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Roccamonfina. ‘Shoah’ ricordata da Marisa Errico, deportata a soli 8 anni insieme al padre, finanziere roccano

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errico-15x10-marisa-1errico-15x10-marisa-4Ad appena otto anni e mezzo la piccola Marisa Errico finì nel campo di concentramento

di Terezin insieme con i genitori Antonio Errico, 41enne Maresciallo della Guardia di Finanza nativo di Roccamonfina in servizio a Mestre, ed Ilse Worfel.
Erano stati convocati il 18 febbraio 1944 dall’autorità tedesca di Treviso per “consegna di documenti”.
La bimba percepì, istintivamente, che qualcosa di grave stava per accadere.
Avvertì un indefinito presagio del dramma che si stava realizzando quando il categorico funzionario nazista troncò la discussione col papà indicandogli una porta in fondo alla stanza.
“Ci trovammo in un cortile quadrato. Seduti a terra uomini, donne, bambini, di ogni età, appoggiati a valige, borse, pacchi approssimativi di poveri indumenti.
Si respirava una greve aria di attesa. All’improvviso ci fecero uscire da un’altra porta che era dinanzi a noi.
Un convoglio ferroviario con la motrice fumante era in attesa sul binario.
I militari tedeschi, armati, ci dirigevano verso i vagoni quando comparvero aerei titini che, sbagliando traiettoria, invece di neutralizzare il treno, investirono la banchina.
Sgomento collettivo tra: urla, pianti, invocazioni d’aiuto. Poi la calma improvvisa. Il treno poté partire col suo triste carico”.
Con straordinaria memoria fotografica Marisa Errico, dal telefono della sua abitazione di Roma (dove, col marito Ludovico Catone, accoglie gli amici del suo sodalizio letterario) rinnova la testimonianza della bambina deportata per errore che pubblicò nel racconto realista ‘Non avevo la stella’ (2011).
Sulla sua casacchina di internata, a differenza degli ebrei, sia Marisa che i genitori non avevano la famosa stella identificativa.
Al suo inquietante interrogativo la madre rispose che non gliel’avevano ancora data perché dovevano meritarla.
La verità è che il funzionario nazista di Treviso aveva confuso il cognome tedesco di Ilse con quello del pensatore ebreo, omonimo del padre, Franz.
In un’atmosfera da controspionaggio la fuga da Terezin il 4 novembre del 1944 con un’auto che uscì insospettata dal campo dirigendo su Raspenau, a casa del nonno.
Il blitz fu gestito abilmente dalla zia Greta, funzionario della Croce Rossa Internazionale.
Finita la guerra l’8 maggio 1945, si scatenò la reazione dei Cechi contro i concittadini di origine tedesca.
Il 20 nonno Franz Werfel organizzò, con un carrettino, la fuga della figlia, del genero e della nipotina verso Praga.
L’allegro ‘Funiculì, funiculà’ intonato a squarciagola da soldati napoletani lungo la strada completò il ‘miracolo’: a Praga i genieri del nostro esercito, liberati dalla prigionia, stavano riportando in efficienza un treno disastrato ed abbandonato.
Il Maresciallo Antonio Errico riuscì agevolmente ad ottenere il ‘passi’ per Marisa, Ilse e se stesso, quale garante del gruppetto ‘intruso’.
“Quella graffiante esperienza – commenta Marisa Errico – mi ha vaccinata contro qualsiasi tirannia”.
Cliccare sulle foto per il racconto a SAT 2000 e la storia biografica di Marisa Errico
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