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‘Deep State’: Chi comanda davvero nell’era del governo della presidente Giorgia Meloni?

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La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in collegamento durante “Cinque Minuti”, un programma di Bruno Vespa, presso gli studi di via Teulada, Roma, 27 febbraio 2023. ANSA/ANGELO CARCONI

A sette mesi dall’insediamento dell’esecutivo di destra-destra guidato da un partito, Fratelli d’Italia, sempre all’opposizione da oltre dieci anni a questa parte, chi ha in mano i dossier che contano?Chi comanda davvero nell’era del governo della presidente Giorgia Meloni? Chi sono i volti “nuovi” che i ministri e soprattutto Meloni e il suo cerchio magico, composto da molti familiari, hanno messo nei ruoli chiave di Palazzo Chigi, ministeri e aziende di Stato?

Repubblica ha fatto un viaggio nel deep state meloniano, nei corridoi dei dicasteri e degli uffici di governo. Cercando di capire chi è che sussurra a presidente e ministri, perché ha la fiducia diretta di Meloni o dei “pochi” componenti di governo che hanno un minimo di libertà di manovra. Ossessionata com’è, la leader di Fratelli d’Italia, dal controllare tutto e tutti, temendo sgambetti e tradimenti a ogni piè sospinto.

E subito salta agli occhi che c’è una cosa singolare che sta accadendo rispetto al recente passato nel mondo di mezzo tra politici e burocrati che hanno il potere di indirizzare le decisioni. Sta accadendo che in questo mondo di mezzo i ruoli formali non contino poi tanto, ma che siano quelli sostanziali ad avere un peso decisivo. Ci sono vicecapo di gabinetto che gestiscono un potere maggiore di quello del superiore, ci sono dirigenti che contano più dei vice e dei capi di gabinetto, ci sono sottosegretari che contano più dei ministri. E, ancora, ci sono uomini a cavallo tra il mondo delle lobby e la politica, che con una “consulenzina” hanno in mano pratiche che valgono miliardi e siedono in tavoli dove davvero si decidono le sorti del Paese per i prossimi anni. E in questo mondo di mezzo c’è una qualità che occorre avere e che va oltre i curriculum, le storie professionali e politiche recenti e passate: avere un contatto diretto con il cerchio magico di Giorgia Meloni e con i pochi ai quali la presidente del Consiglio consente una certa agibilità. Ma, dunque, chi sono i volti del potere vero?

Nel Palazzo della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in prima fila e con il vento in poppa c’è certamente Alfredo Mantovano : il potentissimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. C’è lui dietro l’operazione che ha portato la premier a sedere a fianco di Papa Francesco sul palco del Forum della Natalità. È lui l’uomo che cura i rapporti con il Vaticano e con i Servizi, ma non solo. A Palazzo Chigi, non a caso, è stato ribattezzato “il nuovo Gianni Letta”: il riferimento al gran ciambellano del potere lucente e oscuro degli ultimi governi della prima Repubblica targati Democrazia cristiana e poi di quelli chiassosi del berlusconismo. Il Virgilio dell’imprenditore di Milano 2 e delle televisioni, quel Silvio Berlusconi arrivato a Roma per guidare i palazzi della politica. Mantovano è un magistrato con solide entrature in Vaticano e dintorni (è stato presidente della fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre, che ha ramificazioni in mezzo mondo), e anche nelle galassie universitarie, notarili e degli avvocati grazie al Centro studi Rosario Livatino, che ha guidato facendolo diventare il cuore di una rete di relazioni profonde. È uno dei pochi ex finiani, deputato con Alleanza nazionale e sottosegretario in due governi Berlusconi, ad essere stato accolto da Meloni a braccia aperte. Ed è lui che sussurra alla presidente cosa fare davanti a scelte delicate per il deep State. Come Letta, anche Mantovano è riservato e operoso, dà le carte e non ammette che gli alleati possano giocare le proprie fino in fondo. Come è avvenuto con la nomina del nuovo comandante della Guardia di Finanza, Andrea De Gennaro, imposto a ministri che non sono proprio dei figuranti come Giancarlo Giorgetti e Guido Crosetto, che avevano pensato ad altri nomi.

