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Ue: RdC e assegno unico discriminatori. Bassi: “La Commissione europea inizi a preoccuparsi attivamente di risolvere l’inverno demografico”

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La Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia perché il Reddito di Cittadinanza “non è in linea con il diritto dell’Ue in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, residenti e protezione internazionale” perché “il requisito dei 10 anni di residenza” richiesto “si qualifica come discriminazione indiretta, poiché è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio e discrimina direttamente i beneficiari di protezione internazionale”. Bruxelles ha avviato anche un’altra procedura di infrazione contro l’Italia “sull’assegno unico e universale per i figli a carico” destinato alle persone che risiedono da almeno due anni nel Paese e che vivono con i figli. Su queste due procedure di infrazione abbiamo interpellato Vincenzo Bassi, presidente della Fafce.

Vincenzo Bassi (Foto Fafce)

Secondo la Commissione Ue, la normativa sull’assegno unico viola il diritto dell’Ue perché “non tratta i cittadini Ue in modo equo”. Cosa ne pensa in quanto presidente della Fafce?

Secondo la Commissione Ue l’assegno unico deve essere elargito a prescindere dalla residenza. D’accordo. Discutiamone in modo costruttivo, ben sapendo che per l’Italia l’assegno unico costituisce la prima misura di politica demografica. Per la prima volta, le famiglie, anche in Italia, hanno ottenuto un riconoscimento per il loro servizio al bene comune. A tal proposito, è auspicabile che anche la Commissione europea inizi a preoccuparsi attivamente di risolvere l’inverno demografico sostenendo iniziative come l’assegno unico. L’indifferenza della Commissione e del Parlamento europeo su questo tema costituisce forse il pericolo più grave per il futuro della nostra Europa, e ciò ben al di là dell’esito di questa procedura d’infrazione. Non possono essere contro i trattati le misure che premiano chi investe sul proprio Paese, garantendone il futuro. Ebbene,

occorre trovare il modo per mettere al centro delle politiche le famiglie che desiderano figli.

Un figlio è un figlio. Servono figli. Speriamo che anche la Commissione europea se ne accorga. Al di là del tema specifico della norma riguardante la residenza, questa è un’occasione per ricordare quanto le famiglie con figli siano discriminate: sono loro, soprattutto in Italia, a non essere trattate equamente. Le politiche familiari e, ancor di più, quelle demografiche non sono una mera parte delle politiche sociali. Esse sono delle politiche a sé stanti, che possono essere considerate delle vere politiche economiche, d’investimento sul futuro. Ora è normale che uno Stato cerchi dei modi per attirare a sé nuovi residenti (e, quindi, più figli e forza lavoro, vere ricchezze di un Paese), ma va da sé che questo dev’essere fatto in ottemperanza al diritto dell’Ue. Tuttavia, non va dimenticato che se non si riesce a fermare l’inverno demografico, questo inciderà sui criteri di convergenza (solitamente chiamati criteri di Maastricht) degli Stati membri dell’Ue. In particolare, il deficit e il debito pubblico, così come l’inflazione, aumenteranno e rallenteranno gradualmente l’economia, la stabilità economica e la crescita. Per affrontare l’instabilità dell’Ue, potrebbe quindi essere utile ragionare sulle questioni demografiche, così come sui criteri di Maastricht. In altre parole, è necessaria una riflessione accurata non tanto sugli strumenti quanto sulle finalità delle politiche demografiche da parte dei Paesi Ue.

Cosa avviene negli altri Paesi europei che hanno misure simili al nostro assegno unico?

È complicato confrontare i vari Stati membri dell’Ue, poiché misure come quelle dell’assegno unico vanno collocate nell’ambito più complesso delle politiche fiscali, che variano a loro volta da Paese a Paese. È vero che un principio fondante del diritto dell’Unione europea è quello della libertà di movimento, per cui ogni cittadino Ue dev’essere riconosciuto come tale in qualunque Stato membro. Questo vale, tranne per casi specifici come il voto, in tutti gli ambiti: il cittadino deve poter usufruire dello stesso trattamento degli altri concittadini in un determinato Stato. Tuttavia, ogni Stato membro deve prevenire situazioni di abuso, per esempio, di cittadini che si muovono solo allo scopo di usufruire di migliori trattamenti assistenziali. Quanto alle politiche familiari, è vero, non esiste una politica familiare europea unica. Essa è infatti di competenza di ogni Stato membro. Tuttavia, la questione demografica rientra tra le competenze dell’Ue. Pertanto,

occorre maggiore sensibilità da parte della Commissione, dal momento che l’assegno unico costituisce una misura premiale di politica demografica.

Attraverso l’assegno unico, infatti, si vuole premiare il desiderio delle famiglie di generare e crescere responsabilmente bambini, e questo rappresenta un interesse anche dello Stato membro (oltre che dell’Ue). Infatti, sono le famiglie che costruiscono il futuro di un territorio. In questa dinamica il legame delle famiglie con il territorio stesso rappresenta un elemento essenziale delle politiche demografiche. Senza considerare la specificità delle politiche demografiche rispetto alle politiche assistenziali e sociali, è difficile giudicare la coerenza dell’assegno unico con l’ordinamento dell’Unione europea. A tal proposito, sarebbe interessante conoscere, secondo l’opinione della Commissione, in che misura, nell’ambito delle politiche demografiche, il legame stabile con il territorio, da parte della famiglia, va considerato come fattore essenziale e non come fattore di discriminazione. È chiaro che qualsiasi approccio ideologico non potrà essere accettato.

In Italia abbiamo ormai un gravissimo problema di inverno demografico, con un numero di nati che cala ogni anno. L’assegno unico è una misura che può sostenere la natalità. Quanto, secondo lei, è migliorabile?

Come dice Gigi De Palo, presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, dobbiamo agire ora prima che sia troppo tardi. Come Fafce incontriamo i ministri europei di vari Paesi, ormai da tre anni. E devo dire che c’è una presa di coscienza generalizzata sul tema. Ma mancano misure concrete d’investimento nelle famiglie. Forse la tendenza non potrà essere mai invertita nel senso opposto, ma certamente la caduta verso il precipizio potrà essere rallentata. A nostro avviso, le famiglie sono incoraggiate se fanno parte di reti di famiglie. È più facile che, proprio nelle reti di famiglie, i figli rappresentino una risorsa e un valore per l’intera comunità. Pertanto, lavoriamo per costruire comunità di famiglie, più giuste e più vere, in un’ottica di solidarietà intergenerazionale.

L’altra infrazione riguarda il Reddito di cittadinanza per i requisiti che sono richiesti sulla residenza. Spesso povertà e numero di figli sono due realtà strettamente correlate. Su questo il cammino in Italia è ancora tanto il cammino da fare… Nel resto d’Europa come va su questo fronte?

Secondo gli ultimi dati Ocse, la Francia nel 2020 ha sfiorato il 3% del Pil dedicato a politiche di sostegno alla famiglia (senza calcolare le detrazioni fiscali). L’Italia, nel 2019, non arrivava alla metà di questa percentuale (1.4%), seguita soltanto da Spagna e Portogallo. Ma non si tratta, lo ripeto, di aumentare misure assistenzialistiche, ma d’avviare dei veri processi d’investimento nelle famiglie. Solo ridando vitalità alle famiglie, al loro risparmio e alle loro reti, si preverrà efficacemente la povertà e si metterà in opera la solidarietà intergenerazionale.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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