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Il dono di Benedetto XVI: la grazia che è Gesù Cristo, vissuta nella compagnia della Chiesa

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Sufficiente è soltanto la realtà di Cristo”.
Joseph Ratzinger

1. Joseph Ratzinger è un autentico cattolico bavarese: capace di cogliere e di far cogliere il vero senso della vita (le pagine sulla Baviera del volume La mia vita[1] sono a tratti vera poesia). Il suo segreto è che lo affronta come compito. Amante della persona in quanto partecipa della vita del popolo per il quale è naturale spendersi senza riserve, Ratzinger pratica quotidianamente un tenace dono di sé, sempre invisibile. L’ascesi, l’etica e il governo non sono mai per lui dei fini, ma dei mezzi: il fine è il benessere della persona e della comunità. Potremmo dire, medievalmente, la “convenienza” dell’io e del noi con una vita pienamente realizzata.

2. “Sufficiente è soltanto la realtà di Cristo”[2]. Questa affermazione esprime la profonda convinzione che attraversa l’intera opera di Benedetto XVI. Il suo percorso ecclesiale e teologico è una potente affermazione di Gesù Cristo come “realtà effettiva che si fa evento nella Rivelazione cristiana”. È l’unicum veramente sufficiente, capace di dare l’ultima soddisfazione allo sguardo che esamina criticamente la realtà. Già ai tempi della sua tesi su Bonaventura, Ratzinger aveva maturato chiaramente l’idea che la Rivelazione non è separabile dal Dio vivente perché interpella sempre la persona cui si propone. Da questo nucleo duro sorge un’attenzione permanente alla Chiesa, intesa come organismo vitale in azione nella storia degli uomini e dei popoli. È questa forte relazione tra Rivelazione e storia, vissuta fin dall’infanzia nella fede della famiglia e nella Chiesa popolare bavarese, che, secondo me, rappresenta la caratteristica metodologica che fa da filo di Arianna attraverso tutti gli scritti di Joseph Ratzinger e che finisce per caratterizzare, nel corso degli anni, il giovane studente, il professore, il pastore, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il pontefice. Proprio qui sta, tutto sommato, l’origine della continuità e dell’evoluzione del suo pensiero. Si vede bene già nei colloqui con Peter Seewald e nella sua biografia monumentale (1984 pagine)[3].

Ratzinger propone un linguaggio accessibile all’uomo di oggi, il nucleo centrale della fede senza peraltro voltare le spalle all’eredità dogmatica. La dimensione culturale legata al fatto cristiano non è quindi considerata come una mediazione tra la Rivelazione e la storia, ma, pur rispettando le giuste distinzioni, come intrinseca al movimento in cui la venuta di Cristo, comunicata nella sua realtà effettiva, interpella l’uomo e la storia. Ne consegue che la teologia non è qualcosa di disincarnato: “Ho cercato, per quanto possibile, di porre chiaramente in relazione quel che insegnavo con il presente e con la nostra fatica personale”[4].

3. Guardando a Papa Ratzinger, ho pensato spesso, non so se mi spiego, che per lui l’ascesi, cioè lo sguardo e l’interazione con la realtà, consiste in un’opera di identificazione con il mistero di Gesù Cristo. Ne Il sale della terra troviamo questa affermazione: “Per me avere a che fare con Dio è già di per sé una necessità. Siccome dobbiamo respirare ogni giorno… se Dio non fosse qui presente, non potrei più respirare”. Questa identificazione, che è in senso più ampio quella di ogni cristiano, mi sembra attuata in modo puntuale e sistematico. Essa genera una libertà che non perde mai la gioia e ci fa penetrare sempre di più nel mistero di Cristo che si dona sacramentalmente nella trama delle circostanze e delle relazioni quotidiane. E, soprattutto, questo atteggiamento non esaurisce mai la domanda che in termini agostiniani è drammatica, ma anche piena di desiderio.

Tutti i suoi scritti – e anche tutta la sua concezione della teologia – ne sono segnati.

