comune capofila della Città Italiana del Vino 2025, in concomitanza con i festeggiamenti per i 100 anni della nostra Sagra dell’Uva. Un ringraziamento speciale va al presidente Radica e alla commissione per aver riconosciuto il valore del nostro progetto.”

Cecchi ha poi espresso il suo orgoglio per il passaggio di testimone dai comuni del Gran Monferrato e dell’Alto Piemonte, terre di grande prestigio nel mondo del vino, e ha sottolineato l’importanza di questo titolo per tutto il territorio dei Castelli Romani.

Un futuro di eventi e promozione enoturistica

Il 2025 sarà dunque un anno cruciale per i Castelli Romani, che vedranno un calendario di eventi enogastronomici e culturali per celebrare e promuovere il patrimonio vitivinicolo locale. Questa nomina non solo rafforzerà la reputazione dei Castelli Romani nel panorama vitivinicolo nazionale, ma contribuirà anche a dare nuovo slancio al turismo e all’economia locale.

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(In foto uno scorcio del comune di Nemi – Fonte: RosmarinoNews – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

Trent’anni. Pochi? Molti? Dipende, da quale punto di vista si guarda al complesso e variegato mondo della birra artigianale italiana. Ma, al di là di tutte le riflessioni personali possibili, nella recente pubblicazione di Alessandra Agrestini, è possibile ritrovare l’evoluzione meticolosa del settore, narrata assieme ai suoi più appassionati protagonisti.

È, sopra ogni cosa, un libro da cui apprendere la storia della birra artigianale italiana. I primi timidi tentativi, i pionieri, la legge che ha dato il via libera alla complessità dell’attuale produzione.

Da Baladin a Birrificio Italiano ai marchi storici recuperati come Puddu e Ronzani, dalle birre alle castagne al concetto di artigianalità, questa pubblicazione sin da subito si fa spazio in una ideale biblioteca che si rispetti dedicata alla cultura brassicola italiana.

Scorrendo le pagine si cresce insieme ad un prodotto (e ad un piccolo esercito di mastri birrai) che, in Italia, ha trovato una nuova identità e non ha nulla da invidiare ad altre culture, se non la storia.

Diversi i contributi di altri esperti del settore, che impreziosiscono ancor di più il volume e lo rendono corale e ancora più autorevole.

Un libro che mancava e che ha fatto il punto, dando spunto a moltissime riflessioni sia a chi è del settore che ai semplici appassionati. Dopo trent’anni c’è una maturità che porta maggiore lucidità e consapevolezza al settore e che servirà per dare il via a nuovi approcci, senza mai dimenticare il percorso fatto.

Particolarmente interessante è la selezione (chiaramente sofferta, l’autrice spiega bene quanto sia stato complicato fare delle scelte, non soltanto in questa occasione) di 30 birre iconiche che possano sintetizzare questo primo pezzo di storia dell’artigianale italiana. Ne citiamo soltanto qualcuna: Beerbera (Loverbeer), Friska (Barley), Margose (Birranova), Syrentum (Birrificio Sorrento), Fovea (Rebeers).

Citazioni

“La creatività italiana, unita alla mancanza di un ancoraggio a una tradizione forte e diversificata o forse proprio per questo, ha reso nel giro di poco tempo l’Italia uno dei Paesi più interessanti dal punto di vista brassicolo. (…) Quello che forse si poteva invece evitare era, a mio avviso, un certo settarismo strisciante, un’impostazione ideologica cha ha poggiato a lungo sulla contrapposizione con l’industria di settore, la suggestione che la birra artigianale fosse una pura rivoluzione culturale e non anche la semplice scoperta o intuizione di un segmento commerciale inesplorato”

Dalla Prefazione di Maurizio Maestrelli

“Sono fortemente convinto che l’Italia abbai tutte le potenzialità per diventare uno dei Paesi più significativi per la produzione della birra, a livello mondiale. Non supererà mai l’importanza storica di Belgio, Germania e Inghilterra (forse alla lista vanno aggiunti anche gli Stati Uniti), ma certamente può avvicinarsi molto a quel gotha. A patto che i nostri birrifici non si limitino a riprodurre stili già noti e codificati altrove, ma che invece investano in prodotti dalla forte identità, riconoscibili immediatamente come frutto del Made in Italy. Birre come la Tipopils di Birrificio Italiano o Xyauyù di Baladin hanno riscritto le regole del gioco, innovando un pensiero e creando qualcosa di nuovo”.

Dal capitolo “La filiera della birra italiana” di Luca Giaccone

Chi è Alessandra Agrestini

Bellunese di nascita, bolognese di adozione. Consulente birrario free-lance, docente, formatore e giudice, promuove il Made in Italy birrario a livello internazionale attraverso seminari e conferenze.

Collabora con numerose associazioni, riviste, web magazine e libri a tema, da oltre quindici anni. Nel tempo libero viaggia, seguendo la sua seconda passione: il vino.

Di cotte e di crude

30 anni di birra artigianale italiana

Novembre 2024 – Maggioli Editore

www.maggiolieditore.it

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Possiamo definire il pancotto come una sorta di zuppa tradizionale italiana, lo si ritrova in innumerevoli varianti in gran parte delle regioni d’Italia.

Se ogni regione ha il suo, vi sono poi le tradizioni di piccole aree e di specifiche famiglie che hanno trasformato questa pietanza di recupero del pane duro in un piatto del ricordo.

In Puglia, ad esempio, il pancotto è un PAT ed è realizzato con le verdure, qui potete trovare la ricetta e visionare anche la video ricetta:

PIATTI TIPICI. Pancotto con rucola e patate

VIDEORICETTA. In cucina con Lucia: il pancotto alla pugliese

In Basilicata si aggiungono peperoni cruschi e cime di rapa, molti prevedono l’aggiunta di brodo.

In Campania in genere la ricetta prevede soltanto il pane, il brodo ed il formaggio. In taluni casi si trova l’aggiunta di cipolla e di uova.

Come preparare il pancotto con l’uovo

Ingredienti per 4 persone

pane raffermo (4 fette grandi)

2 uova

2 cipolle bianche piccole (oppure una se di grandi dimensioni)

olio evo q.b.

formaggio grattugiato q.b.

brodo vegetale o acqua q.b.

