Da Caiazzo alla corte del Re d’Inghilterra Franco Pepe, sempre più ‘Re della Pizza’
Sempre più in alto Franco Pepe, ora approdato alla corte del re d’Inghilterra, come reso noto tramite Facebook dallo stesso, proprio dalla Highgrove House:

'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)
Notizie prodotte, elaborate, ricevute o comunque relative al comparto mondiale, ovvero inerenti piccoli centri o nazioni diverse dall’Italia…
Sempre più in alto Franco Pepe, ora approdato alla corte del re d’Inghilterra, come reso noto tramite Facebook dallo stesso, proprio dalla Highgrove House:
“I apologise to you for not being able to speak clearly due to this bad cold. I have therefore asked my brother to read the catechesis. He will read it better than me.” Wednesday’s weekly audience in Paul VI Hall began with these extemporaneous words, after which Pope Francis entrusted the reading of the catechesis almost entirely to Fr Pierluigi Giroli, with the exception of the greetings to the Spanish and Italian-speaking faithful, which he delivered himself. “Let our thoughts turn to the countries that are suffering from war: battered Ukraine, Israel, Sudan, so many countries that are suffering. Let us remember and pray for the displaced people of Palestine,” Francis said in his greeting to the Italian-speaking faithful. Mary, her visit to Elizabeth and the Magnificat were the central themes of the catechesis.
“This young daughter of Israel does not choose to protect herself from the world; she does not fear dangers and the judgements of others, but goes out towards other people”,
the Pope wrote with regard to the episode of the Visitation. “When we feel loved, we experience a force that sets love in motion”, he said: “Mary feels the push of this love, and goes to help a woman who is her relative, but also an elderly woman who, after a long wait, is welcoming an unhoped-for pregnancy, difficult to deal with at her age.” “But the Virgin also goes to Elizabeth to share her faith in the God of the impossible and her hope in the fulfilment of His promises”, Francis remarks: “The encounter between the two women produces a surprising impact: the voice of Mary, ‘full of grace’, who greets Elizabeth provokes the prophecy in the child the older woman is carrying in her womb, and inspires in her a dual blessing: ‘Most blessed are you among women, and blessed is the fruit of your womb!’ Also a beatitude: ‘“Blessed are you who believed that what was spoken to you by the Lord would be fulfilled.”
“Mary sings of the grace of the past, but she is the woman of the present who carries the future in her womb”,
the Pope assures in his comment to the Magnificat. “Mary does not want to sing ‘out of the choir’ but to tune in with the forefathers, exalting her compassion for the humble, those little ones whom Jesus in his preaching will declare blessed”, Francis notes: “The prominent presence of the paschal motif also makes the Magnificat a hymn of redemption, which has as its backdrop the memory of the liberation of Israel from Egypt. The verbs are all in the past, imbued with a memory of the love that lights up the present with faith and illuminates the future with hope.” The Magnificat encompasses three key words: “memory, mercy, promise”: “The Lord, who bowed down to the humble Mary to fulfil “great things” in her and make her the mother of the Lord, began to save His people starting from the exodus, remembering the universal blessing promised to Abraham.” “Let us ask the Lord today for the grace to be able to wait for the fulfilment of every one of His promises; and to help us to welcome Mary’s presence in our life”, the final invite.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Il numero uno della Ficei e del Consorzio: “Effetti devastanti per agroalimentare e manifatturiero”.
“L’introduzione di nuovi dazi statunitensi sulle merci europee potrebbe colpire duramente l’export campano, con effetti potenzialmente devastanti per il settore agroalimentare e manifatturiero in una forbice compresa tra il 20 e il 35%. Nel comparto agroalimentare, i rischi più elevati riguardano l’olio d’oliva e la pasta che, gravati dalla sovrattassa, risulterebbero meno competitivi i prodotti rispetto ai concorrenti esteri”.
A dirlo è Antonio Visconti, presidente Ficei e numero uno dell’Area di sviluppo industriale di Salerno, commentando l’avvio odierno dei dazi doganali, decisi dall’Amministrazione Usa, per Cina, Messico e Canada.
“Anche il settore vinicolo non è immune: le esportazioni di vini campani potrebbero subire un taglio del 20%, mentre la mozzarella di bufala, per cui gli Usa rappresentano un mercato chiave, rischia una flessione tra il 15% e il 25%, con pesanti ricadute per le aziende del comparto caseario”.
