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GIORNALISMO SPAZZATURA IN TV di Ferdinando Terlizzi

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Il giornalismo spazzatura. La  TV spazzatura! Ma non si rendono conto di essere puerili e ridicoli certi giornalisti che vogliano fare gli scoop spostando le loro redazioni in zone di guerra. Ma Giletti non poteva intervistare Cacciari da Scambia e la portavoce del ministro russo da Secondigliano? Cosa è cambiato? Il giubbotto antiproiettile? Mi fanno ridere gli inviati di guerra che seguono le azioni di guerra dai grandi alberghi lontani chilometri dalla prima linea. E fanno vedere immagini a distanza dello scempio e la devastazione delle bombe. 

Come pure mi fanno ridere ( quasi ogni sera ) i Tg di Rai 1,2 che annunciano collegamenti in diretta dal Viminale, da Montecitorio e poi vedi che il giornalista ha alle spalle il palazzo chiuso. Ma quale diretta? In collegamento  con chi? Ma quali notizie? Tutti mistificatori, untori e velinari che possono essere accusati di “concorso esterno” in diffusione di fake news. Tv spazzatura? Occorrerebbe un aggettivo più dispregiativo: Tv merda, anzi GIORNALISMO MUNNEZZA!

Poi alla fine Giletti è svenuto… per “calo di zuccheri!” Ma secondo me è stato per la figura di merda, per le parole dure di Cacciari, per l’abbandono di Sallusti e per la faccia tosta della “collega” sovietica…

Ferdinando Terlizzi, direttore di Cronache =====================================

Giletti di Andrea Minuz Il Foglio

L’occasione era troppo ghiotta. I cento giorni di guerra reclamavano in fondo una serata televisiva coi fuochi d’artificio e così è stato. Ci voleva il trash davvero sublime dell’ultima puntata di Non è l’Arena, in diretta da Mosca. Ci volevano la Piazza Rossa su La7, l’attacco di Sallusti, lo svenimento di Giletti per “improvviso calo di zuccheri”, quindi Myrta Merlino che prende al volo il timone della trasmissione, come a Telethon. Ma lei che grida “Oddio Massimo! Aiutate Massimo! Oddiooo!” è già storia della televisione italiana, come un remake dell’“Oddio Ciroooo” di Sandra Milo, trent’anni dopo, in versione Guerra fredda. L’ultima puntata di Non è l’Arena è stata un piccolo compendio, un saggio, un tributo della tv italiana a se stessa e a questi primi cento giorni di talk-show, festeggiati con gli equilibristi del gran circo di Mosca, con l’ufficio stampa di Lavrov al posto del Bolshoi. Riassunto delle puntate precedenti: indignato e infastidito dalle critiche alla sua trasmissione, a inizio aprile Giletti prendeva armi e bagagli e partiva on the road verso Odessa. Nonostante il giubbotto antiproiettile, i sacchi di sabbia, “i bombardamenti a 700 metri da qui”, l’effetto trincea non impressionava granché. La conduzione a distanza era anzi surreale. Non è l’Arena sembrava una di quelle puntate di Tale e Quale Show con Carlo Conti col Covid, a casa, in collegamento video, e gli ospiti e la giuria in studio. Non soddisfatto, Giletti alza quindi il tiro. Soprattutto, dopo Lavrov in prime time su Rete4, vero colpo basso della concorrenza, Giletti cerca il coup de théâtre e ha una visione: “A Mosca! A Mosca!”. Tra la Piazza Rossa, i monumenti, le cattedrali del Cremlino, come Al Bano e Romina nel 2016, immortalati nel memorabile specialone di Porta a Porta, “Dalla Russia con Al Bano”. La cartolina da Mosca di Giletti è subito epica. Lui in strada, in gran tiro, davanti al Cremlino, ci racconta la storia del palazzo e si muove come Alberto Angela. Si perde in digressioni sull’architettura, duetta con Massimo Cacciari. Poi si entra nel vivo della trasmissione. Parte il solito repertorio della propaganda, stavolta con Maria Zakharova, portavoce di Lavrov. Ma il capovolgimento in split screen è assai significativo: Zakharova parla da casa mentre Giletti è incorniciato nelle guglie della cattedrale di San Basilio. La metamorfosi è compiuta. La linea di condotta dei talk-show ha la sua icona, il suo manifesto, la sua bandiera, con lo stemma di La7 al posto della “Z”. Con l’ultima puntata di Non è l’Arena tutto un primo ciclo di show sulla guerra si chiude. Tutto si ricompone con Salvini e Santoro che si danno le pacche sulle spalle. Una cartolina italiana perfetta. Ricreata, celebrata, immortalata dalla tv che ha saputo mettere insieme tutti gli spunti migliori: oltre ai classici complottisti e negazionisti, ecco sottotraccia la nostalgia per l’Urss, l’eterno rimpianto per la Rivoluzione d’ottobre, l’ammirazione per i tiranni, l’anti americanismo viscerale, messianico, di sistema (a sinistra, a destra, al centro), tutti quanti insieme per dire un grande “no alla guerra” (ma sì alla denazificazione dell’Ucraina). Il racconto televisivo della pandemia e l’ampio spazio dato ai No Vax erano una rappresentazione tutto sommato iperbolica e grottesca di un pensiero antiscientifico non così dominante nella società italiana. Con la Russia e tutto ciò che ha rappresentato (e rappresenta) per noi è ben diverso. Ecco perché Non è l’Arena da Mosca non deve stupire nessuno. Per come si sono messe le cose nella nostra tv, Giletti sulla Piazza Rossa è inaspettato, fuori dal coro e “contro la narrazione mainstream” quanto un concerto di Venditti al Circo Massimo.

Andrea Minuz
FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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