Soffriggere qualche minuto olio evo e cipolle tagliate finemente. Aggiungervi un po’ di brodo fino a coprire il tutto e portare a bollore. In base alla grandezza dell’ortaggio lasciate cuocere.

Quando saranno ben appassite, aggiungere i pezzetti di pane raffermo, infine aggiungere le uova sbattute ed il formaggio grattugiato.

Aggiustare con del pepe nero se di gradimento, mescolare il tutto per qualche minuto e servire.

Varianti: se preferite le cipolle possono essere evitate seguendo lo stesso procedimento.

Prova queste altre ricette della cucina di recupero

Scorze di finocchi stufati

Involtini di verza con gli avanzi del risotto

Tiramisù con Pandoro

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I numeri sono il linguaggio universale con cui descriviamo e quantifichiamo il mondo che ci circonda. Dalle stelle al più piccolo atomo, tutto può essere espresso in termini numerici. Sono sempre loro a permetterci di ordinare, classificare e comprendere la complessità della realtà. Senza di essi, sarebbe impossibile costruire modelli, fare previsioni e prendere decisioni su basi oggettive.

Dall’invenzione dei primi sistemi di numerazione alle più recenti scoperte, la storia dei numeri è affascinante e ricca di aneddoti. Filosofi come Platone e Pitagora hanno attribuito ai numeri un significato profondo, considerandoli come la base di tutta la realtà. In molte culture, i numeri hanno significati simbolici e sono associati a credenze religiose e a superstizioni.

La matematica del quotidiano

Da quando ogni 31 dicembre ci chiediamo quante ore mancano alla mezzanotte fino alla modifica per adattare la ricetta della nonna, la matematica è parte integrante del nostro quotidiano.

I numeri sono come l’aria che respiriamo: sono ovunque, talmente integrati nella nostra vita da diventare quasi invisibili. Ma basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto di quanto siano fondamentali.

I numeri dalla sveglia al supermercato

Ogni giornata inizia con un numero: l’ora in cui suona la sveglia. Da quel momento in poi, anche senza averne piena consapevolezza, contiamo i minuti per arrivare al lavoro, calcoliamo quanto tempo abbiamo a disposizione per fare colazione, e così via per tutto il resto delle nostre attività.

Altrettanto automatiche sono le operazioni che svolgiamo quando andiamo a fare la spesa, quando cerchiamo l’offerta giusta online per quel maglione che ci piace tanto, quando prendiamo un aereo, quando calcoliamo quanto dobbiamo ancora risparmiare per realizzare quel desiderio a cui aneliamo.

Gli stessi abiti si misurano in taglie, dunque in numeri, e quando prepariamo la cena ci affidiamo ai numeri per non sbagliare le dosi.

Non c’è scienza senza numeri

Ma i numeri sono molto di più che un supporto quotidiano, grazie a loro sono state espresse leggi fisiche, chimiche e biologiche, ma sono anche state elaborate teorie e tecniche economiche.

Tutta la tecnologia di cui godiamo a casa e a lavoro si basa su calcoli numerici, eppure troppo spesso liquidiamo la matematica come una materia ostica e lontana dalla realtà.

Anche l’economia ne giova: mercati finanziari, indici di borsa, analisi economiche, attraverso l’elaborazione dei numeri è possibile comprendere e prevedere i fenomeni economici. Vale lo stesso per l’analisi della società e i suoi cambiamenti: la statistica aiuta la politica e le scelte nazionali ed internazionali.

Perché i numeri sono così importanti?

Ci sarebbero moltissimo da dire sui numeri, seppure ad un primo impatto sembrano freddi e aridi. I numeri sono i numeri, difatti proprio per questo ci permettono di organizzare il nostro mondo in modo preciso e oggettivo. Rappresentano il vero linguaggio universale, consente alla tecnologia di andare avanti ed essere sempre più performante.

Il 2025: cosa ci dice la numerologia

Definito un anno magico, il 2025 ha una serie di proprietà matematiche che lo ha portato all’attenzione degli addetti ai lavori.

  • Il 2025 è un quadrato perfetto: 45 x 45. Questa caratteristica lo rende un numero molto particolare, in quanto gli anni che sono quadrati perfetti sono piuttosto rari. L’ultimo anno che è stato un quadrato perfetto prima del 2025 è il 1936, il prossimo sarà il 2116.
  • Il 2025 è una somma di diversi quadrati.
  • Il 2025 è uguale alla somma dei cubi dei numeri da 1 a 9.

Queste proprietà matematiche conferiscono al numero 2025 un’eleganza e un’armonia particolari. Alcuni vedono in queste caratteristiche un simbolo di ordine e perfezione, mentre altri vi associano significati più mistici o esoterici.

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Perché si invecchia Perché in soli 5 paesi del mondo la gente vive a lungo e in salute? Cosa possiamo fare, quotidianamente, per tutelare il nostro benessere e vivere più a lungo?
A queste domande risponde il dott. Massimo Spattini, medico chirurgo e specialista in Medicina dello Sport, specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, nel suo nuovo volume disponibile in libreria: “Le 3 chiavi della longevità. Magri – forti – felici” (Edizioni Lswr).

Autore di importanti bestseller (come “Alimentazione e integrazione per lo sport e la performance fisica” e “La dieta COM e il dimagrimento localizzato”) in questa nuova opera spiega quali sono gli approcci nutrizionali e di stili di vita che possono prolungare la vita, in salute e in piena efficienza fisica. Offre anche una panoramica sulle pratiche mediche avanzate e sulle tecnologie più moderne, volte a prolungare lo stato di benessere.

Le 5 Blue Zone

Le “Zone blu” sono delle specifiche aree del pianeta in cui le persone vivono più a lungo e in modo più sano. Ad oggi, quelle identificate e certificate sono 5: Loma Linda (California); Nicoya (Costa Rica); Ogliastra (Sardegna); Ikaria (Grecia); Okinawa (Giappone).