Situazione potenzialmente critica anche nel manifatturiero (tessile possibile -12%) e artigianato (-30%).
“Se le misure protezionistiche americane venissero inasprite, la perdita complessiva per l’export campano potrebbe superare il miliardo di euro, con effetti a cascata sull’intera filiera produttiva e occupazionale”, conclude Visconti. “Le aziende campane, già provate dall’inflazione e dall’aumento dei costi energetici, potrebbero trovarsi costrette a ridimensionare la produzione o cercare nuovi mercati per compensare le perdite”.
(Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
Cristoforo Colombo cercava nuove rotte per favorire il commercio verso l’Asia e i Reali di Spagna lo finanziarono.
Si ritrovò nel 1492 nella sconosciuta e arretrata America, da quel momento meta di tanti altri navigatori. Tutti più o meno legati ai grandi movimenti di merci.
I flussi commerciali, che hanno causato oppressioni coloniali e guerre, sono stati comunque un elemento di conoscenza dei popoli: prodotti agricoli, tessuti, spezie, abitudini e culture.
Le guerre commerciali negli anni Duemila sono sempre più armi di geopolitica come si è visto con il grano in alcuni passaggi della guerra tra Russia e Ucraina.
L’uso di dazi rafforzati è stato subito indicato dal nuovo presidente americano, Donald Trump, come uno strumento per spingere la produzione e l’occupazione interna (America First) e come un potente mezzo di pressione per ottenere altro. Da inizio febbraio sono scattate tasse aggiuntive del 25% per i prodotti dei confinanti Messico e Canada, per la Cina l’imposizione ulteriore è del 10% ed entra nel contenzioso tra le due grandi potenze.
La Vecchia Europa è in allarme. Per ora non vi sono “punizioni” ma il numero uno della Casa Bianca ha assicurato che l’appesantimento fiscale sulle merci ci sarà perché “la Ue ci ha trattati male”. Qualcosa arriverà e probabilmente scatterà nei primi tre mesi di presidenza. E’ ben esplicito, nel ragionamento di Trump, lo sfondo non solo economico dei provvedimenti.
Non si tratta solo di squilibri commerciale import/export, o di settore, che “ruberebbero” ricchezza agli States. Canada e Messico vengono puniti perché non fanno abbastanza per arginare il flusso di migranti verso i confini Usa. Non si battono, e l’accusa viene rivolta anche alla Cina, per stroncare il micidiale Fentanyl, un oppioide sintetico più potente dell’eroina.
Come è evidente i Paesi colpiti reagiranno “dazio per dazio” e non escludono altre forme di ritorsione. C’è il rischio che I Governi entrino in una spirale negativa, oppongano sanzioni e regolamentazione contro i nemici chiudendosi in aree continentali o piccole alleanze.
Una difesa dei confini commerciali che ridurrebbe di molto la concorrenza internazionale. Trump ha promesso di contenere l’inflazione ma con un’economia in crescita, e così protetta, non sarà facile. Canada e Messico – ad esempio – forniscono un terzo del greggio raffinato negli Usa. Se non sarà più disponibile i prezzi energetici potrebbero salire.
La nuova amministrazione punta alla centralità del dollaro nelle attività di scambio commerciale. I grandi paesi Brics ( innanzitutto Brasile, Russia, India, Cina , Sudafrica) ipotizzano una valuta antagonista Trump li ha già avvertiti: scatterebbero dazi del 100% sulle merci importate.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
“La situazione generale sta costantemente peggiorando. La guerra non solo ha sfollato migliaia di persone, ma ha anche devastato le infrastrutture, l’economia e il tessuto sociale della regione.
La popolazione dello Stato di Kayah continua a vivere in condizioni di estrema incertezza, con poche speranze di una vita migliore in vista”.
È mons. Celso Ba Shwe, vescovo di Loikaw, a ripercorrere in questa intervista al Sir i 4 anni di colpo di Stato.
