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La preghiera del cuore, la supplica sussurrata

Una mattina, in un luogo del tempio dove le donne potevano accedere per pregare, la moglie di un pio israelita di nome Elkana, sola e sconsolata per non aver potuto dare figli a suo marito, come invece aveva fatto l’altra moglie di lui, cominciò a bisbigliare un’orazione, una supplica al Dio che ascolta il grido degli afflitti e che ha cura del povero e del debole.
Fu notata, mentre ripeteva, forse con lo sguardo perso delle anime senza speranza, dal sacerdote Eli, un religioso ormai lontano dalla attenzione fervorosa alle cose dell’Onnipotente.

Eli la osserva e pensa in cuor suo che ella sia ubriaca, non del tutto cosciente, incapace di partecipare nel modo corretto e adeguato al culto, come tutte le pie donne del suo popolo. La sua pena è troppo grande.

Così nelle steppe della Russia del diciottesimo secolo, uomini di poca cultura e di povera estrazione andavano quasi biascicando una giaculatoria continua e mormorata, una supplica sussurrata, senza interruzione, nel loro errare solitario. Ripetevano senza sosta la preghiera esicasta, cioè della quiete, l’invocazione del Nome, Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. Questa preghiera, nella sua semplicità, ma radicata nel solco di una tradizione antica, quella dei grandi padri del deserto d’Egitto, dei primi secoli della Chiesa cristiana, proprio questa preghiera ha permesso che i due continenti della fede, d’Oriente e d’Occidente, ricominciassero a tessere una tela comune dopo le scomuniche stracciate, frutto di una voluta riconciliazione dei due capi, Paolo VI e Atenagora.

Da allora, migliaia di cristiani desiderosi di compiere il comandamento di pregare senza intermissione, diedero nuovo inizio al cammino dell’uomo nuovo, nel tempo nuovo della Chiesa.

Quante vite ha cambiato questa invocazione costante e silenziosa, quante strade ha percorso e attraversato, ridonando il respiro dello Spirito ai cercatori della verità, quelli che con poca istruzione teologica, o semplicemente con poca attitudine allo studio, pure si incamminano verso l’incontro col mistero.
Essi la recitano nei centri delle città, negli affollati mezzi che le percorrono mentre si recano al lavoro, a scuola, in cerca di senso e di vita. Proprio questa Vita lasciano discretamente respirare in loro, in attesa che la volontà di Dio si realizzi, tra i paradossi e le contraddizioni del mondo in cui vivono.
È questa la scuola di preghiera per tutti, il bisbiglìo della speranza dei pellegrini del mondo contemporaneo, che desiderano rinnovare il volto della terra e delle relazioni umane imparando l’umiltà, nella supplica di Anna, quella moglie di Elkana che fu esaudita per la sua pietà, e poté restituire al tempio il voto della profezia, il figlio Samuele, colui che consacrò Davide, il re messia del tempo nuovo.

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La supplica alla Madonna di Pompei: una preghiera di pace

“O Augusta Regina delle Vittorie, o Sovrana del Cielo e della Terra, al cui nome si rallegrano i cieli e tremano gli abissi”. Sono i primi versi della celebre Supplica alla Regina del Santo Rosario di Pompei, che domani, a Pompei, è presieduta da mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Conferenza episcopale italiana, accolto dall’arcivescovo della Città mariana, mons. Tommaso Caputo. La preghiera si recita infatti, solennemente, in due giorni all’anno: l’8 maggio e la prima domenica di ottobre. A comporla, nel 1883, fu il beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario, delle Opere di carità e della stessa nuova Città di Pompei. Nel mese di settembre di quell’anno, Papa Leone XIII aveva pubblicato la lettera enciclica “Supremi Apostolatus Officio” e Longo era entusiasta di quel documento pontificio che gli sembrava un implicito imprimatur a tutta la sua attività. Erano gli anni in cui il Beato continuava a guidare la costruzione del Santuario di Pompei e dare tutto se stesso per la propagazione del Santo Rosario e della devozione mariana.

Leone XIII chiedeva ai cattolici un deciso impegno spirituale nel fronteggiare i mali della società e indicava la preghiera del Rosario come strumento sicuro per il bene della comunità umana e della Chiesa, travagliata da “gravi calamità”.

La “Supplica alla potente Regina del Santissimo Rosario” fu recitata la prima volta il 14 ottobre 1883. Il primo pontefice a recitarla, insieme ai dignitari vaticani, fu, alle 12 dell’8 maggio 1915, nella Cappella Paolina, Papa Benedetto XV, che tanto apprezzava lo zelo del fondatore e il bene compiuto nella Valle pompeiana. Questa bella tradizione proseguì con i pontefici successivi e Papa Francesco, all’Angelus o nell’udienza generale del mercoledì, ha sempre un pensiero per Pompei, unendosi spiritualmente alla recita della Supplica. Bartolo Longo definì la preghiera “l’Ora del mondo”, un’espressione efficacissima per far comprendere la sua capillare diffusione. Tradotta in decine di lingue, dall’inglese al russo, dall’armeno al cinese, dall’urdu al maltese e al tamil, è un’orazione universale recitata da milioni di persone da New York a Buenos Aires, da Toronto a Sydney, da Johannesburg a Caracas.

E, nel difficile contesto storico nel quale viviamo, non va dimenticato che la Supplica fu considerata, sin dagli inizi, una preghiera di pace.

Non erano tempi facili neanche quelli del fondatore del Santuario, che da un lato vedeva il diffondersi di teorie contrarie alla fede cattolica e, dall’altro, l’iniziale germe della divisione tra gli Stati che porterà all’immane tragedia della Prima Guerra mondiale. Nel testo Longo implorava pietà per le “nazioni traviate” e chiedeva che la Vergine, “Regina di pace e di perdono”, concedesse “pace all’umana società”. La Supplica è recitata abitualmente dinanzi alla Facciata del Santuario, inaugurata il 5 maggio 1901 dallo stesso Longo. In cima fu posta una statua, realizzata dallo scultore Gaetano Chiaromonte, raffigurante la Madonna del Rosario ai cui piedi fu posta, quasi come un’invocazione silenziosa, l’inscrizione “Pax” a caratteri cubitali. Descrivendo la Vergine raffigurata nel simulacro, il Beato scrisse: “Con la sinistra vi porge l’arma della Pace che soggioga il mondo, il Rosario, arma di fratellanza, unione dei cuori, amore che conquide il mondo”.

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