Un avvio di governo in sordina per Mantovano, poi il sorpasso sul “gemello”, per incarico: Giovanbattista Fazzolari. Che resta comunque un fedelissimo, soprattutto per la gestione della complessa e articolata macchina operativa di Palazzo Chigi. C’è lui dietro la diaspora dei funzionari arruolati da Mario Draghi per il Pnrr, che non hanno gradito una gestione autoritaria e poco rispettosa del ruolo dei tecnici. Fazzolari continua a contare. Eccome. È stato lui a confezionare la linea dura contro la Corte dei conti, a cui è stato tolto il controllo concomitante sul Piano di ripresa e resilienza. Avendo la meglio, in questo caso, su Mantovano, che invece avrebbe gradito una grammatica istituzionale decisamente diversa, quindi un’interlocuzione rispettosa degli equilibri tra organi dello Stato.

Ma, d’altronde, Fazzolari appena insediatosi a Palazzo Chigi aveva attaccato anche la Banca d’Italia, rea di fare gli interessi delle banche private dopo aver sollevato più di un dubbio sulla prima manovra di bilancio del governo Meloni. «Abbiamo contro Banca d’Italia, Confindustria e sindacati, vuol dire che stiamo lavorando bene», aggiunse. Senza ricevere nemmeno un rimbrotto, in privato, da Meloni che lo considera una dei pochi dei quali fidarsi davvero: più di Fabio Rampelli, che di Fazzolari e della presidente è stato un po’ il maestro ai tempi di Colle Oppio e dei gabbiani.

Nel Palazzo del governo conta comunque anche il triumvirato composto da Gaetano Caputi, capo di gabinetto e tremontiano doc, insieme a Carlo Deodato, il segretario generale con un passato al fianco di Renato Brunetta e Paolo Savona, e a Renato Loiero, consigliere economico, profilo trasversale perché ha lavorato con tutti, da destra a sinistra.

La premier ripone la sua fiducia anche sul generale di Corpo d’Armata Franco Federici, che ha voluto come consigliere militare. Ma tra gli uomini che contano a Palazzo Chigi c’è poi una pletora di consiglieri diplomatici, ben 24, a partire da Francesco Maria Talò: ex console a New York e rappresentante di Bruxelles alla Nato, ha in mano i dossier più delicati, Ucraina e futuro dell’alleanza Atlantica. C’è anche una donna tra i fedelissimi di Giorgia Meloni: Patrizia Scurti, molto più di una “semplice” capo segreteria. È lei il grande anello di congiunzione con Mantovano. Segue la premier dappertutto: consiglia, smussa, mette in fila considerazioni e messaggi responsabili. Suo marito, guarda caso, è stato scelto come capo scorta di Meloni. La consiglia, ma la controlla anche in ogni suo movimento. Primo giugno, ricevimento per la Festa della Repubblica nei giardini del Quirinale: la premier è accerchiata dai giornalisti, che provano a strapparle una dichiarazione. Si lascia andare, scherzosamente: «Che stai a scrive?». Quando capisce che i cronisti sono pronti all’assalto, Scurti interviene con la scusa di portare il “capo” dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. «Ecco, m’ha salvato, che io sono una chiacchierona», è l’assist della premier, che raccoglie l’invito della sua fedelissima. Un potere enorme, il suo. Conosce la presidente fin da quando, appena ventinovenne, diventò ministra in un governo Berlusconi: fu Gianfranco Fini a metterle a fianco Scurti, che da allora la segue passo passo.

Ma nel cerchio magico meloniano ci sono anche altri nomi che oggi hanno un peso. Come quello del ministro ai “dossier che contano” Raffaele Fitto, incoronato da Meloni con le deleghe al Sud e alla Coesione territoriale (tolte a Nello Musumeci, che ha solo quella alla Protezione civile ormai), ma anche con le deleghe ai rapporti con Bruxelles e soprattutto al Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche per circoscrivere il potere di Giancarlo Giorgetti al Mef. Non è solo l’uomo chiamato a confezionare la revisione del Piano, promessa in campagna elettorale: il suo mandato è operativo, ma soprattutto politico, per il peso che Meloni gli ha affidato nell’interlocuzione con la Commissione europea. Non a caso Fitto nello scontro con la Corte dei conti è andato fino in fondo, forte della fiducia di Meloni: facendo presentare dal governo, in Parlamento, la norma che toglie ai magistrati contabili il potere di controllo concomitante sui fondi Pnrr. A Palazzo Chigi, inoltre, sta per nascere la “sua” Struttura di missione: 50 tecnici, 20 esperti, 14 dirigenti, tutti, o quasi, scelti da Fitto. Una centrale operativa che fa invidia ai suoi colleghi di governo, anche a quelli di Fratelli d’Italia. Fitto oggi conta più di un vicepremier nelle scelte del governo: per intenderci, più di Antonio Tajani e Matteo Salvini.