Era il 1° febbraio 2021, quando l’esercito prendeva con forza il potere. Da allora, secondo i dati di Amnesty International, la giunta militare ha ucciso oltre 6.000 persone, ne ha arrestate arbitrariamente più di 20.000 e ha ripreso a eseguire condanne a morte. Gli sfollati interni sono oltre tre milioni e mezzo. Anche mons. Ba Shwe dallo scorso anno vive da “sfollato” in mezzo agli sfollati. Una situazione che lo rende un testimone in prima linea del dolore e delle prove che la popolazione del Myanmar sta vivendo in questi 4 anni di guerra.
Eccellenza, qual è stato il momento più difficile che ha personalmente vissuto?
Il momento più difficile per me è arrivato il 27 novembre 2023, quando ho dovuto prendere la dolorosa decisione di lasciare la cattedrale e il centro diocesano di Loikaw, la capitale dello Stato di Kayah. A quel punto, la città era già stata gravemente colpita da intensi combattimenti tra l’esercito e le Forze di difesa popolare (Pdf). La maggior parte dei residenti era fuggita nei primi giorni e noi eravamo rimasti con 73 persone: sacerdoti, personale religioso e 37 sfollati interni (Idp), tra cui malati, anziani e disabili che non potevano muoversi da soli. Siamo rimasti nel centro per due settimane, resistendo in mezzo alla violenza e ai bombardamenti, sperando che i combattimenti si placassero. Ma la notte del 26 novembre, quando il centro diocesano fu colpito più volte dall’artiglieria e da pesanti bombardamenti, mi resi conto che la situazione era diventata troppo pericolosa per restare ancora. Fu con il cuore pesante che presi la decisione di andarmene, era il 27 novembre, sapendo che la nostra sicurezza e il nostro benessere dipendevano dall’uscire dalla zona. Fu un momento di profonda difficoltà, poiché dovetti bilanciare l’esigenza di sicurezza con la profonda responsabilità che sentivo per le persone di cui mi prendevo cura.
Myanmar, mons. Celso Ba Shwe, il vescovo sfollato tra gli sfollati
Quale invece è stato il ricordo più bello?
Il ricordo più bello che conservo ancora in un posto speciale nel mio cuore è il momento in cui gli operatori sanitari volontari sono stati rilasciati dalla detenzione da parte dell’esercito, era il 22 novembre 2021. Il giorno prima, il 21 novembre, l’esercito aveva preso d’assalto la nostra clinica diocesana di beneficenza e arrestato 18 operatori sanitari. Questi operatori avevano prestato assistenza presso la clinica a circa 400 sfollati interni che avevano cercato rifugio nel complesso della cattedrale da quando era iniziato il conflitto armato nel maggio 2021. L’ospedale statale aveva cessato le operazioni a causa del movimento di disobbedienza civile e le persone non avevano nessun altro posto a cui rivolgersi per cure mediche durante la terza ondata di covid-19. Siamo stati ingiustamente accusati di aver curato membri delle Forze di difesa popolare, il che era completamente falso. Dopo un periodo di tensione di trattative, tra ufficiali militari e leader della Chiesa, gli operatori sanitari sono stati rilasciati il giorno successivo. Quando sono tornati alla clinica, è stata una scena indescrivibile. Gli sfollati, compresi quelli che ricevevano cure mediche, li hanno accolti con una gioia travolgente: lacrime di felicità, canti e grida di gioia. Un momento bellissimo e fortemente sentito, che ha mostrato il potere della solidarietà e della compassione di fronte alle avversità.
Myanmar, piccola comunità cattolica di Loikaw (foto vescovo Celso Shaw)
Dopo 4 anni, qual è la situazione della “sua” gente?
Dopo quattro anni di guerra civile, la situazione nello Stato di Kayah è terribile. I combattimenti in corso tra l’esercito e le Forze di difesa popolare hanno lasciato le comunità intrappolate tra incertezza e difficoltà. Mentre molti sfollati interni desiderano ardentemente tornare a casa, la strada per la ripresa è ancora lontana. La situazione nei campi per sfollati è sempre più tesa poiché il supporto di emergenza è diminuito, con difficoltà di trasporto e il conflitto costante che rendono gli aiuti meno accessibili. Il peggioramento della carenza di cibo e l’aumento dei prezzi dei prodotti di base stanno causando ulteriori sofferenze. Oltre all’immediata crisi umanitaria, l’imposizione di una nuova legge sulla coscrizione ha aggravato i problemi. I giovani, che tradizionalmente cercavano opportunità di istruzione o di lavoro fuori dallo Stato o addirittura all’estero, sono ora limitati da questa legge, il che accresce il senso di disperazione e limita le prospettive future per molti. Anche i servizi sanitari sono stati gravemente colpiti, con molte cliniche e centri sanitari comunitari costretti a chiudere a causa della mancanza di medicinali e del timore di attacchi aerei. Ciò lascia le persone senza accesso alle cure mediche essenziali, contribuendo ulteriormente alla situazione già fragile.
