NEW YORK — «Tra le questioni significative relative ai diritti umani figurano segnalazioni credibili di: gravi restrizioni alla libertà di espressione, comprese leggi penali sulla diffamazione, e violenza o minacce di violenza contro i giornalisti».

Comincia così il capitolo dedicato all’Italia del 2023 Country Reports on Human Rights Practices, il rapporto annuale del dipartimento di Stato sulle violazioni dei diritti umani nel mondo. Il nostro Paese non è considerato una pecora nera, ma Washington su questo tema non fa sconti a nessuno e se individua problemi li denuncia. Nel caso di Roma, oltre alle «restrizioni alla libertà di espressione», cita le condizioni nelle carceri e il trattamento dei rifugiati, in particolare per gli accordi finalizzati a riportarli in Libia. Poi vengono sottolineati gli abusi contro la comunità Lgbtqi+ e il ritorno degli episodi di antisemitismo.

Il rapporto riguarda il 2023 e quindi non tocca gli episodi più recenti, come la censura dello scrittore Scurati da parte della Rai. Piuttosto si concentra sulla «legge che criminalizza la diffamazione e la calunnia, con sanzioni che vanno dalla multa fino a tre anni di carcere». Cita il caso di Matteo Renzi, sottolineando quindi che la pratica è diffusa, ma identifica in generale le cause per diffamazione come uno strumento abusato per intimidire o condizionare i giornalisti. L’altro problema grave è quello delle minacce fisiche, che vengono dalla criminalità e non solo: «L’Associazione nazionale dei giornalisti ha riferito che più di 250 colleghi sono stati vittime di intimidazioni e sono sotto protezione della polizia, di cui 22 l’hanno 24 ore su 24».

Il rapporto denuncia abusi contro i detenuti avvenuti a Santa Maria Capua Vetere, Milano e Verona, aggiungendo che «la popolazione carceraria a Brescia, Como e Lodi ha superato il 170% della capacità». Inoltre «solo il 60% delle celle per le detenute e il 47% per i detenuti avevano la doccia. Il rapporto ha poi evidenziato il trattamento improprio dei malati di mente».

Lo studio nota che «a settembre, 133.617 persone erano entrate nel Paese via mare, rispetto alle 71.790 dello stesso periodo del 2022. L’aumento ha influito sulla capacità delle autorità di fornire alloggi e altri servizi ai richiedenti asilo». Un problema serio riguarda i rimpatri: «Le autorità italiane hanno talvolta collaborato con la guardia costiera libica per sequestrare imbarcazioni che trasportavano persone nelle acque libiche e riportarle in Libia. La società civile, compreso l’Unhcr, non lo considera un “paese sicuro” a causa dell’assenza di un sistema di asilo funzionante e delle difficoltà affrontate dai rifugiati e richiedenti asilo in Libia, tra cui la mancanza di protezione dagli abusi, la mancanza di soluzioni durature, e un aumento del rischio di tratta per coloro che sono costretti a rimanere in Libia o vengono ritornati sulle coste libiche».

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