Oltre alla longevità, ciò che colpisce di questi luoghi è la qualità della vita dei loro abitanti e il fatto che la demenza senile è praticamente inesistente. Le Blue Zone non sono solo luoghi dove le persone vivono più a lungo, ma dove si ha una vita attiva, partecipativa e percepita come degna di essere vissuta.
Le Blue Zone sono state studiate dal demografo belga Michel Poulain, ricercatore dell’università di Tallinn in Estonia, e dall’epidemiologo sardo Gianni Pes, dell’Università di Sassari.
I due studiosi hanno identificato i sette elementi di grande rilievo che accomunano tutte le Zone blu e che potrebbero essere quindi i fattori determinanti dietro al fenomeno della longevità.

Le sette regole per una vita lunga e sana

  1. Mangiare i prodotti della propria terra – Seguire quindi una dieta basata soprattutto su prodotti locali stagionali, a carattere prevalentemente vegetale. Per esempio, a Loma Linda la popolazione è prevalentemente vegetariana. Vari studi hanno dimostrato che il consumo di frutta secca è associato a un impatto positivo sulla salute e sull’aspettativa di vita.
  2. Usare la regola dell’80% – Prima di ogni pasto, gli abitanti di Okinawa pronunciano il mantra confuciano “Hara Hachi Bu”, che ricorda loro di smettere di mangiare quando lo stomaco è pieno all’80%. Quel 20% può fare la differenza tra perdere o guadagnare peso.
  3. Trovare il proprio scopo – Gli abitanti di Okinawa lo chiamano “Ikigai“, quelli della penisola di Nicoya “plan de vida”. In entrambi i casi si può tradurre con “il motivo per cui mi alzo la mattina”, per esempio coltivare quotidianamente le proprie passioni. Avere una chiara consapevolezza del proprio scopo nella vita può aggiungere fino a sette anni all’aspettativa di vita.
  4. Rallentare i ritmi – Anche chi vive nelle Zone Blu sperimenta lo stress ma ha imparato alcune buone abitudini per gestirlo. Per esempio, gli abitanti di Okinawa prendono ogni giorno qualche minuto per ricordare i loro antenati e i sardi si ritrovano al bar con gli amici per bere un bicchiere di vino rosso e giocare a carte. A Loma Linda il sabato è dedicato al riposo totale. I nicoyani sono molto attivi al mattino e riposano nel pomeriggio.
  5. Avere fede – La maggior parte degli anziani intervistati nelle Blue Zone dichiara di coltivare la spiritualità, di avere fede e di credere in qualcosa di più grande, anche se non necessariamente in una religione strutturata.
  6. Coltivare forti relazioni familiari e sociali – Le relazioni sociali positive aiutano a ridurre lo stress e a prevenire problemi di salute come la depressione e l’isolamento sociale.

Qualche esempio: a Loma Linda la Chiesa Avventista incoraggia e fornisce opportunità concrete perché i suoi membri si impegnino in attività di volontariato. Gli abitanti di Okinawa hanno creato i “moai”, gruppi di cinque amici che si impegnano a sostenersi e frequentarsi per tutta la vita. La solitudine può costare 15 anni di vita.

7. Muoversi in modo naturale e costante – Le persone più longeve del mondo adottano uno stile di vita che le spinge a muoversi naturalmente. Per esempio, gli abitanti di Okinawa lavorano all’aperto e vanno a piedi a fare la spesa. Inoltre, nelle zone rurali, le persone possiedono mobili bassi e mangiano sedute per terra, il che le costringe ad alzarsi e abbassarsi continuamente; in tal modo fanno esercizio fisico rafforzando il tronco e la parte inferiore del corpo e migliorando l’equilibrio (come fare gli squat). Inoltre tutti hanno un giardino.

Quindi cosa possiamo fare nella nostra quotidianità, per avvicinarci il più possibile allo stile di vita sano ed efficace degli abitanti delle 5 Blue Zone? Ecco i consigli del dott. Spattini…

8 buone abitudini per invecchiare meglio e vivere più a lungo

1. Attività fisica regolare: dedicare regolarmente del tempo all’esercizio fisico è essenziale per una vita più lunga e sana. L’OMS raccomanda almeno 150 minuti di attività aerobica moderata e 60 minuti di attività contro resistenza (con i pesi) a settimana.

2. Evitare le sostanze d’abuso: l’uso continuo o saltuario di sostanze d’abuso, come gli oppioidi, può danneggiare la salute e la longevità.

3. Smettere di fumare: chi smette di fumare prima dei 40 anni, o massimo a 60 anni, può godere di notevoli benefici per la salute e la durata della vita.

4. Gestire lo stress: imparare a gestire lo stress è fondamentale. Organizzazioni come l’OMS forniscono guide su come far fronte allo stress in modo sano.

5. Dieta a base vegetale: una dieta che includa abbondanti alimenti vegetali come frutta, verdura, cereali integrali, legumi e frutta secca a guscio è associata a una maggiore longevità.

6. Limitare il consumo di alcol: limitare il consumo di alcolici, seguendo le raccomandazioni, è cruciale per una vita più lunga.

7. Sonno di qualità: dormire bene è essenziale. Gli adulti dovrebbero mirare a dormire 7-9 ore per notte e adottare buone abitudini per migliorare la qualità del sonno.

8. Coltivare la socialità: mantenere relazioni sociali e interessi può aiutare a mantenere un cervello sano e promuovere una vita più lunga e soddisfacente.