Ministero dell’Economia

Un altro centro chiave nel potere di Stato è il ministero dell’Economia.

Qui si sta facendo strada Pamela Morassi : il mite ministro leghista Giorgetti si fida di lei come di nessun altro. Il titolare dell’Economia non muove un dito senza che lei verifichi, controlli, suggerisca, intervenga. Sulla carta capo segreteria, nella sostanza, raccontano i ben informati al Tesoro, l’ombra del ministro. E non è la sola donna che conta al Mef. C’è anche Daria Perrotta, il capo del legislativo, “la formidabile”, per via del curriculum, ma soprattutto per il peso che ha nelle decisioni tecniche. Lo sanno bene alla Ragioneria, la stanza dei conti che risponde a Biagio Mazzotta: negli ultimi giorni più di qualcuno non ha nascosto l’irritazione per “la continua invasione di campo di Daria”, aggiungendo che tra qualche mese potrebbe diventare lei il nuovo Ragioniere. Questo sì che sarebbe uno smottamento significativo nel deep State istituzionale dell’Economia. Perché il Ragioniere Mazzotta è in carica dal maggio del 2019, insomma ha attraversato indenne tre governi; incassando plausi per il rigore sui numeri e per uno spirito di servizio al Paese che guarda alla tutela delle casse pubbliche: si sussurra che lo scorso dicembre quando il ministro meloniano Guido Crosetto evocò il “machete” contro chi frena lo sviluppo sognato dalla nuova era di destra- destra, ci fosse nel mirino proprio qualche manina della ragioneria dello Stato che aveva sollevato perplessità sulla bozza della manovra di bilancio.

Non a caso il timore dei tecnici del Mef è che si ripeta quello che è accaduto con l’ormai ex direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, anche lui con un “pedigree” istituzionale di primissimo livello, e però allontanato per volontà della premier e dei suoi fedelissimi. Tra l’altro Meloni può contare su un presidio di tutto rispetto al Mef: il viceministro Maurizio Leo, l’uomo delle “smisurate deleghe”, a cui ha affidato la partita del taglio delle tasse. E lui, dal canto suo, a febbraio ha traslocato a Piazza Mastai 12, nel palazzo romano che ospita il quartier generale dell’Agenzia delle Dogane: è solo “l’antipasto di un pranzo ricco, cioè diventare ministro delle Finanze”, spiffera chi non ha gradito i suoi super poteri. Leo è da anni responsabile economico di Fratelli d’Italia e ha margini di manovra che altri ministri si sognano proprio grazie alla piena fiducia che ha in lui la presidente del Consiglio: Meloni non ha alzato ciglio quando ha saputo che Leo continua ad avere una società, con moglie e figli, che si occupa di fisco.

C’è poi un’altra figura chiave nell’organigramma del ministero dell’Economia: quella del felpatissimo Federico Freni, il sottosegretario leghista ossessionato dal tè, ma soprattutto dagli emendamenti ai provvedimenti economici. È a lui che il governo affida una cartellina che scotta: dentro ci sono i pareri della Ragioneria, la diga che prova a contenere l’assalto dei partiti. All’austero Freni il compito di gestire la processione dei deputati e dei senatori che provano a infilare la qualunque nei decreti. E lui lì, a smistare pressioni e malumori. La legge di bilancio e il Documento di economia e finanza, su cui il governo è scivolato più di una volta, sono i titoli delle prove che si è dovuto sobbarcare. Dribblando errori e pressing a colpi di citazioni rubate all’opera, come quel “meglio fora se avesse taciuto” della Traviata, che più di un parlamentare ha avuto modo di sentire tra i corridoi di Montecitorio.