Myanmar, piccola chiesa tra gli sfollati di Loikaw (foto vescovo Celso Shaw)
In questa oscurità, qual è la vostra speranza oggi?
Quest’anno, la Chiesa cattolica celebra l’Anno del Giubileo con il tema “Pellegrini di speranza”. Come cristiani, siamo persone di speranza, che viaggiano insieme attraverso le sfide della vita sostenendoci a vicenda e condividendo le nostre risorse, specialmente tra le comunità ospitanti e gli sfollati interni. Anche di fronte a una grande incertezza, non perdiamo la speranza.
La nostra fede in Dio diventa più forte e la nostra resilienza diventa più visibile ogni giorno.
In mezzo alle difficoltà, siamo testimoni della presenza e della luce di Dio attraverso la solidarietà e l’unità che condividiamo gli uni con gli altri. La mia speranza oggi è che, attraverso l’amore e il sostegno reciproco, supereremo tutte le difficoltà.
.(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Con l’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Casa Bianca le sue prime direttive stanno già suscitando forti polemiche, in particolare quelle riguardanti l’identità di genere.
Una delle misure più controverse prevede il riconoscimento esclusivo di due soli generi, maschio e femmina, basandosi unicamente sul sesso assegnato alla nascita.
Questa decisione cancella di fatto il riconoscimento legale delle persone transgender e non binarie, impedendo loro di modificare il proprio genere sui documenti ufficiali e negando protezioni fondamentali contro la discriminazione in ambiti come lavoro, scuola e assistenza sanitaria. Tra una delle conseguenze immediate vi è la revoca delle linee guida che permettevano agli studenti transgender di usare bagni e spogliatoi in base alla loro identità di genere, una misura che rischia di esporli a emarginazione e violenza.
Questa politica rappresenta un grave passo indietro per i diritti della comunità LGBTQ+, distruggendo anni di lotta per il riconoscimento e uguaglianza, favorendo un clima di discriminazione sistemica. Attivisti e associazioni per i diritti civili fortunatamente hanno già denunciato questa direttiva come un attacco diretto alla comunità transgender, avvertendo che potrebbe aumentare i casi di discriminazione e violenza.
L’opposizione politica e diversi stati a guida democratica stanno valutando azioni legali per contrastare queste politiche discriminatorie mentre aziende e istituzioni accademiche hanno già dichiarato che continueranno a riconoscere e supportare le persone transgender.
Anche l’Europa ha espresso preoccupazione per il rischio che queste decisioni possano ispirare politiche simili in altri Paesi.
L’Amministrazione Trump con queste nuove misure, sembra voler accontentare l’elettorato più conservatore ma sta anche alimentando una mobilitazione senza precedenti per difendere i diritti LGBTQ+.
Ora resta da vedere solo se la società civile e le istituzioni riusciranno a impedire che gli Stati Uniti compiano un pericoloso passo indietro in materia di diritti umani.
(Fonte: DeaNotizie – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Pakhshan Azizi ha dedicato la sua vita ad aiutare gli altri, poi è stata arrestata.
L’Iran l’ha torturata e tenuta in isolamento per cinque mesi.
Ora è stata condannata a morte.
A Teheran stanno piovendo lettere da tutto il mondo per chiedere di salvare la vita di Pakhshan e far sapere alle autorità repressive iraniane che sono sotto i riflettori.
Unisciti per chiedere di liberarla!
Cari avaaziani, Pakhshan per anni ha assistito donne e bambini nei campi profughi in Siria, dedicando la sua vita al lavoro umanitario e ai diritti umani.
Ora vogliono impiccarla.
L’operatrice sociale e attivista curda, Pakhshan Azizi, è stata sequestrata, tenuta in isolamento per mesi e torturata dagli agenti dell’intelligence iraniana.