Chi è Massimo Spattini

Medico chirurgo. Specialista in Medicina dello Sport, Specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica.
Vicepresidente ILSA (International Longevity Science Association).
Certificazione ABAARM (American Board of Anti-Aging & Regenerative Medicine), A4M-USA. Certificazione AFMCP (Applying Functional Medicine in Clinical Practice), IFM-USA.
Certificazione in “Peptides Theraphy” American Academy of Anti-Aging & Regenerative MedicineUSA. Master in “Metodologie Anti-Aging e Anti-Stress” – La Sapienza, Università di Roma.
Direttore e Docente del Master di 1° livello “Dietologia, Nutraceutica e Nutrigenomica, Medicina Funzionale e Lifestyle”, Università San Raffaele, Roma.
Direttore e Docente del Corso Universitario “Cronomorfodieta”, Universalus, Roma.
Membro del Dipartimento Interuniversitario di Scienze Motorie e dello Sport del Consorzio Universitario Humanitas.
www.massimospattini.com

IL LIBRO >  Le 3 chiavi della longevità. Magri-Forti-Felici
Edizioni Lswr
novembre 2024
37.90 euro, 424 pagine a colori
Isbn 9791254912034

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‘Charlotte marmorizzata alle mele’, come prepararle: tutte brave in cucina con le ‘dritte’ di ‘RosmarinoNews’

Invitante e profumata, la charlotte marmorizzata deve il suo nome alle graziose sfumature che ne decorano la superficie.

La versione di Debora (Madame’s Kitchen) prevede un impasto chiaro a base di deliziose mele e uno scuro preparato con goloso cioccolato.

Il risultato bicolore, oltre ad essere particolarmente scenografico, è semplicemente squisito. Mix perfetto tra dolcezza e acidità, le mele rendono la torta ancora più buona, perfetta da inzuppare nel tè.

Ingredienti per uno stampo charlotte da 24 cm

2 mele Pinova Val Venosta
3 uova medie
200 g di zucchero di canna
160 ml di olio di semi
250 g di farina 00
16 g di lievito istantaneo
un pizzico di sale
1/2 cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di estratto di vaniglia

Procedimento

Prima di tutto, in un mixer frullate le mele sbucciate e tagliate a cubetti con l’olio fino ad ottenere una crema liscia e senza grumi. In un’altra ciotola montate con le fruste elettriche le uova a temperatura ambiente con lo zucchero, il sale, la cannella e la vaniglia, fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso.

Unite quindi le mele frullate con l’olio e continuate a lavorare il composto che dovrà risultare liscio e senza grumi.
Aggiungete la farina e il lievito setacciati, amalgamate l’impasto con una spatola di legno ottenendo una consistenza uniforme. Prelevate un terzo dell’impasto e unitevi 2/3 cucchiai di cacao amaro in polvere.

Prendete uno stampo da charlotte, ungetelo e infarinatelo, poi iniziate distribuendo a raggiera metà del composto al cacao. Quindi, unite a seguire il composto chiaro, poi di nuovo terminate con quello al cioccolato. Mescolate con uno stuzzicadenti i due impasti colorati.

Ora, distribuite bene nello stampo, date qualche colpetto per eliminare possibili bolle d’aria e fate cuocere in forno preriscaldato a 180°C per circa 45 minuti.

Infine, togliete la charlotte dal forno a cottura ultimata (fate la prova dello stecchino), lasciatela intiepidire e poi rovesciatela delicatamente su un piatto da portata spolverandola, prima di servire, con zucchero a velo.

Passione torte?

Le nostre ricette più amate

Torta cacao e pere al mascarpone

Torta golosa al cioccolato

Torta mimosa con frutti di bosco

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I ristoranti (locali) da non perdere, suggeriti anche per il nuovo anno dalla redazione di ‘RosmarinoNews’

Mi sono seduta a queste tavole nel corso del mio 2024 ed hanno conquistato questo spazio, perché trovo si tratti di luoghi autentici, dove la materia prima è rispettata e dove c’è consapevolezza.

In che senso?

Troppo spesso mi capita di entrare in attività ristorative in cui non c’è conoscenza (del settore, degli ingredienti, dell’etichetta) ed in cui – ancor peggio – non c’è un progetto.

Personalmente ritengo siano i luoghi da cui stare alla larga, puntano a prendere tutto quello che possono, ma non costruiscono e non seminano nulla.

Per questo da qualche tempo, a cavallo dell’arrivo del nuovo anno, appunto e pubblico gli indirizzi gastronomici che consiglio.

Eccoli! Ovviamente, vi spiego anche il perché!

Osteria Perbacco a Pisciotta (SA)

Immersa tra gli ulivi secolari della campagna di Pisciotta, questa osteria nata alla fine degli anni Novanta è un’istituzione nel Cilento. Un luogo autentico, fronte mare, dove le tipicità si ritrovano in piatti semplici ma al contempo mai banali.

L’oste Vito Puglia, tra i fondatori di Slow Food Campania, è una garanzia e un ambasciatore attento del suo territorio. Imperdibili le alici, da degustare sia negli antipasti che nei primi.

Contrada Marina Campagna

Per prenotare 0974.973889

Aguglia a Bacoli (NA)

Osteria di mare ed enoteca, Aguglia è l’indirizzo per chi ama il pesce fresco ed anche il crudo, da accompagnare con una grande selezione di vini italiani ed internazionali (circa 700 etichette).

Alessandro Costigliola, dal 2021, sta lavorando ad una ristorazione di qualità, senza molti fronzoli. Troverete un “non menù”, dove i piatti sono indicati in maniera generica con un prezzo, ma in tavola (è legge!) finisce solo ciò che c’è di fresco.

Ottime le ostriche sarde, la varietà di sfiziosi antipasti e i pesci alla griglia.

Marina Grande di Bacoli 

Per prenotare 333.5201256

Acquadulcis a Vallo della Lucania (SA)

Nella piccola e sospesa frazione di Massa, nel comune di Vallo della Lucania, vive un ristorantino che non ti aspetti. Standosene all’interno si potrebbe essere in molti luoghi nel mondo: da una metropoli ad un località turistica. La sua è un’ubicazione difficile, seppure ciò renda questo progetto ancora più ambizioso e coraggioso.

E’ una cucina esperienziale quella dello chef Vincenzo Cucolo, dove gli ingredienti del territorio incontrano quello a km buono e si fondono in una cucina molto ricercata. Se amate la cucina tradizionale non è il posto che fa per voi, ma se l’idea è di fare un’esperienza da ricordare sì.

Da non perdere: pasta, patate e cozze al sentore di camomilla.