Ministero della Giustizia

Al ministero della Giustizia chi gestisce i dossier più importanti è la vice capo di gabinetto Giusi Bartolozzi, molto stimata dal ministro Carlo Nordio. Ha coordinato la vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico che ha protestato contro il 41-bis; è lei che ha coordinato la delicata fase del caso Artem Uss con conseguente azione disciplinare avviata nei confronti dei pubblici ministeri di Milano, rei di aver messo solo ai domiciliari il russo ricercato anche dagli americani. Così, raccontano da via Arenula, i carrelli con i faldoni che scottano che prima arrivavano fino alla stanza del ministro, con la Cartabia a esempio, adesso si fermano a quella della vice capo di gabinetto Bartolozzi e in particolare sul tavolo della sala riunioni accanto. Magistrata, ex deputata di Forza Italia e compagna dell’ex vicepresidente della Regione Siciliana Gaetano Armao passato in Azione ma adesso in fase di riflessione, era a un passo dal transitare nelle file della Lega. Oggi è davvero la più fidata collaboratrice del ministro Nordio e i magistrati lo sanno bene: non a caso la compulsano di telefonate, sapendo che se non passano da lei difficilmente avranno udienza dal ministro o otterranno la firma che chiedono.

Ministero della Salute

Dicono che Orazio Schillaci sia un po’ insoddisfatto della sua poltrona: pensava da tecnico di avere un ruolo importante, si è trovato a dover far fronte a pochi margini di manovra e a tagli di bilancio. E ad avere nei corridoi del suo ministero un solo sottosegretario che però ha un peso di non poco conto: Marcello Gemmato, farmacista e responsabile di Fratelli d’Italia per il comparto. È lui che tiene le redini dei rapporti dentro e fuori il ministero con le categorie e con i lobbysti. Non a caso nel primo incontro di Fratelli d’Italia organizzato nell’era del governo Meloni, al Tempio di Adriano a Roma e proprio sulla sanità, Gemmato era il vero protagonista: imprenditori, medici e rappresentanti delle professioni sanitarie, cercavano lui più di tutti, ministro compreso. Per il resto Schillaci, da ex rettore di Tor Vergata, ha affidato le pratiche che contano a due volti che arrivano dalla sua stessa università: il capo di gabinetto, Arnaldo Morace Pinelli (ex professore di Diritto a Tor Vergata e titolare di un grande studio legale) e il capo segreteria tecnica Marco Mattei che gli ha piazzato FdI: già direttore sanitario di Tor Vergata, ex sindaco di Albano, assessore nella regione Lazio prima con Renata Polverini e adesso con Francesco Rocca, e che in passato ha cenato anche con il pregiudicato di estrema destra Massimo Carminati, a conferma delle sue frequentazioni nella destra-destra romana.

Ministero del made in Italy

Al ministero del Made in Italy dicono siano molto ascoltate una certa corrente Opus Dei e anche un paio di note società di comunicazione. Qui dicono che nel cerchio magico meloniano siano in ribasso le quotazioni del ministro Adolfo Urso, dopo le uscite maldestre sui benzinai e la gestione della rete unica Tim: a Palazzo Chigi lo chiamano il “ministro falegname”, perché farebbe solo tavoli presieduti da Federico Eichberg, il suo capo di gabinetto tuttofare, vero ministro in pectore. Ex direttore della Fondazione Farefuturo di Urso, ma anche membro dell’Opus Dei, Eichberg è in rotta con il lobbysta esperto di massoneria e figura in auge dalla Prima Repubblica Luigi Bisignani: che infatti dalle colonne del Tempo e nel suo ultimo libro gli ha lanciato diverse frecciatine. Anche il capo della segreteria di Urso, Mario Ciampi, arriva da Farefuturo e ha un certo peso, come lo avrà anche il nuovo portavoce, Giuseppe Stamegna, che arriva da Comin&partners: società che cura la comunicazione anche di Goi, il gruppo cipriota che ha rilevato la raffineria di Priolo in mano alla Lukoil con la benedizione del ministro Urso, e sta gestendo anche l’appuntamento nella masseria di Bruno Vespa al quale parteciperà praticamente tutto il governo. Ma nel ministero del made in Italy dicono abbia una certa influenza pure il consulente Lucio Garbo, editore di Canale Italia che per conto di Urso ha partecipato ai tavoli interministeriali sul tema, delicatissimo, delle frequenze.

