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Omicidio Garlasco, Alberto Stasi si confessa dal carcere di Bollate: “La mia coscienza è leggera”

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Omicidio Garlasco, Alberto Stasi si confessa dal carcere di Bollate: “La mia coscienza è leggera”

Condannato, nel 2015, a 16 anni per l’assassinio di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007, si dichiara innocente: “In quegli anni si finiva in carcere per test che non distinguevano il sangue da una barbabietola”

Alberto Stasi parla, per la prima volta, a sette anni dal suo arresto e dall’inizio della sua detenzione. “Togliere la libertà a una persona innocente è violenza, però se non hai nulla da rimproverarti, l’hai subita e basta, non è colpa tua”. Stasi, condannato a 16 anni per il delitto di Garlasco, ha rilasciato una lunga intervista per lo speciale de Le Iene dal titolo Delitto di Garlasco: la verità di Alberto Stasi foto | video

DUE ASSOLUZIONI E UNA CONDANNA

 Il caso di Garlasco ha diviso l’Italia tra innocentisti e colpevolisti. E anche i magistrati hanno brancolato nel buio per lungo tempo. La vicenda la ricordiamo tutti: Chiara Poggi fu trovata morta nella sua villetta di Garlasco il 13 agosto 2007. Alberto Stasi fu sospettato da subito. Fermato, il gip non ne confermò l’arresto. Scelse il rito abbreviato e fu assolto in primo grado: risultava avere un alibi. L’accusa sosteneva che non potesse non essersi sporcato le scarpe di sangue. Ma nemmeno quelle dei carabinieri che entrarono per primi nella villetta erano sporche. E poi c’era l’alibi del pc: per ucciderla avrebbe dovuto essere rapidissimo. Questione di minuti. Mancava un movente. E pure l’arma. Finì assolto anche in appello. Ma poi la Cassazione annullò la sentenza e in appello bis, il 17 dicembre  2014, Stasi venne condannato a 16 anni – video

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“NON SANNO QUELLO CHE DICONO” – “Quando mi chiedono se ho ucciso io Chiara penso che non sanno di cosa stanno parlando”, dice Stasi. “Nell’immaginario comune un innocente in carcere è un qualcuno che soffre all’ennesima potenza. Per me non lo è, semplicemente perché la mia coscienza è leggera. Alla sera quando mi corico io non ho nulla da rimproverarmi. Certo, ti senti privato di una parte di vita perché”.

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“RIS? NON DISTINGUEVANO SANGUE DA UNA BARBABIETOLA” –

In quegli anni i Ris di Parma erano un po’ mitizzati” prosegue Stasi nell’intervista. “La sera la gente guardava la televisione e li vedeva risolvere i delitti più complicati nel tempo di un episodio. Scoprire che in realtà le persone venivano portate in carcere sulla base di test che non distinguevano il sangue da una barbabietola, illuminava una situazione che si pensava diversa”. La ricostruzione data da Stasi punta a smontare la preparazione degli investigatori. “Non si trattava più di svolgere un’indagine ma si trattava di salvare la propria carriera, la propria reputazione. Questo poi ha comportato tutta una serie di conseguenze d’inezie, d’incapacità di tornare indietro. Per ammettere i propri sbagli bisogna avere coraggio, carattere. Il Pm non è mai andato a dire ‘Questo provvedimento era prematuro’, perché poi l’accertamento definitivo risultava, appunto, negativo”.

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AMBIZIONE E CARRIERA NON DOVREBBERO AVERE A CHE FARE CON LA GIUSTIZIA –

“Cosa vorrei dire ai giudici che mi hanno condannato?” chiedono le Iene. “Non saprei perché sono, in qualche modo, e in negativo, i protagonisti di questa vicenda. È difficile arrivare alla mente e al cuore di quelle persone. Il loro non è un mestiere banale, ha conseguenze sulla vita delle persone, come un medico in sala operatoria: ci sono lavori che non comportano queste responsabilità, altri invece sì. Se si decide di intraprendere un certo lavoro, una certa carriera, deve essere fatto in modo coscienzioso perché poi anche lì entrano dinamiche normali, di lavoro. La carriera, l’ambizione, il posto in un’altra sede, tutte cose che non dovrebbero avere nulla a che fare con la giustizia”.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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