Contrada Tenda a Massa

Casa Barbato a Montoro (AV)

Un’azienda agricola che ha cambiato il destino della cipolla di Montoro, grazie alla lungimiranza dell’imprenditore Nicola Barbato, da cui è nato anche un ristorante in cui quel prodotto viene declinato in tutti i modi e non solo. Per una cucina irpina che nasce da prodotti freschi e stagionali, un indirizzo che non delude mai. All’interno anche uno shop in cui acquistare prodotti tipici, conserve e trasformati.

Da non perdere: la parmigiana di cipolla ramata, e la pizza con la genovese. Ma ad essere davvero imperdibile è la genovese, qui è interpretata magistralmente.

Via Padula

La vita è bella a Casal di Principe (CE)

Un paese noto alla cronaca, dove le difficoltà possono essere maggiori che altrove, a meno che non si abbia un’idea precisa di che cosa significhi “fare rete” e “produrre bellezza”.

Ce l’ha Antonio Della Volpe, pizzaiolo di talento che nel suo locale raduna molti prodotti di eccellenza dell’agro circostante, dando vita a pizze buone non solo organoletticamente.

Da non perdere: l’arancino di Sorrento, la Margherita Rinascita e i padellini, dolci e salati.

Via Circumvallazione 189 

Bonus Track

Cinquanta – Spirito Italiano a Pagani (SA)

Un salto nel passato, ma lo sguardo è fisso sul futuro. Giovani, talentuosi, molto consapevoli. A Cinquanta ci si può fermare per un cocktail, per un aperitivo o per mangiare.

Ci si ferma perché è aggregazione e qualità. Il food è firmato dal food blogger Alessandro Tipaldi e merita di essere onorato. Informale, ma curato e attento ai particolari.

Ho amato i carpacci, gli sfizi, i padellini ed anche la pizza di gallette (non si trova quasi da nessuna parte!). Eccezionale la varietà e l’originalità dei cocktails.

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Napoli. La storia del Miglio d’Oro e delle sontuose ville vesuviane ivi costruite

La storia del Miglio d’Oro e delle sontuose ville vesuviane che vi vennero costruite inizia con l’ascesa sul trono di Napoli di Carlo di Borbone, nel 1735.

Durante una visita alla villa che il duca d’Elboeuf possedeva sulla riviera vesuviana il re rimase incantato dalla bellezza della costa ricca di boschi e dalla mitezza del clima, per cui nel 1738 commissionò all’architetto Antonio Canevari la costruzione della Reggia di Portici, in cui trascorse lunghi periodi con la consorte Maria Amalia di Sassonia.
L’iniziativa dei reali napoletani funse da traino per gran parte della nobiltà dell’epoca e una dopo l’altra sorsero numerose ville di pregio in stile rococò e neoclassico commissionate ai più talentuosi architetti dell’epoca, tra cui Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro e Mario Gioffredo.
In origine il Miglio d’Oro corrispondeva esattamente a un miglio dell’epoca (circa 1,5 km) e si estendeva tra Ercolano e Torre del Greco, successivamente la definizione venne estesa a un lungo tratto della costa a meridione di Napoli, comprendendo tutti i comuni dalla capitale fino a Torre del Greco.

Le ville nobiliari del Miglio d’Oro

In quest’area costiera nel corso del Settecento vennero edificate ben 122 ville nobiliari che arricchirono la costa vesuviana, oltre che con opere architettoniche di pregio, anche con la realizzazione di bellissimi giardini e frutteti, soprattutto agrumeti che richiamavano l’ “oro” come colore prevalente.
Gli eventi storici successivi e l’abolizione della nobiltà determinarono il progressivo abbandono della quasi totalità degli edifici con la conseguenza di atti vandalici, furti e deterioramento strutturale.
Anche i bombardamenti della seconda guerra mondiale arrecarono gravi danni al patrimonio urbanistico delle ville nobiliari, per cui nel 1971 venne istituito l’Ente per le Ville Vesuviane «allo scopo di provvedere alla conservazione, al restauro e alla valorizzazione del patrimonio artistico costituito dalle Ville Vesuviane».
L’edificio che per stato di conservazione e modalità di restauro rappresenta al meglio l’eredità settecentesca del Miglio d’Oro, è Villa Campolieto a Ercolano.

Villa Campolieto a Ercolano

Posta in una posizione estremamente suggestiva ad appena 500 metri dal mare e circondata da altre ville di pregio, come Villa Favorita, Villa Campolieto venne edificata per volontà del Principe Luzio De Sangro, Duca di Casacalenda che nel 1755, affidò il progetto e l’esecuzione dei lavori a Mario Gioffredo.

Costretto ad abbandonare l’opera intorno al 1760 per contrasti col suo committente, fu sostituito da Luigi Vanvitelli che, dal 1763 al 1773 (anno della sua morte) ne diresse i lavori, completati nel 1775 dal figlio Carlo.

Le due fasi costruttive, quella del Gioffredo e quella del Vanvitelli, ebbero come conseguenza la realizzazione di un sontuoso edificio a pianta quadrata con una facciata posteriore, quella rivolta verso il mare, che si apre con un imponente e scenografico portico ellittico a colonne toscane che, insieme agli scaloni monumentali, rappresenta sicuramente l’elemento più caratterizzante dell’intera struttura.

Dopo un restauro durato sei anni la villa è stata aperta al pubblico, svelando i meravigliosi affreschi presenti in tutte le stanze.
Dal salone delle feste alle stanze private è un tripudio di bellezza decorativa, con temi classici, allegorici e figurativi di vario genere, tra cui spiccano un finto gazebo rappresentato tra i vitigni della tenuta, sfondi che riproducono la vista del golfo di Napoli, un raro autoritratto del Vanvitelli, scene di vita del palazzo e numerose figure mitologiche che rafforzano l’impronta neoclassica dell’edificio.

Tra le linee degli affreschi si nascondono le piccole porte che permettevano l’accesso alla servitù, che doveva essere sempre presente ma allo stesso tempo quasi invisibile agli occhi degli illustri ospiti della villa.
Villa Campolieto è un gioiello architettonico meravigliosamente restituito alla bellezza del passato che emoziona e lascia senza fiato, facendo rivivere durante la visita ciò che un tempo fu la grande ricchezza di tutte le ville nobiliari che vennero costruite lungo la costa del golfo di Napoli.