Ministero Agricoltura

Uno dei ministri che gestisce tutto in prima persona, perché chiaramente ha un filo diretto con Palazzo Chigi, è il cognato d’Italia Francesco Lollobrigida.

Al ministero tutto passa direttamente da lui e dal suo capo di gabinetto Giacomo Aiello (che ha lavorato anche con l’ex ministro Maurizio Lupi). Poi ci sono dei personaggi che erano in auge ai tempi di Gianni Alemanno ministro, e che sono tornati a toccare palla: come Francesco Saverio Abbate tornato alla guida della Pesca. A fare da cerniera tra ministero e politica c’è anche Marco Cerreto, ex funzionario del ministero dell’Agricoltura, capogruppo in commissione Agricoltura Camera per FdI. Dicono poi che all’Agricoltura ci siano relazioni esterne, diciamo così, che hanno un peso: non è un mistero che Lollobrigida abbia come riferimento la Coldiretti di Ettore Prandini: dietro le posizioni sulla produzione di alimenti in vitro, ad esempio, c’è proprio la potente associazioni di categoria che sa di avere un ruolo di peso in questo governo. Ma Lollobrigida da ministro si è dedicato molto anche al settore dell’ippica, creando una direzione autonoma. E qui un riferimento è l’ex presidente di Federippodromi Elio Pautasso, che ha già più volte elogiato il cognato d’Italia.

Ministero degli Esteri

Qui comandano da sempre le Feluche, i 24 ambasciatori incaricati delle varie direzioni interne. Ma con Antonio Tajani da oggi ha un ruolo davvero forte, da ministro ombra, il segretario generale Riccardo Guariglia: ex ambasciatore in Spagna, prende il posto di Ettore Sequi, ex capo di gabinetto del ministro Luigi Di Maio nel governo Conte II e promosso al vertice della struttura nel maggio 2021 dal governo Draghi. Tajani ha poi come riferimenti il capo di gabinetto Francesco Genuardi, ex ambasciatore a Bruxelles, e la vice Cecilia Piccioni, ex senior advisor dell’ex presidente di Fincantieri Giampiero Massolo.

Ministero della Difesa

Altro ministro che gestisce tutto in proprio è Guido Crosetto. Da ex lobbysta non ha certo bisogno di intermediari e di grandi assistenti: conosce a menadito il settore, dentro e fuori il ministero. E quando ha deciso di fare delle nomine, le uniche al momento, ha puntato su volti democristiani e molto vicini all’ex ministro Angelino Alfano: per la presidenza di Difesa e servizi, ramo del ministero che fattura 75 milioni di euro e si occupa di gestire progetti con fondi esterni, ha scelto Gioacchino Alfano, ex deputato campano di Ncd. Una nomina che ha sorpreso l’ambiente del ministero. In molti ci vedono la manina dell’ex ministro, oggi al vertice del gruppo San Donato e nel cda dell’autostrada Torino-Milano.

In realtà il ministro alla Difesa ha un po’ le mani legate: non ha grandi margini di scelta nella tolda di comando, tutte affidate a militari che non possono essere spostati prima che vadano in scadenza. Non a caso nei giorni scorsi ha tentato un blitz in Parlamento per far passare una riforma del ministero. Il ministro vorrebbe introdurre lo spoils system in alcuni ruoli apicali del dicastero prevedendo anche figure civili in poltrone come quella di segretario generale della Difesa o di direttore nazionale degli armamenti. Crosetto vorrebbe prevedere in un ramo del ministero lo scorporo delle funzioni tra segretario generale Difesa e direttore nazionale degli armamenti che cura gli appalti in materia. Una volta scorporati in due figure diverse questi ruoli, la riforma prevede la possibilità di nominare sia per il ruolo di segretario sia per quello di direttore armamenti anche “dirigenti civili di prima fascia” e non solo “ufficiali delle Forze armate aventi il grado di generale di corpo d’armata”. Nei corridoi del ministero della Difesa circolano già alcuni nomi di civili che Crosetto, che in passato ha guidato la Federazione italiana delle aziende per l’aerospazio e la difesa, potrebbe nominare: come quello di Franco Massi, magistrato della Corte dei conti ed ex ufficiale della Guardia di finanza.