Per questo Ratzinger ha a cuore il tema balthasariano del legame tra teologia e santità. La teologia ha raggiunto il suo apice nella storia quando ha saputo bere alla fonte della santità: Antonio, Atanasio, Benedetto, Gregorio Magno, Francesco, Bonaventura, Domenico, Tommaso. Il discorso soteriologico non consiste quindi principalmente nel riflettere sulle condizioni di possibilità del percorso storico attraverso cui il Dio trinitario ha salvato l’umanità, ma nel parlare della nostra salvezza. Parlare di grazia non significa approfondire la condizione trascendentale della possibilità di un’esistenza soprannaturale, ma guardare a Cristo. “Dal momento in cui ha assunto la natura umana, Egli è presente nella nostra carne e noi siamo presenti in Lui, il Figlio”[5].

4. Se la genesi del metodo di Ratzinger sta nell’identificazione personale con Gesù Cristo come principio ascetico concreto, forse il senso della Chiesa[6] rappresenta, all’interno di questo metodo, il criterio di verifica della validità del pensiero e dell’azione. La Chiesa stessa, che è intesa come il luogo di un evento che si realizza nella storia, appartiene, a modo suo, all’evento stesso della Rivelazione. Essa è, come è implicito nell’espressione paolina “corpo di Cristo”, la comunione dei fedeli e “rappresenta la presente e stabile permanenza, l’esserci (An-wesen) di Cristo nel mondo”[7]. Così Cristo chiama gli uomini e li riunisce in un solo popolo, rendendoli partecipi della sua potenza redentrice.

Egli ha tratto dallo studio dei Padri e dei Dottori della Chiesa un concetto di esperienza (esperienza del Popolo di Dio), arricchito dal contatto con filosofi e teologi contemporanei, che ha in sé soprattutto una continua attenzione al modo in cui problemi, domande, paure, crisi, speranze e ansie si collocano nella situazione concreta dell’uomo. In secondo luogo, egli afferma che, nella Chiesa, a questa esperienza vissuta corrisponde un certo primato sulle istituzioni e sui precetti. Questa concezione della Chiesa come ambiente sperimentale la rende, secondo Ratzinger, un soggetto che agisce nella storia e il criterio di ogni azione e pensiero cristiani.

5. Mi sembra che sia in questo contesto che dobbiamo situare un’altra costante del pensiero del cardinale. Penso al peso dell’Eucaristia nella sua riflessione teologica[8]. È la celebrazione eucaristica che ci fa capire più precisamente la natura del cristianesimo. Come da secoli continua a ripetere il genio cattolico, tale natura sta interamente nella sacramentalità. La Chiesa trova nel settenario sacramentale la piena realizzazione della logica dell’Incarnazione e, al tempo stesso, la sua nuova nascita nel cuore della persona. È infatti nel sacramento che troviamo la contemporaneità tra la verità eterna che è Dio e questa natura drammatica, certamente finita, ma capace di infinito, che è l’uomo. In ogni momento della storia, la verità cristiana è contemporanea alla libertà dell’uomo a cui si propone. Ecco perché la fede non si sente mai estranea all’uomo[9]. Un divorzio tra questi due poli è possibile solo in una riduzione dell’essenza del cristianesimo.

6. È così che Ratzinger prende coscienza del carattere definitivo della venuta di Cristo[10] e della sua capacità di valutare tutto. Il trattato sull’escatologia rappresenta l’espressione scientificamente compiuta di questa posizione[11]. In una tale visione della cultura, i contenuti e il soggetto acquisiscono tutto il loro significato proprio nell’esperienza: è possibile trasmettere integralmente e fedelmente i contenuti quando questi sono sperimentati dal soggetto comunicante[12]. In questo senso, la comunicazione diventa invito a una comunione personale: si comunica condividendo l’esperienza il cui orizzonte è la realtà integrale senza alcuna censura. “È stato il reale invito di esperienza in esperienza, e null’altro, umanamente parlando, a costituire la forza missionaria della Chiesa antica”[13]. Questa posizione determina la visione di Ratzinger circa la centralità della catechesi e la sua importanza culturale.