Riferimenti: Villa Campolieto, Corso Resina 283 – Ercolano, 081 732 2134

Orari: Martedì – Sabato 10:00 – 18:00 Domenica 10:00 – 13:00

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Gli struffoli sono un dolce tipico del Natale napoletano, ma amato in tutta Italia e oltre. Sono delle piccole palline di pasta dolce, fritte e poi ricoperte di miele, confettini colorati e frutta candita. La loro forma ricorda piccoli pianeti colorati, rendendoli irresistibili sia ai grandi che ai più piccoli.

Si pensa che gli struffoli abbiano origini greche, derivando dal termine “strongoulos” (arrotondato) e “pristòs” (tagliato).

Difficoltà: Media
Tempo di preparazione: 30 minuti + 30 minuti di riposo
Tempo di cottura: 30 minuti

Ingredienti per 12 persone

Per l’impasto
500 g di farina 00
100 g di burro
3 uova
2 tuorli
20 g di zucchero
2 cucchiai di liquore all’anice
1 pizzico di sale fino
1 pizzico di bicarbonato
Scorza di 1 arancia
Scorza di 1 limone

Per condire
600 g di miele millefiori
150 g di arancia candita a cubetti
Scorza di 1 arancia
Scorza di 1 limone
Codette colorate Q.B.
Confettini argentati Q.B.

Per friggere
1,5 l di olio Zucchi Fritto Libero! (oppure olio di semi)

Setacciare la farina nella ciotola della planetaria. Aggiungere un pizzico di sale, lo zucchero e il bicarbonato e mescolare bene le polveri. Tagliare il burro ammorbidito a cubetti, aggiungerlo nella ciotola e impastarlo con le mani in modo da ottenere un impasto sbriciolato. Mettere la ciotola nella planetaria con la molla per impastare a bassa velocità. Aggiungere le uova una alla volta e i tuorli. Aggiungere il liquore all’anice, la scorza di limone e di arancia e grattugiare. Lavorare l’impasto con la planetaria per ottenere un impasto liscio e omogeneo. Quindi trasferirlo sulla spianatoia.

Finire di lavorarlo e creare una palla. Avvolgere l’impasto con la pellicola e lasciare riposare per 30 minuti a temperatura ambiente. Infarinare leggermente la spianatoia. Prelevare una parte di impasto, formare dei filoncini spessi 1 cm e tagliare dei piccoli tocchetti della stessa lunghezza. Per dargli una forma più rotonda girarli velocemente con la mano sopra alla spianatoia. Andare avanti con tutto l’impasto.

Nel frattempo, versare l’olio in un tegame largo e scaldarlo a circa 160°C. Friggere gli struffoli pochi alla volta e smuoverli un po’ durante la cottura, in questo modo risulteranno tondi. Quando saranno ben dorati scolarli su un vassoio con carta assorbente. Proseguire in questo la cottura di tutti gli struffoli.

Per la guarnitura: in un tegame versare il miele e scaldare a fuoco dolce mescolando di tanto in tanto. Spegnere appena inizia a bollire e aggiungere la scorza di limone e quella d’arancia grattugiate. Unire l’arancia candita a cubetti e mescolare. Lasciare intiepidire per 5 minuti, quindi versare gli struffoli nel tegame e mescolare bene con un mestolo di legno sino a che gli struffoli non saranno ben ricoperti.

Coprire con la carta forno inumidita uno stampo da ciambella. Versare gli struffoli dentro allo stampo e con il dorso del cucchiaio premere leggermente in modo che le palline riempiano tutti i buchi, quindi lasciare raffreddare.

Per trasferire gli struffoli sul piatto da portata appoggiare il piatto sullo stampo, ribaltare sotto sopra e togliere la carta forno. Decorare con gli zuccherini colorati e servire.

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È questo il periodo più magico dell’anno, quello in cui la famiglia riconquista la sua centralità e si torna tutti un po’ bambini. Lo conferma il successo dell’Avellino Christmas Village, evento che colorerà Piazza della Libertà fino al giorno dell’Epifania, che unisce spettacoli, attrazioni ed un mercatino.

Il villaggio natalizio, firmato dall’Associazione Italia Eventi e patrocinato dal Comune di Avellino, è aperto tutti i giorni dalle ore 10 alle 22 e nei fine settimana dalle ore 10 a mezzanotte.

Dal 6 dicembre Avellino è diventata una cornice perfetta che tiene insieme i tanti ingredienti del nostro villaggio natalizio. Siamo contenti di poter vivere in questa città un periodo così speciale. Laboratori, iniziative sociali, appuntamenti per i più piccoli, ma anche tanta musica e tanti artisti. Continuiamo con grande energia e vivremo insieme sia la fine dell’anno che i giorni che ci porteranno all’Epifania”, sottolinea il presidente di Italia Eventi, Giuseppe Lupo.

Ad Avellino fino all’Epifania: ecco cosa c’è in programma

È la Casa di Babbo Natale il cuore pulsante del villaggio, perché è lì che gli elfi magici preparano i loro doni, si scattano foto e si gioca insieme. Inoltre, qui è possibile incontrare un’altra grande protagonista dell’immaginario magico di questo periodo: la Befana! E, tra una foto e tanta animazione, goloso zucchero filato e tanti pop corn per festeggiare.

Imperdibili gli spettacoli del Teatro Nazionale di Burattini di Antica Tradizione con Pulcinella ed altri burattini, sempre aperte la pista di pattinaggio su ghiaccio e l’antica Giostra Carillon per momenti di allegria, immersi nella magia natalizia.

Venerdì 27 dicembre, alle ore 19, appuntamento con “La tradizione culinaria avellinese” con lo chef Luigi Vitiello dell’Unione Regionale Cuochi della Campania e dell’Associazione Cuochi Avellinesi.

In serata, alle ore 20, l’occasione per lasciarsi coinvolgere dal ritmo incalzante de La Scuola di Tarantella Montemaranese.

Sabato 28 dicembre, alle ore 11, appuntamento con lo spettacolo di comicità e trampoleria acrobatica a cura di Sybillae Show: “Cose dell’Alto Mondo”.