L’estate scorsa, Pakhshan è riuscita a far arrivare una lettera, dove ha descritto i suoi “interrogatori”: hanno ripetutamente finto di impiccarla ed è stata seppellita a 10 metri di profondità prima di essere riportata in superficie.
L’orrore è inimmaginabile. Ora, in seguito a un processo fasullo, l’Iran ha condannato Pakhshan a morte.
Siamo ancora in tempo per salvarla!
Da tutto il mondo, attivisti per i diritti umani stanno chiedendo di mobilitarci per chiedere di liberare Pakhshan.
Unisciti ora a questo appello urgente al capo della magistratura iraniana!
Quando avremo abbastanza firme, lanceremo il nostro appello con annunci a effetto sui media per fare pressione sulle autorità iraniane: sentiranno i riflettori di tutto il mondo puntati su di loro.
Firma per salvare Pakhshan.
In passato, la pressione globale ha aiutato a fermare esecuzioni in Iran anche prima che i conflitti interni indebolissero il regime.
Da tutto il mondo piovono lettere per Gholam-Hossein Mohseni Eje’i, il capo della magistratura iraniana!
Uniamoci a questo appello per la giustizia e chiediamo la libertà di Pakhshan:
La protesta pubblica contro l’esecuzione di Pakhshan non mira solo a salvarle la vita, ma afferma che il mondo non ha dimenticato di cosa è capace la brutale repressione dell’Iran.
Più volte in passato il nostro movimento ha sostenuto prigionieri politici e contribuito a fermare esecuzioni: in più di un milione ci siamo uniti all’appello per fermare la lapidazione di Amal in Sudan, per chiedere la liberazione del 27enne Mohammad in Iran e per liberare Ahed in Palestina.
Usiamo il nostro potere per salvare di nuovo una vita!
Con fervente speranza e determinazione, Alice, John, Nate, Antonia e tutto il resto del team di Avaaz.
La storia di Andrew Cassy, un ex ricercatore nel campo delle telecomunicazioni affetto dal morbo di Parkinson, apre una finestra su uno dei più promettenti e, al contempo, controversi ambiti della medicina moderna: le terapie con cellule staminali. Nel 2024, Cassy ha partecipato a una sperimentazione pionieristica in Svezia, dove i chirurghi hanno impiantato nel suo cervello neuroni derivati da cellule staminali embrionali umane (ES), aprendo un dibattito che va ben oltre gli aspetti puramente scientifici.
Questo caso si inserisce in un panorama più ampio di oltre 100 studi clinici che esplorano l’uso delle cellule staminali per diverse patologie, dal Parkinson al diabete, dall’epilessia alle malattie cardiache. Ma dietro questi progressi scientifici si celano questioni etiche fondamentali, a partire dalla fonte stessa delle cellule staminali.La ricerca si trova infatti di fronte a un bivio: utilizzare cellule ES, derivate da embrioni umani, o optare per le più recenti cellule staminali pluripotenti indotte (iPS), ottenute riprogrammando cellule adulte?
La scelta non è solo tecnica, ma profondamente etica. Le cellule ES sono considerate da molti ricercatori più affidabili perché meno manipolate, ma il loro utilizzo solleva importanti obiezioni morali, dal momento che il loro reperimento comporta necessariamente la distruzione di embrioni umani. Le cellule iPS, al contrario, evitano questi problemi etici, ma introducono potenziali rischi legati alla riprogrammazione cellulare.
Il caso del Parkinson è emblematico di questi dilemmi. I primi trapianti utilizzavano neuroni derivati da tessuto cerebrale fetale, una pratica che ha sollevato intense controversie etiche. Il passaggio alle cellule ES e iPS ha offerto un’alternativa tecnica, ma ha aperto nuovi interrogativi sulla commercializzazione della ricerca e sull’accesso alle terapie. La questione si complica ulteriormente considerando le implicazioni “politiche”: in alcuni paesi, infatti, le restrizioni sull’uso di cellule embrionali hanno spinto la ricerca verso le iPS, “orientando” così di fatto il corso dello sviluppo scientifico.
Un altro aspetto critico riguarda l’equità nell’accesso alle terapie. Le cellule iPS personalizzate, create dalle cellule del paziente stesso, evitano il rigetto ma sono estremamente costose e richiedono settimane di preparazione. Le linee cellulari generiche sono più accessibili ma necessitano di immunosoppressori, sollevando questioni di giustizia distributiva nell’accesso alle cure.