Cultura e turismo

Il ministro dei Beni culturali Gennaro Sangiuliano ha scelto come capo della segreteria Emanuele Merlino, dal 2019 coordinatore cultura di Fratelli d’Italia nel Lazio: nomina che ha sollevato polemiche perché il ministero ha un ruolo nella desecretazione degli atti delle stragi del terrorismo nero, ed Emanuele è figlio di Mario, esponente di Avanguardia Nazionale e poi fondatore del circolo anarchico XXII Marzo in cui militava Pietro Valpreda. Merlino ha in mano i dossier che contano e gode della massima fiducia del ministro, come Antonio Leo Tarasco, capo ufficio legislativo del ministero e stimatissimo da Sangiuliano. Talmente tanto che inizia a essere un po’ invidiato, e poco apprezzato, da diversi funzionari e dipendenti del ministero. Dietro la visione portata avanti da Sangiuliano, sul monetizzare con la cultura e chiudere con alcuni progetti voluti dall’ex ministro Dario Franceschini, c’è proprio lui. L’ultima idea di Tarasco? La tassa di concessione sulle immagini pubbliche dei beni culturali (monumenti, statue, quadri) che sta facendo tanto discutere. Al ministero di Daniela Santanché invece, c’è un nome su tutti dal quale passano le pratiche che contano: quello di Gianluca Caramanna, eletto alla Camera nelle liste di Fratelli d’Italia e scelto come consulente dalla ministra. Caramanna, imprenditore nel settore come Santanché, da anni è responsabile turismo per Fratelli d’Italia: fedelissimo di Lollobrigida, è stato piazzato come consulente in tutte le Regioni governate dalla destra e nelle quali l’assessore al Turismo era di Fdi: Liguria, Sicilia, Calabria, solo per fare degli esempi.

Aziende di Stato

E nel grande mare delle aziende di Stato, che spesso contano più di un ministero, chi sono i volti che pesano davvero? Sicuramente tra questi c’è Claudio Descalzi, che non solo ha incassato la conferma alla guida di Eni, ma che è anche tra i manager più ascoltati dalla premier. Sempre in casa Eni bisogna guardare con attenzione: è tornato Claudio Granata, soprattutto sul fronte dei contatti esterni, anche se la delega alle relazioni istituzionali è in carico formalmente all’ex dem Lapo Pistelli. Ma è Granata a gestire i rapporti col deep State, dai servizi al governo, alla politica, passando per il grande affare delle assunzioni e delle consulenze nel gruppo. Un mix di nuovo e vecchio perché la destra non ha rinunciato del tutto a una certa continuità con il governo precedente. Basta guardare cosa è successo a Leonardo, dove è approdato Roberto Cingolani, ministro di Mario Draghi: una nomina figlia della volontà indiscussa di Meloni, che ha litigato anche con Guido Crosetto pur di blindare il suo candidato. A Cassa depositi e prestiti certamente ha un peso Fabio Barchiesi: formalmente capo staff dell’amministratore delegato Dario Scannapieco, un passato da fisioterapista del presidente del Coni Giovanni Malagò oggi potentissimo uomo chiave perché decide tutto lui e in azienda dicono che “Scannapieco sia in realtà il capo staff di Barchiesi”. Poi ci sono quelli che le nomine le hanno preparate. Non solo Mantovano. Per Fratelli d’Italia i più attivi sono stati Fazzolari e il deputato Luca Sbardella. Nella Lega si sono dati un gran da fare i deputati Alberto Bagnai e Giulio Centemero, che hanno sgomitato, e non poco, quando si è trattato di spartire le poltrone dei consiglieri d’amministrazione delle società di Stato. E poi ci sono i “consiglieri” che non hanno a che fare con il governo: Gianni Letta, ma anche Luciano Violante, che ha giocato un ruolo determinante per la scelta di De Gennaro alla Guardia di finanza, ed è diventato da sinistra uno dei riferimenti del cerchietto magico meloniano: qualcuno sussurra con ambizioni di succedere a Sergio Mattarella tra sei anni.

