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Sostituzione integrale dei lecci della Via d’Acqua: nell’incontro promosso dalla direzione della Reggia ampie e fondate sensibilità emergono in contrasto con la prospettiva

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Ieri 26 ottobre alla Reggia di Caserta si è svolto il secondo incontro pubblico “Il filare di lecci della Via d’Acqua:ecologia di un’architettura”, seguito alla giornata di studi e tavola rotonda del 7 luglio scorso. Il nuovo appuntamento è stato proposto per condividere prospettive e progettualità sulla riqualificazione del filare dei lecci della Via d’Acqua. La direttrice della Reggia dott.ssa Tiziana Maffei ha introdotto alle motivazioni che hanno orientato la sua azione che punta ad una sempre maggiore attenzione nei confronti dei parchi e dei giardini storici, “fragili eredità da salvaguardare in relazione alle caratteristiche identitarie, alle problematiche di sicurezza, ai cambiamenti climatici, alla sostenibilità e alla responsabilità nei confronti delle generazioni future”. Nella slide presentata, che mostriamo tra le foto dell’articolo, sono esposti i due scenari possibili con i pro e i contro  che la direttrice ha illustrato sulla base degli esiti di un lungo lavoro di ricerca e analisi di due anni affidato al Distal dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna e al DiA dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con i quali il Museo ha sottoscritto uno specifico protocollo d’intesa per la salvaguardia delle alberature di pregio e una collaborazione più ampia sulle problematiche conservative del Parco Reale.In sostanza gli scenari possibili sono la sostituzione puntiforme di 645 esemplari oppure il rinnovamento integrale del primo filare di 750 esemplari. Molti gli intervenuti iscritti nel dialogo sul tema della salvaguardia del patrimonio vegetale. Il dott. Matteo Palmisani, come referente di un gruppo di associazioni cittadine qualificate sulla tutela ambientale e sulla cittadinanza attiva, ha esposto l’attività svolta dalle associazioni rappresentate di rilevazione e valutazione dello stato di salute dei lecci con più accessi effettuati al parco che hanno permesso di formulare una proposta: completare i filari aggiungendo nuovi esemplari, curando quelli malti e rimuovendo quelli secchi e compromessi, mantenendo al contempo economicità ed estetica come originariamente concepito. Anche la dott.ssa Maria Rosaria Iacono ha espresso per Italia Nostra le perplessità per il progetto di sostituzione integrale dei lecci richiamando che anche le Linee guida per gli interventi di cura e salvaguardia degli alberi monumentali del MiPAAF indicano l’esclusione di interventi invasivi e radicali  con conseguente aggravio di costi e di rischi per la sicurezza. Sono seguiti i contributi del gruppo 31 agosto relazionati dal dott. Ciro Costagliola (di cui abbiamo già scritto  su queste pagine) in cui si evidenzia che “la maggior parte degli altri esemplari sono recuperabili con appropriate cure e che la parziale e adeguata sostituzione garantirà la ricomposizione e il restauro paesaggistico del viale”, considerando proprio i dati raccolti con sopralluoghi e quelli pervenuti anche attraverso il Consorzio Universitario  Benecon  la cui attività di telerilevamento conferma con maggiore precisione quanto rilevato dalle verifiche a terra fatte sulle piante di leccio ovvero che le piante da abbattere non superano l’ordine del 10%.Infatti il successivo intervento del prof. Carmine Gambardella, presidente e CEO di Benecon, ha illustrato con slides quanto rilevato con sensore iperspettrale CASI 1500 e Camera ottica PhaseOne per la verifica ed il controllo dello stato di salute della vegetazione arborea. Le relazioni accompagnate dalla presentazione di slides dei docenti di Bologna e Napoli, rispettivamente prof. Alberto Minelli e i prof. Giuliano Bonomi e Maria A. Rao, hanno da una parte messo in evidenza che le indagini condotte dal 2021 sul patrimonio arboreo danno come esito una percentuale di alberi di circa la metà in stato di grave o medio malessere e pertanto la sostituzione puntiforme, rilevatisi per quelle già operate nel passato non efficaci, non è da considerarsi un’alternativa scientificamente adeguata; dall’altra parte la cosiddetta stanchezza del suolo che potrebbe rppresentare un deficit nella sostituzione delle piante può essere gestita con opportuni accorgimenti tali da consentire uno sviluppo soddisfacente delle stesse, per esempio con un suolo nelle trincee sostituito parzialmente e ammendato con compost di qualità.

 

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