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Regione Campania. Andrebbe sospeso ‘per legge’ il governatore De Luca, ma per il PD ‘la Severino’ vale solo per Berlusconi?

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de-luca-15x10-severino-11legge-15x8-severino-tabella-11Sedici pagine per spiegare che l’applicazione della legge Severino non violava la nostra Costituzione, almeno nei confronti del sindaco Luigi De Magistris.

I giudici della Consulta (presidente Alessandro Criscuolo, estensore Daria de Pretis) hanno depositato le motivazioni della loro decisione.

Ciò, di fatto, pone la parola fine sul rapporto De Magistris-legge Severino, anche per l’assoluzione del sindaco nel processo penale d’appello il 21 ottobre scorso.

Una vicenda che, dopo la condanna in primo grado per abuso d’ufficio a un anno e tre mesi, aveva visto più tappe.

La prima era stata la decisione della prima sezione del Tar di Napoli che, il 30 ottobre dell’anno scorso, aveva sospeso la sospensione ritenendo di accogliere l’eccezione di costituzionalità del sindaco.

Quando, il 25 giugno scorso, la questione era passata per competenza alla prima sezione civile del tribunale di Napoli, era stata confermata la decisione del Tar, rinviando la parola finale alla Corte costituzionale.

Nonostante l’assoluzione di De Magistris nel processo penale d’appello, la sentenza numero 236 della Corte costituzionale fa comunque da precedente interpretativo all’applicazione della Severino.

E potrebbe avere riflessi indiretti sulle eccezioni di costituzionalità sollevate dagli avvocati del governatore Vincenzo De Luca.

Ma cosa stabiliscono i giudici costituzionali e quali erano le eccezioni sollevate dagli avvocati del sindaco?

Quattro gli articoli della Costituzione che si ritenevano violati, su questioni intrecciate: la sospensione degli amministratori locali dopo una sentenza di condanna di primo grado, anche per un reato non così grave come l’abuso d’ufficio, creerebbe un eccessivo sbilanciamento di interessi tra “moralità della pubblica amministrazione da salvaguardare e diritto inviolabile dell’elettorato passivo fondamento delle istituzioni“.

In sostanza, se pure le istituzioni non dovessero essere gestite da amministratori sui quali pende un sospetto di violazione della legalità, esiste anche un diritto a candidarsi e, se eletti, a rispettare la volontà popolare.

Può una sospensione, seppure temporanea, dopo una condanna di primo grado prevalere su un successo elettorale, mettendo in discussione “lo svolgimento di una funzione sociale scaturita da una libera scelta del cittadino?

Un quesito che poneva in discussione la natura della sospensione: è una sanzione aggiunta di tipo penale o un “provvedimento cautelare temporaneo?”

La Consulta risponde ai quesiti, chiarendo: non c’è violazione delle norme costituzionali.

E scrive: “Le misure non costituiscono sanzioni o effetti penali della condanna, ma conseguenza del venir meno di un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate o per il loro mantenimento“.

E ancora: “La norma non può essere considerata frutto di un bilanciamento irragionevole degli interessi in gioco, dal momento che anche l’applicazione immediata delle nuove cause ostative in essa previste costituiva ragionevole risposta all’esigenza della normativa.

Di fronte a una grave situazione di illegalità nella pubblica amministrazione, non è irragionevole ritenere che una condanna (non definitiva) per determinati delitti susciti l’esigenza cautelare di sospendere temporaneamente il condannato dalla carica, per evitare un inquinamento e garantire credibilità“.

E la conclusione del ragionamento è: se la condanna definitiva implica una decadenza definitiva, quella non definitiva può legittimamente provocare una sospensione temporanea.

Per questo, non c’è alcuno sbilanciamento di interessi costituzionali.

(Comunicato Stampa – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

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