C’è poi la questione etica legata alla commercializzazione della ricerca sulle cellule staminali. Mentre alcune aziende biotecnologiche ottengono risultati promettenti, come nel caso della terapia per l’epilessia di Neurona Therapeutics, emerge il rischio di cliniche che offrono terapie non approvate, sfruttando le speranze dei pazienti.
Il caso di Cassy rappresenta la complessità di questi dilemmi: da un lato, la sua partecipazione volontaria alla ricerca contribuisce al progresso scientifico; dall’altro, solleva interrogativi sulla sperimentazione umana in ambiti ancora pioneristici.
La sua storia, insomma, ben evidenzia come il progresso scientifico debba necessariamente confrontarsi con considerazioni etiche che vanno oltre la pura efficacia terapeutica.Mentre la ricerca sulle cellule staminali continua a evolversi, dunque, diventa sempre più chiaro che il successo di queste terapie dipenderà non solo dalla loro efficacia clinica, ma anche dalla capacità della società di affrontare le questioni etiche che sollevano.
La sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio tra progresso scientifico, rispetto dei principi etici e accessibilità delle cure, in un dialogo continuo tra scienza, etica e società.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Siamo tutti figli di Abramo e anche di Mosè. Lo sono anche quei 300mila Palestinesi che stanno rientrando come un fiume umano verso la loro terra, una Terra promessa, ma che non ha le caratteristiche descritte dalla Bibbia.
Nella striscia di Gaza non troveranno latte e miele a scorrere come fiumi, troveranno distruzione e macerie e tutti i segni della morte che la guerra porta con sé.
Una folla di disperati, senza casa e senza terra, che cerca di tornare sotto quel lembo di cielo che sentono come loro casa, come loro terra. Hanno percepito che la tregua regge e si sono messi in cammino. Erano ammassati, uno sull’altro, al nord della Striscia e Israele ne impediva il passaggio per la disputa con Hamas sul rilascio della giovane civile. Ieri la svolta ed è iniziato un pellegrinaggio di speranza ma che ha le caratteristiche di una trasmigrazione epocale.
Rifugiati dopo la fuga dalle bombe che cadevano come piaggia dal Cielo, ora ritornano ma nel loro cuore, nella loro mente e soprattutto nei loro sogni quale proiezione di sicurezza c’è? Quale stabilità gli permetterà di liberare la loro terra dalle macerie per ricominciare a vivere?
Tante domande affollano il loro cuore così come il nostro? Ma chi è ama la propria terra fa pochi calcoli, chi si sente a casa solo in quella striscia di terra ha deciso di rimettersi in moto e di ritornare sui propri passi, quelli segnati dal terrore e dalla fuga.
Un po’ come Maria e Giuseppe, quei giovani sposi che insieme al loro bambino avevano il cuore pieno di sogni e di speranze. Erano scappati a causa di una incombente minaccia, ritornarono dall’Egitto appena saputo che era morto colui che voleva uccidere il bambino. Ritornarono nella loro terra ma presero casa un po’ più lontano, fecero una scelta prudente, per restare al riparo e nel nascondimento e finalmente nella pace.
Ma, oltre a rimuovere le macerie di pietra questa folla di persone dovrà rimuovere le macerie che si portano nell’animo. Faranno più fatica e queste ultime sono il terreno dove facilmente può sbocciare l’odio e il rancore. Bisognerà spegnere il fuoco della rabbia, ripartendo da quest’alba di resurrezione, da questi prima barlumi che hanno rimesso in piedi questo popolo piagato ma che non è stato piegato.
Bisognerà aiutarli a ricostruire e ricostruirsi ma allo stesso tempo si dovranno spegnere sul nascere tutte le pericolose scintille che adesso scoppietteranno qua e là, provocando disordini legati a miseria, dolore e povertà. In pochi troveranno un tetto o un rifugio. Adesso toccherà ai governi, alle istituzioni internazionali, darsi da fare per aiutare questo popolo a ritrovare la sua dignità e a vincere la paura, la malattia e le miserie che hanno ereditato da una avventura che, come ogni guerra, è stata una follia senza ritorno.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
“Compito di chi scrive è il raccontare; quello di chi legge è il ricordare“.