Una consulenza serve sempre

Attenzione, comunque, perché i personaggi che contano oggi nello Stato meloniano, e che hanno entrature nei ministeri e comunque sussurrano ai potenti in carica, non sono solo i volti di peso del deep State. Ma anche i componenti di quella sorta di grande pulviscolo composta da componenti di staff, consulenti vari, esperti non si sa mai bene in che cosa ma comunque con pass per entrare e uscire dai ministeri e da Palazzo Chigi. Ad esempio il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, per la sua squadra a Palazzo Chigi che si aggiunge allo staff al ministero degli Esteri, ha piazzato molti compagni di partito non candidati nelle liste di Forza Italia o trombati alle ultime elezioni Politiche. Ad esempio come “consigliere per la politica economica e imprenditoriale” ha scelto l’ex deputato Sestino Giacomoni, compenso da 50 mila euro, e l’ex calciatore del Milan, ed ex deputato, Giuseppe Incocciati come “consigliere per le tematiche giovanili e sportive”. Come “esperta”, ma senza specificare bene in che materia, Tajani ha poi indicato l’ex consigliera della Valle d’Aosta Emily Rini.Tajani nel suo staff ha chiamato anche l’ex comandante della Guardia di Finanza, il generale Giorgio Toschi (a titolo gratuito) e il docente dell’Università di Roma “Foro Italico”, Carmine De Angelis, come “consigliere per le politiche degli enti locali”. Essendo nominati come staff del vicepremier hanno libero accesso a Palazzo Chigi. Stesso discorso per le nomine fatte da Matteo Salvini in qualità di vicepresidente del Consiglio, e quindi con scrivanie a Chigi. Per lui uno staff composto da quindici persone. Tra queste, l’ex deputato Armando Siri con un compenso da 120 mila euro all’anno come “consigliere per le politiche economiche, del credito e dello sviluppo sostenibile”: l’ex sottosegretario è stato coinvolto in un’indagine per corruzione a Roma. Un altro ex deputato leghista e attualmente vicesindaco del Comune di Chiuduno in provincia di Bergamo, Stefano Locatelli, è stato invece nominato come “consigliere per i rapporti con le autonomie”, con compenso sempre di 120 mila euro all’anno. Come capo di gabinetto Salvini ha indicato Paolo Grasso, avvocato dello Stato, e come esperto giuridico il consigliere della Corte dei conti Pierpaolo Grasso. Stesso discorso per i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, Mantovano e Fazzolari. Il primo come consigliere giuridico ha indicato il professore dell’Università di Genova Francesco Farri, compenso da 80 mila euro, e come capo di gabinetto il consigliere parlamentare della Camera Nicola Guerzoni. A guidare la sua segreteria tecnica il viceprefetto Fabrizio Izzo. Il collega Fazzolari come segretari particolari ha scelto Camilla Trombetti, compenso da 60 mila euro, già consulente di FdI, ed Emilio Scalfarotto, dirigente di FdI a Fiumicino: 85 mila euro l’anno. Un gran movimento di incarichi e consulenze si registra al ministero delle Imprese e del made in italy guidato da Adolfo Urso: appena nominato consulente ai rapporti con associazioni imprenditoriali e categorie professionali Umberto Formosa, già segretario particolare dell’ex sindaco di Verona Federico Sboarina di Fratelli d’Italia. Quando venne nominato al Comune di Verona saltarono fuori diversi articoli sul suo passato, tra daspo sportivi e un soprannome non proprio da educando, “il picchiatore”. Il ministro della Protezione civile e del mare Nello Musumeci ha nominato come responsabile comunicazione del ministero un altro ex deputato finiano, Carmelo Briguglio, che è oggi insieme a Silvia Cirocchi, compagna di Gianni Alemanno, il vero filtro del ministro. L’ex senatrice di Forza Italia Roberta Toffanin andrà a fare l’esperta economica del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, l’ex senatrice Maria Alessandra Gallone sarà incardinata al ministero dell’Università e della ricerca con Anna Maria Bernini. Mentre sempre tra gli azzurri Luciana Scalzi, ex consigliera regionale in Campania in area Nicola Cosentino, è stata nominata consulente al Turismo da Daniela Santanché.

QUINTA PAGINA
«Io sono con metà di me stesso (la migliore, temo) dalla sua parte. E con l’altra, col Sant’Uffizio»
Indro Montanelli – Don Milani –

(Carlo Bonini, Giuseppe Colombo, Antonio Fraschilla, Laura Pertici – la Repubblica – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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