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S.Maria C.Vetere. Violenza in carcere, il teste conferma: ‘Noi picchiati, solo un agente fu gentile’

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L’uxoricida di Katia ascoltato in udienza: «Mi chiamavano “femminella” a causa del busto che portavo per il mal di schiena».

Un’udienza senza intoppi con una testimonianza, quella di Emilio Lavoretano, scorrevole e senza protagonismi rispetto ai precedenti testi-detenuti che si sono resi autori di show estemporanei, minaccia nei confronti di alcuni avvocati o imputati, promesse di far fallire il processo non facendo più deporre gli altri testimoni reclusi. Davanti ai giudici della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (presidente Roberto Donatiello) dove prosegue il processo sulle violenze in carcere di tre anni fa proveniente dal carcere di Terni, dove è stato trasferito dopo i pestaggi del 2020 è comparso un teste con una storia giudiziaria ingombrante, Emilio Lavoretano, che sta scontando in carcere 27 anni per l’omicidio della moglie Katia Tondi avvenuto nel luglio del 2013. Una vicenda dai lati oscuri anche se la sentenza di condanna è giunta con la conferma del terzo grado. Con calma e lucidità ha raccontato quanto accaduto sui pestaggi dai lui subìti e quelli subìti dai compagni di cella che urlavano e piangevano.

Tranquillo anche il controesame nel corso del quale ha riferito di un carcere che era oramai in mano agli agenti del corpo speciale e non dai “locali”. Si è soffermato anche su un agente penitenziario, Biagio Braccio, peraltro andato in pensione il mese successivo a quell’aprile del 2020, di cui ha parlato molto bene apprezzandone le doti umane e professionali che gli ha dato buoni consigli oltre a precisare che durante i passeggi non ha mai avuto problemi con l’ex agente oggi in pensione.

Trasferito in altro carcere perché denunciò i pestaggi, Lavoretano, ex gommista è stato tra le vittime di episodi atroci pur non avendo partecipato alle sommosse, ma come altri denunciò le violenze subìte: infatti, come si apprende dall’inchiesta della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (pubblici ministeri Alessandro Milita e Daniela Pannone), le violenze degli agenti sarebbero state commesse anche su detenuti che non avevano partecipato alla rivolta. A Lavoretano, che ha anche un problema di salute, sarebbe stato chiesto di inginocchiarsi, denudato e faccia al muro, nonostante portasse il busto per il mal di schiena.

Non potendolo fare, lo avrebbero trascinato e schiaffeggiato e fatto camminare lungo il corridoio appellandolo come «femminella che tiene il mal di schiena»: ogni qualvolta si alzava dopo le percosse, veniva nuovamente malmenato a turno da altri agenti che gli avrebbero provocato ferite alla nuca. Nel corso della precedente udienza, il detenuto Bruno D’Avino che si era lamentato con la Corte per le troppe convocazioni in aula – in quanto veniva trasferito di buon mattino dal carcere di Carinola per poi terminare la sua testimonianza nel tardo pomeriggio – si era mostrato più volte insofferente durante le domande di accusa e difesa e nel corso dell’udienza di lunedì scorso aveva parlato di «molti detenuti traumatizzati e che non si sentono di venire qua, hanno paura».

Prof ucciso, perizie sull’auto e sulle armi dell’anziano. Pochi gli elementi estrapolati dai resti; test sui fucili dell’82enne ai domiciliari

Una perizia come “accertamento tecnico irripetibile” è stata disposta dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere sui resti dell’auto, una Dacia Duster, dove lo scorso 4 novembre è stato trovato il corpo carbonizzato del professore di Cellole, Pietro Caprio, 58 anni, per il cui delitto si trova agli arresti domiciliari da due giorni l’ottantaduenne Angelo Gentile accusato di omicidio con l’aggravante della crudeltà e distruzione di cadavere. L’anziano, difeso dall’avvocato Gabriele Gallo, ha ottenuto gli arresti domiciliari per questioni legate a motivi di salute, ma anche sulla base di una valutazione che salvaguarda in virtù anche del sequestro delle armi le esigenze cautelari, in particolare la reiterazione del reato.

Non è dato sapere la finalità della perizia sull’auto bruciata ma un’altra attività investigativa è rivolta all’esame dei fucili per verificare a quanto tempo risale eventualmente l’ultimo uso. Ad oggi, sull’anziano, non è stato nemmeno mai eseguito un stub il cui esito oggi sarebbe sorpassato.

L’ipotesi che Caprio sia stato attinto da un colpo di arma da fuoco è associata al fatto che gli inquirenti non hanno trovato una pallottola nella disponibilità dell’82enne identificato grazie alle immagini catturate da un’immagine di una telecamera di sicurezza del Comune di Cellole. Ma è stato davvero un colpo di arma da fuoco ad uccidere prima Caprio? Nell’auto l’unico resto trovato dagli investigatori è una mandibola del professore mentre altri elementi portano alla valutazione di possibili altre ipotesi che per ora sono interrogativi: l’assassino era a fianco a lui nell’auto? Avrebbe potuto usare anche un’altra arma, magari un coltello? In paese, qualcuno è anche scettico sulla possibile capacità di Gentile, soggetto minuto e con problemi di deambulazione, di poter essere stato capace di compiere questo crimine.

È pur vero che l’uomo ha diversi problemi economici: vive in una modesta costruzione ubicata proprio sul terreno in località Pantano, dove è stato trovata l’auto carbonizzata e quel passaggio della sua Fiat Palio dal vialetto è stata ad oggi la prova per farlo diventare il primo e forte sospettato. Tra gli altri interrogativi, l’assenza nella notte tra i 3 e il 4 novembre scorsi, di odore di bruciato o fumo che avrebbe potuto attirare l’attenzione di qualcuno anche a distanza.

Intanto, ieri, i familiari della vittima, hanno nominato il penalista Gianluca Di Matteo per essere assistiti come parte civile. Familiari che, di quel prestito di diecimila euro citato dall’anziano qualcuno dice essere lievitato a 50mila non saprebbero assolutamente nulla. Perciò gli inquirenti, come da prassi, sono costretti a scavare anche nella vita privata del professore, in via di separazione con la moglie (che viveva da qualche tempo nell’appartamento sottostante a quella della famiglia del marito) per verificare o smentire l’esistenza di altre eventuali persone che potrebbero essersi rivolte all’amico Pietro per un prestito.

Non a caso, per approfondire le indagini, tre giorni fa i carabinieri di Sessa Aurunca hanno eseguito altri accertamenti e, in particolare, alcune perquisizioni che hanno portato al sequestro di due telefoni cellulari della vittima. Insomma, il giallo sulla morte di Caprio s’infittisce. L’uomo insegnava a Minturno (Latina) oltre ad essere fondatore di una cooperativa che si occupa di fornire personale di salvataggio a stabilimenti balneari e strutture della zona domizia: è stato carbonizzato in via Pietre Bianche a Cellole, in località Baia Domizia, in una zona definita dagli abitanti “Il pantano”.

(Fonti: Biagio Salvati – Mattino – Messaggero – Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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