Nuova iniziativa dell’associazione Codici in merito al caso della compagnia assicurativa lussemburghese “Fwu Life”, che sta provocando grande preoccupazione tra i circa 100mila risparmiatori italiani per il timore di vedere andare in fumo i propri sold: il fallimento del piano di salvataggio della società agita il settore assicurativo.
Migliaia di risparmiatori stanno seguendo con apprensione gli ultimi sviluppi relativi alla compagnia Fwu Life Insurance Lux Sa.
Nei giorni scorsi l’Autorità di vigilanza lussemburghese, il Commissariat aux Assurances, ha decretato il fallimento del piano di salvataggio. Non solo.
La Caa ha anche presentato al Tribunale del Lussemburgo una domanda di scioglimento e messa in liquidazione coatta dell’impresa.
L’associazione Codici ha attivato i suoi Sportelli per fornire tutta l’assistenza necessaria ai risparmiatori coinvolti in una situazione che sta provocando grande agitazione per via del timore di vedere andare in fumo i propri soldi.
“La preoccupazione è comprensibilmente tanta – dichiara Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale di Codici – e molti si stanno chiedendo cosa ne sarà dei propri risparmi. Stando alle prime stime, il fallimento della Fwu Life coinvolgerebbe circa 100mila risparmiatori italiani ed il controvalore delle polizze sarebbe di circa 300 milioni di euro.
Le polizze sono congelate e non si possono riscattare. In attesa di ulteriori aggiornamenti ed anche di comunicazioni da parte di Ivass, il nostro consiglio è quello di verificare la propria posizione nei confronti della compagnia, se necessario con l’aiuto di un esperto o di un legale vista la delicatezza e la complessità della situazione.
Come associazione ci siamo naturalmente attivati per raccogliere le segnalazioni dei risparmiatori e fornire assistenza”.
Di seguito la comunicazione dell’Autorità di vigilanza lussemburghese del 22 gennaio
Il 19 luglio 2024, il Commissariat aux Assurances (CAA), è stato informato dalla società di assicurazioni FWU Life Insurance Lux S.A. (di seguito: la “società”) di non rispettare più i requisiti normativi relativi alla copertura del requisito patrimoniale minimo (MCR), del requisito patrimoniale di solvibilità (SCR) e della copertura delle passività assicurative con attività rappresentative ammissibili.
Di conseguenza, conformemente all’articolo 124, paragrafo 3, della legge del 7 dicembre 2015, sul settore assicurativo (LSA), così come modificato, la società era tenuta, nell’ambito di un piano di risanamento, ad adottare le misure necessarie a ripristinare, entro sei mesi da tale constatazione, vale a dire entro il 19 gennaio 2025, i fondi propri di base ammissibili almeno al livello dell’SCR, o a ridurne il profilo di rischio al fine di garantire il rispetto dell’SCR. Anche la copertura delle passività assicurative mediante attività rappresentative ammissibili, conformemente ai requisiti di cui all’articolo 117 dell’LSA, doveva essere garantita entro il 19 gennaio 2025.
In considerazione di una serie di incertezze, CAA non è in grado di trarre conclusioni sulla copertura del requisito patrimoniale di solvibilità alla data della presente pubblicazione.
Alla data di tale pubblicazione, CAA deve constatare che il periodo di sei mesi concesso alla Società non ha consentito a quest’ultima di ripristinare la copertura degli impegni assicurativi con attività rappresentative ammissibili.
Pertanto, CAA deve concludere che il piano di risanamento della società è un fallimento.
CAA informa il pubblico che, alla data della presente pubblicazione, ha presentato una domanda di scioglimento e liquidazione giudiziaria contro la società presso il Tribunal d’arrondissement de Luxembourg.
Tuttavia, CAA desidera sottolineare che il fallimento del piano di risanamento non ha un effetto immediato, né sul blocco dei valori rappresentativi delle riserve tecniche presso gli istituti depositari deciso da CAA, né sul procedimento giudiziario di sospensione del pagamento, in cui la Società si trova dal 2 agosto 2024, e che rimarrà in vigore fino all’adozione di una decisione giudiziaria.
Nel frattempo, ad inizio dicembre il Tribunale di Monaco ha disposto l’apertura di una procedura di insolvenza nei confronti della Fwu Ag, la società madre dell’impresa di assicurazione Fwu Life Insurance Lux Sa.