Alle ore 18:30 la Pro Loco di Avellino organizza la Tombolata in piazza, mentre alle ore 20 tanta musica con il concerto della Blues Rock Tino Pascucci Band ed il chitarrista Carmine Migliore.

Domenica 29 dicembre, in programma tanta musica e balli popolari. Alle ore 11 sarà la volta del Gruppo Folk Tonino Boccella e i virtuosi della tarantella, alle ore 19 il concerto Gospel Night – Saint Thomas Gospel Family ed alle ore 20 il ritmo dei Rosamarina.

Martedì 31 dicembre, alle ore 11, ultima giornata dell’anno sulle note de La Musica Popolare Itinerante. Mentre, sia a mezzogiorno che alle ore 19:30, in programma un Dirty Brunch (NEW YEAR’S EVE).

Sabato 4 gennaio, alle ore 11, lo spettacolo di bolle di sapone a cura di Sybillae Show Trampoliere itinerante Bato’ Bubble Show. Alle ore 19, con Monsieur David e Madame Marion, appuntamento con il teatro fisico poetico “La Dance du pied: apriti alla gioia”.

Domenica 5 gennaio, alle ore 11, con Sybillae Show arriverà il Trampoliere itinerante Lino Street Circus, mentre alle ore 20 sarà la volta del gruppo musicale Anema Longa.

Lunedì 6 gennaio, alle ore 11, appuntamento con il Trampoliere itinerante Bubble Lady: spettacolo di bolle di sapone a cura di Sybillae Show. Alle ore 20 in piazza ci sarà il ritmo incalzante de La scuola di Tarantella Montemaranese, mentre contemporaneamente nel Duomo di Avellino sarà possibile prendere parte al Concerto dell’Epifania.

Il Duo “rubino d’amore” è formato da Caterina D’Amore al flauto e da Giuseppina Rubino all’arpa.

Le associazioni locali si ritroveranno sempre ne “La Casetta delle Associazioni Avellinesi”: una sorta di info point turistico per i visitatori ed i turisti, dove poter trovare brochure informative, piantine della città e consigli su cosa visitare. Un luogo in cui saranno organizzate anche una serie di attività di promozione di tutte le realtà associative aderenti.

Presenti con delle casette dedicate anche: l’UNICEF, l’Associazione per l’autismo Il sogno di Ari e l’Associazione Marinai d’Italia – sezione di Avellino.

Spesa, regali e gadget al mercatino dell’Avellino Christmas Village

Il mercatino natalizio, sempre aperto, come da tradizione unisce artigiani e piccoli produttori provenienti da diverse zone d’Italia. Qui è possibile acquistare e degustare prodotti tipici ed eccellenze locali, ma anche realizzare regali originali.

Ampio spazio a produttori ed artigiani irpini: salumi e formaggi, funghi e tartufi, vini, torroni, cioccolato, miele biologico e prodotti dell’alveare.

Formaggi e salumi italiani e a marchio, taralli pugliesi, ma anche dolci tipici campani, liquirizia calabra, cioccolato artigianale siciliano, tra cui quello di Modica. Waffel al cioccolato e cioccolata calda, vin brulè, torroni croccanti siciliani alla mandorla e al pistacchio, cannoli e cassate siciliane.

Molti gli artigiani del territorio: bellissime palline, gioielli, cappelli e sciarpe, creazioni in stoffa e feltro, oggetti in legno (anche per il presepe), creazioni all’uncinetto, bambole di stoffa e altri oggetti realizzati completamente con tessuti.

Di fattura partenopea i prodotti in pelle tra cui borsellini, borse e cinture e straordinaria ceramica artigianale. Pugliesi le lavorazioni in vetro realizzate con la tecnica di Murano.

Da segnalare la casetta assegnata al Liceo Artistico De Luca di Avellino dove è possibile ritrovare molte creazioni artistiche realizzate dagli studenti.

Infoline +39 3755643840

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Natale e Capodanno, tempo di feste, di vacanze e, per molti, di relax e ritrovi con le persone care. Ma c’è un elemento che, più di ogni altro, si conferma il vero motore delle festività di fine anno: il cibo.

In questo periodo, infatti, la cucina diventa ancor di più il fulcro della convivialità, il luogo per eccellenza dove creare ricordi e condividere sapori. Tuttavia, il tempo dedicato ai fornelli è sempre meno con gli italiani che dichiarano di spendere mediamente tra i 20 e i 40 minuti al giorno per la preparazione dei pasti.

Come preparare piatti buoni e di qualità in poco tempo, portando in tavola i piatti tipici della tradizione culinaria o dando un tocco di originalità con accostamenti insoliti?

Ecco una ricetta veloce, firmata dallo chef Federico Fusca, che celebra il cotechino, da realizzare in pochissimo tempo.

Come realizzare il ragù di cotechino

Ingredienti per 4 persone
• 400 g di paccheri
• 1 Gran Cotechino Negroni
• 2 coste di sedano
• 2 carote
• 1/2 porro
• olio evo
• sale e pepe q.b.
• 250 g di passata di pomodoro
• 50 g di olive taggiasche

Immergere la busta contenente il cotechino in una pentola con acqua bollente e far cuocere per circa 25 minuti. Quindi togliere la busta dall’acqua, tagliarla lungo il lato minore, far sgocciolare il brodo che si sarà formato durante la cottura ed estrarre cotechino. Successivamente, trasferirlo su un tagliere e tritarlo a coltello.
Preparare il fondo di sedano, carote e cipolla a cubetti e saltare in padella con olio extra vergine di oliva.
Quando il fondo sarà ben cotto aggiungere cotechino tritato, la passata di pomodoro e lasciare cuocere per 10 minuti. Nel frattempo, mettere sul fuoco una pentola con acqua salata. Quando raggiunge il bollore, calare la pasta, quindi mantecarla nel ragù. Denocciolare le olive e metterle nel microonde per circa quattro minuti per farle diventare croccanti. Impiattare decorando con le olive croccanti e germogli a piacimento.