Questa attenzione vigile alla storia si può illustrare con un aneddoto: pochi giorni dopo la sua rinuncia, il 16 febbraio 2013, Papa Benedetto ricevette i vescovi lombardi in visita ad limina, l’ultima che avrebbe concesso. Il papa era visibilmente stanco, ma diede la parola a ognuno di noi. Concluse la visita con delle parole che per noi furono decisive: Milano (e tutta la Lombardia), per il suo passato ambrosiano e per la sua posizione (Mediolanum, terra di mezzo), è chiamata a essere il cuore credente di tutta l’Europa.

7. “Essendo un uomo di formazione teorica e non pratica, sapevo anche che non basta amare la teologia per essere un buon sacerdote, ma vi è la necessità di essere disponibile sempre verso i giovani, gli anziani, gli ammalati, i poveri; la necessità di essere semplice con i semplici. La teologia è bella, ma anche la semplicità della parola e della vita cristiana è necessaria. E così mi domandavo: ‘sarò in grado di vivere tutto questo e di non essere unilaterale, solo un teologo, eccetera’ Ma il Signore mi ha aiutato e, soprattutto, la compagnia degli amici, di buoni sacerdoti e di maestri mi ha aiutato”. Con questa disarmante semplicità, Benedetto XVI fece sua la “perplessità” che, in modo più o meno esplicito, circolava tra molti dopo la sua elezione a successore di Pietro. Furono parole pronunciate durante un dialogo a cuore aperto con i giovani di Roma, la sua diocesi, in occasione della XXI Giornata mondiale della gioventù, il 6 aprile 2006. Benedetto XVI volle condividere con loro il suo personale percorso di fede. Un percorso di feconda umiltà, frutto di grazia e di libertà, di certezza e di realistico timore, di slancio e di fiducioso abbandono. Un percorso che il giorno della sua rinuncia al ministero petrino è stato evidente al mondo in tutta la sua grandezza.

Lungo gli anni del suo pontificato ne abbiamo potuto riconoscere le pietre miliari.

Anzitutto la grazia che è lo stesso Signore Gesù. Il primato di Cristo, cioè dell’Amore incarnato di Dio nella vita del cristiano, ci è stato richiamato con grande forza dall’enciclica Deus caritas est. Cardine del suo insegnamento è il formidabile passaggio dell’incipit: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”.

8. I tre volumi su Gesù mostrano, oltre alla sua competenza, una passione reale e totale per Gesù. Non si tratta solo di un’opera esegetica, scritta tra l’altro per delimitare l’importanza (certamente decisiva) del metodo storico-critico, ma anche di una testimonianza del suo intenso amore per il Signore.

Da ciò deriva, naturalmente, lo sviluppo proposto nel famoso discorso al Congresso della Chiesa italiana a Verona (2006): “‘Io, ma non più io’: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della ‘novità’ cristiana chiamata a trasformare il mondo”. Una novità, frutto del dono dello Spirito, del tutto gratuita, per nulla da noi prodotta o meritata. Un dato – in senso forte – cui far spazio e da accogliere. La Vergine Maria rappresenta la figura compiuta della personalità e dell’esistenza di Benedetto XVI, che, da giovane, con occhi spalancati e cuore lieto, saliva all’amato santuario di Altötting. Nell’Annunciazione, l’Immacolata pronuncia quel fiat che dispiegherà tutta la sua forza nello stabat del Calvario e troverà pieno compimento nel mistero dell’Assunzione. Nell’esperienza umana di Maria brilla il significato compiuto della formula cooperare assentendo contenuta nel Canone quarto del Decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento.

9. Ma il cammino percorso da Benedetto XVI ci offre un’altra indicazione, particolarmente preziosa perché illumina la modalità attraverso cui la grazia sacramentale diventa incontro persuasivo e affascinante per la libertà umana. “Soprattutto, la compagnia degli amici, di buoni sacerdoti e di maestri, mi ha aiutato”. La vita della comunità cristiana è, infatti, garanzia del cammino. Una compagnia che esprime il volto della Chiesa e riempie “i grandi ambiti nei quali si articola l’esperienza umana” (Discorso di Verona), come riporta anche l’enciclica Caritas in veritate.