I risparmiatori che hanno sottoscritto una polizza con la compagnia Fwu Life Lux possono richiedere assistenza all’associazione Codici per verificare la propria posizione telefonando al numero 065571996, inviando un messaggio WhatsApp al numero 3757793480 o scrivendo un’e-mail a segreteria.sportello@codici.org.
(Francesco Serangeli– Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
“Mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo”, in un tempo “segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti”. Comincia così il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, alla vigilia del primo grande evento giubilare, dedicato appunto ai giornalisti, esortati ad essere “comunicatori di speranza”. “Di fronte alle vertiginose conquiste della tecnica, vi invito ad avere cura del vostro cuore, cioè della vostra vita interiore”, la consegna finale.
“Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio”,
il grido d’allarme di Francesco, che invita ancora una volta a “disarmare” la comunicazione, cioè a “purificarla dall’aggressività”: “Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire”. “Non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan”, il monito: “Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica”. Senza contare che i sistemi digitali “modificano la nostra percezione della realtà”, attraverso una “dispersione programmata dell’attenzione”. In un tale contesto, “sembra che individuare un nemico contro cui scagliarsi verbalmente sia indispensabile per affermare sé stessi. E quando l’altro diventa nemico, quando si oscurano il suo volto e la sua dignità per schernirlo e deriderlo, viene meno anche la possibilità di generare speranza”. Tutti i conflitti “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”, la citazione di don Tonino Bello. Per il Papa, “non possiamo arrenderci a questa logica”, anche se “sperare non è affatto facile”.
Lo stile da adottare, per i comunicatori, è quello indicato nella prima lettera di Pietro:
“Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto”. “La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità”. “Sogno una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato”, rivela Francesco. “Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri. Una comunicazione che ci aiuti a riconoscere la dignità di ogni essere umano e a prenderci cura insieme della nostra casa comune. Sogno una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare”. Per fare questo, occorre
“guarire dalle malattie del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso”,
perché il buon comunicatore “fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate”. Il Papa entra anche nel dettaglio del lavoro quotidiano del giornalista, esortando “a scoprire e
raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca;
a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita”, per aiutare il mondo “ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso”, scovando “le scintille di bene che ci permettono di sperare”. Il Giubileo ha molte implicazioni sociali”, sottolinea Francesco: “Pensiamo ad esempio al messaggio di misericordia e speranza per chi vive nelle carceri, o all’appello alla vicinanza e alla tenerezza verso chi soffre ed è ai margini”.
Riprendendo il tema della sua ultima enciclica, “Dilexit nos”, il Papa declina una sorta di decalogo per i comunicatori:
“Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro. Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione. Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto. Cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità. Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie della vita ma sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favela. Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo. Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro”.
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La vescova Mariann Edgar Budde, leader della diocesi episcopale di Washington, ha recentemente rivolto critiche dirette a Donald Trump durante una cerimonia presso la National Cathedral della capitale statunitense. Nel suo intervento, Budde ha chiesto al presidente di adottare un atteggiamento di compassione verso le comunità più vulnerabili, come LGBTQ+ e immigrati.
Budde ha dichiarato: “Le chiedo di considerare con misericordia coloro che, in questo momento, vivono nella paura. Ci sono giovani gay, lesbiche e transgender in famiglie di ogni orientamento politico”. Inoltre, ha sottolineato il valore degli immigrati nella società americana, ricordando che essi sono fondamentali in settori come l’agricoltura, la sanità e la ristorazione, e che la maggioranza non è coinvolta in attività illecite.
La risposta di Trump non si è fatta attendere: al termine del servizio religioso, ha commentato in maniera laconica, affermando di non essere rimasto colpito dal sermone.
Mariann Budde, in carica dal 2011 come prima donna a guidare la diocesi episcopale di Washington, è conosciuta per il suo impegno verso temi di giustizia sociale. In passato, aveva già criticato Trump per aver utilizzato la chiesa episcopale di St. John come sfondo per una foto con la Bibbia durante le proteste per George Floyd, giudicando il gesto come una strumentalizzazione politica di uno spazio sacro.
Questo evento rappresenta un’ulteriore prova delle divisioni tra alcuni leader religiosi e l’amministrazione Trump su questioni come i diritti civili e le politiche migratorie.
(Fonte: BelvedereNews – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)