Ricette con il cotechino

Capunsei mantovani con ragù bianco di cotechino

Medaglioni di polenta e cotechino

Trivelline con lenticchie, cotechino e salsa verde

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Scuola di Cucina. Chiudere l’anno (ma non solo) portando in tavola l’astice? Ecco come fare

Bentornati ad un nuovo articolo della mia “scuola di cucina”: tecniche semplici e buoni consigli ma che ti garantiranno grandi risultati, come quelli degli chef!

Oggi voglio proporvi una tecnica semplice per realizzare un astice straordinario.
Prendiamo un astice fresco, stecchiamolo così da farlo rimanere dritto e poi passiamo alla cottura.
Io, prima di utilizzarlo per varie preparazioni, lo faccio bollire per tre minuti in acqua con all’interno un po’ di aceto, un pizzico di sale e del pepe in grani.
Poi lo raffreddo subito in acqua e ghiaccio. Stacco le chele e la faccio cuocere per altri due minuti e poi le raffreddo.

Quando sarà tutto freddo, divido l’astice in due. Con il corallo si può realizzare una gustosa emulsione con un olio d’oliva fruttato e delicato, mentre con la testa una buona pasta saltata.
E la polpa? Io la divido dal carapace e la passo velocemente in padella giusto per creare una piccola crosticina esterna. La servo all’interno del suo carapace con sopra l’emulsione che vi avevo detto prima.
E’ importante, prima di passarla in padella, realizzare dei piccoli taglietti non troppo profondi.

Il mio consiglio è di servirla semplicemente  (ovvero servita all’insalata con pomodori freschi e cipolla rossa fresca) o abbinarla per realizzare un’insalata gustosa con delle olive taggiasche, capperi dissalati e cetriolini.

Un altro abbinamento da gustare è con i funghi porcini:

prima vanno spadellati i porcini in padella con aglio e gambi di prezzemolo. Nel frattempo, l’astice va bollito e poi raffreddato. Separato dal carapace, lo taglio a pezzetti e lo salto con i porcini. Un abbinamento straordinario che ad ogni boccone cullerà il palato.
Per questo abbinamento preferisco utilizzare solo la parte della testa del porcino, così da creare dei contrasti delicati di sapore.

Appuntamento al mio prossimo articolo, vi ricordo che potete interagire con me sulla mia pagina Facebook Piero Cantore o nel gruppo Facebook Il sommelier del Cibo così da scambiarci ricette e consigli!

Piero Cantore, chef 

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Piatto nato in epoca romana, la minestra maritata è una delle pietanze più importanti della tradizione partenopea, che sulle tavola delle feste natalizie non può mancare.

Uno stufato popolare preparato con carne, legumi e verdure. Tra le proposte di quest’anno arriva l’idea del macellaio Vincenzo Natale, molto attivo sui social, che l’ha pensata con la giovenca sannita, sua personale selezione di vacche allevate nel beneventano.

«Una selezione tutta campana di grande qualità – spiega il macellaio – realizzata come la ‘vaca vieja gallega’, un bovino che non è una razza, ma un insieme di razze allevate in Galizia in pascoli verdi e lussureggianti». Con queste lombate grasse e appetitose si prepara la minestra maritata delle feste.

Come preparare la minestra maritata

Ingredienti per 4 persone

Verdure:

500 g di broccoli neri a foglia larga, 500 g di broccoli, 500 g di broccoli di Natale, 500 g di cicoriette selvatiche, 400 g di bietole, 400 g di cardo, 300 g di borragine, 300 g di spinaci, 300 g di minestra nera, 2 scarola liscia, 2 mazzetti torzelle, 1 verza, 1 scarola riccia.

Brodo di carne:

8 litri di acqua, 3 carote, 3 coste di sedano, 2 cipolle bianche, 2 foglie di alloro, 2 gambi di prezzemolo, 1 porro, 1 pomodoro, 0,500 kg tra muscolo e corazza di Giovenca Sannita e 0,500 kg tra gallinella e tracchia di Suino Chiaro Sannita.

Brodo di gallina: 8 litri di acqua, 3 carote, 3 coste di sedano, 2 cipolle bianche, 2 foglie di alloro, 2 gambi di prezzemolo, 1 porro, 1 gallina Bio San Bartolomeo (precedentemente pulita e privata delle interiora), 1 pomodoro.

2 piedi di maiale crudi e mezza testa di suino fatta a pezzi con ossa, 1 annoglia, 2 salsicce cafone.

Per le verdure:

lessare separatamente in acqua salata e raffreddarle, immergendole in acqua e ghiaccio. Strizzare e conservare separatamente per tipologia.

Per il brodo di manzo:

lavare le carote e tagliarne le estremità, lavare le coste di sedano e tagliarle in tre parti, sbucciare le cipolle e inciderne le estremità con un coltello, lavare il porro, il pomodoro e i gambi di prezzemolo. Mettere nella pentola la carne aggiungendo l’acqua. Portare la pentola sul fuoco a fiamma vivace fino al bollore. Aggiungere tutti gli altri ingredienti, abbassare al minimo la fiamma e lasciar sobbollire lentamente per 4 ore. Trascorse le 4 ore spegnere il fuoco, scolare la carne e tagliarla a pezzetti. Filtrare il brodo con un colino a maglia fina e tenere da parte.

Per il brodo di gallina:

proseguire esattamente come con il brodo di manzo.

Per i piedini e la testa di maiale:

lasciare i piedini e la testa di maiale in acqua fredda per una giornata intera cambiandola spesso. Il giorno seguente mettere i piedini e la testa in una pentola e portare ad ebollizione partendo da acqua fredda con sale per 1 ora circa. Rimettere i piedini e la testa a far raffreddare, tagliare a pezzettini e tenere da parte.

Per la minestra:

in una pentola alta mettere 200 g di olio di oliva extravergine di oliva e far soffriggere della cipolla tritata.

Aggiungere i vari tagli di carne, l’annoglia, le salsicce cafone e le varie verdure partendo da quelle più consistenti. Infine, versare due parti di brodo di manzo, una parte di brodo di gallina. Far bollire per poi servire la minestra calda aggiungendo pezzetti di Parmigiano e Pecorino Romano.

ph Leo Cremano

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