10. “La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente” (Spe salvi 1). Queste parole illuminano la risposta che la vita di papa Benedetto continua a offrire a una domanda oggi più che mai urgente. Hans Urs von Balthasar, suo grande amico, la formulava così: “chi è la Chiesa”. Il percorso cristiano e pastorale di Benedetto XVI, infatti, ripropone chiaramente l’esperienza della prima comunità apostolica. Pietro, Giovanni, Matteo, Paolo, Stefano, le donne… sono i primi anelli di una catena ininterrotta di testimoni, storicamente ben documentata, che arriva fino a noi. In essa si esprime la natura sacramentale della Traditio della Chiesa.

La grazia che è Gesù Cristo, vissuta nella compagnia della Chiesa: mi sembra questo il dono che la vita di Benedetto XVI continua a testimoniare alla nostra libertà. Gli ultimi anni della sua vita, nel monastero Mater Ecclesiae, all’interno del Vaticano, ne sono l’effettiva conferma.

 

[1] J. Ratzinger, Ma vie. Souvenirs. 1927-1977, Fayard, 1998.

[2] K. Rahner – J. Ratzinger, Révélation et Tradition, DDB, 1972.

[3] P. Seewald, Benedikt XVI. Ein Leben, Droener Vlg, 2020.

[4] J. Ratzinger, Le sel de la terre. Le christianisme et l’Église catholique au seuil du troisième millénaire. Entretiens avec Peter Seewald, Cerf-Flammarion, 1997.

[5] J. Ratzinger, Regarder le Christ. Exercices de foi, d’espérance et d’amour, Fayard, 1992.

[6] Tra i suoi numerosi saggi sulla Chiesa: Foi chrétienne, hier et aujourd’hui, Mame, 1969 (5a ed., Cerf, 2010); Le nouveau Peuple de Dieu, Aubier, 1971; Église, œcuménisme et politique, Fayard, 1987 (2a ed., 2005); Église et théologie, Mame, 1992 (2a ed., 2005); Dogme et annonce, Parole et Silence, 2012.

[7] K. Rahner – J. Ratzinger, Révélation et Tradition, DDB, 1972.

[8] J. Ratzinger, Le nouveau Peuple de Dieu, Aubier, 1971; Peuple et maison de Dieu dans l’ecclésiologie de saint Augustin, Artège-Lethielleux, 2017; Église, œcuménisme et politique, Fayard, 1987 (2a ed., 2005); Église et théologie, Mame, 1992 (2a ed., 2005).

[9] J. Ratzinger, Les principes de la théologie catholique. Esquisse et matériaux, Téqui, 1985: «Le baptême est le sacrement de la foi, et l’Église est le sacrement de la foi».

[10] “Essenziale, anche per lo stesso Cristo, non è il fatto che abbia annunciato delle idee precise – cosa che ovviamente ha fatto – ma il fatto che io diventi cristiano nella misura in cui credo a questo evento. Dio è entrato nel mondo e ha agito, si tratta dunque di un’azione, di una realtà, e non solo di un insieme di idee”, J. Ratzinger, Le sel de la terre, Cerf-Flammarion, 1997.

[11] “L’unica cosa che sono riuscito a portare termine con successo è stato il trattato di escatologia per la Dogmatica di Auer, che considero la mia opera più completa e precisa”, J. Ratzinger, Ma vie, Fayard, 1998. Il trattato fu tradotto in francese, con una prefazione a cura di J.-R. Armogatha, La mort et l’au-delà. Court traité d’espérance chrétienne, Fayard, 1979 (4a ed., 2009).

[12] “Dovremmo sforzarci di rendere comprensibili i contenuti e ci riusciremo solo vivendoli profondamente. Se attraverso l’esperienza riuscissimo a diventare comprensibili, potremmo trovare parole nuove per esprimerla. Devo aggiungere che la comunicazione delle verità cristiane non è mai soltanto una comunicazione intellettuale. Dice infatti qualcosa che riguarda l’intera persona e che posso capire solo se accetto di entrare in una comunità in cammino”; J. Ratzinger, Le sel de la terre, Cerf-Flammarion, 1997.

[13] J. Ratzinger, Regarder le Christ, Fayard, 1992.

*Cardinale, arcivescovo emerito di Milano

Fonte Communio France

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