È troppo sognare che le armi tacciano?
“È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura. (n.8, Spes Non Confundit Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’Anno 2025).
Ancora una volta Papa Francesco ci chiede di impegnarci contro le armi, la guerra. Di sognare un mondo diverso.
A chi si rivolge? Credo a tutti… Certo, in particolare ai credenti. E lo dobbiamo ammettere: oggi la voce di Papa Francesco rischia di essere una voce sempre più isolata dalla politica, dall’economia e anche un po’ dal modo comune di ragionare, anche all’interno delle comunità cristiane. Certo, c’è stato il grande appuntamento di Arena di pace lo scorso 18 maggio, segno visibile di un popolo che vuole essere “in piedi” per costruire la pace. Che non vuole rassegnarsi alla guerra. Ma tutto questo dovrebbe diventare vita quotidiana, prassi pastorale. I dati non mancano. Basti ricordare che nel 2023 si sono spesi nel mondo 2.443 miliardi di dollari. Un caccia bombardiere F35, prodotto a Cameri (No) da Leonardo costa circa 120 milioni di euro. Solo il casto del pilota costa oltre 400.000 euro. E tutto ciò per fare la guerra. Per uccidere. Trasportando anche bombe nucleari.
Nel discorso al Corpo diplomatico dello scorso 8 gennaio, Papa Francesco è stato molto chiaro: “Occorre perseguire una politica di disarmo, poiché è illusorio pensare che gli armamenti abbiano un valore deterrente. Piuttosto è vero il contrario: la disponibilità di armi ne incentiva l’uso e ne incrementa la produzione. Le armi creano sfiducia e distolgono risorse. Quante vite si potrebbero salvare con le risorse oggi destinate agli armamenti? Tra le minacce causate da tali strumenti di morte, non posso poi tralasciare di menzionare quella provocata dagli arsenali nucleari e dallo sviluppo di ordigni sempre più sofisticati e distruttivi. Ribadisco ancora una volta l’immoralità di fabbricare e detenere armi nucleari”.
E Francesco ritorna ancora sulle armi al n. 16 della Bolla di indizione del Giubileo 2025: “Rinnovo l’appello (FT n. 262) affinché ‘con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa’ ”. E si parla di migranti, di stranieri in Italia che – da una notizia trapelata dal ministero della Difesa – potrebbero essere invitati ad arruolarsi per ottenere la cittadinanza italiana”. Sì, proprio così: io ti riconosco la cittadinanza italiana se tu combatti per me. È un clima generale di guerra. E proprio in questi giorni è stata presentata alla Camera una proposta di legge per reintrodurre la leva militare. La pace rischia di diventare una parolaccia, oppure una cosa per impallinati. Una pace troppo ideologica è l’accusa più frequente. E anche l’invito ad un “cessate il fuoco” spesso non viene accolto bene da chi ha ben altri interessi… Oggi si tende a presentare e far accettare la guerra magari come una cosa non troppo bella, ma a volte necessaria e inevitabile. Questa è una vera bestemmia, come ha ricordato Sergio Paronetto, di Pax Christi, all’Arena di pace, lo scorso 18 maggio.
Nella stessa Arena erano risuonate le parole di Papa Francesco: “Tutti siamo responsabili di tutti. Il Premio Nobel che oggi possiamo dare a tanti di noi è il premio Nobel del Ponzio Pilato, perché siamo maestri nel lavarci le mani”. E si diventa oggetto di scherno e sberleffi se si parla di difesa civile popolare, non armata e nonviolenta. Se si parla di riconversione delle fabbriche di armi. Anche perché la tendenza oggi è di riconvertire al contrario: la stessa Leonardo, prima impegnata anche in settori civili, investe sempre più nel settore militare. E parliamo di una delle industrie più importanti al mondo e a partecipazione statale.
Se passa la modifica della legge 185/90 sul commercio delle armi sarà un silenzio tombale su tutti questi affari. Non sapremo, come invece oggi sappiamo, che l’Italia vende armi all’Egitto, a Israele, all’Arabia Saudita, come in passato, neanche troppo lontano, nel 2015, le ha vendute a Putin.
Con la mediazione delle banche. Significativo quanto è successo alla Camera dei Deputati, riportato dal Fatto Quotidiano del 24 aprile scorso: “Un tasso di interesse del 5,6250% sulla liquidità detenuta sul conto corrente aperto presso la filiale della banca interna alla Camera dei deputati… Un tasso di interesse così remunerativo spazza via qualsiasi investimento alternativo in titoli di Stato, obbligazioni, certificati di credito … la media dei tassi attivi per un conto corrente in Italia è dello 0,20%. Quello che offre la filiale di Banca Intesa della Camera dei deputati è 28 volte superiore”. Non è tanto la questione, pur importante, di richiamare “i soliti privilegi della casta”. Ma – fatto salvo che tutto ciò è pienamente regolare e non c’è nulla di illecito – è doverosa una considerazione, anzi due. Visto che i beneficiari di questo trattamento “speciale” non sono cittadini comuni, ma parlamentari chiamati a “fare” le leggi, è lecito chiedersi se non ci sia qualche correlazione col fatto che non vengano tassati gli extraprofitti delle banche…E forse si capisce ancora meglio perché si vuole cancellare la 185/90 sul commercio delle armi, che prevede l’obbligo di rendere pubblico l’elenco delle banche coinvolte, le “banche armate”. E il gruppo Intesa San Paolo che è coinvolto nel commercio di armi per oltre 729 milioni di euro, ha tutto l’interesse ad offrire trattamenti speciali a chi deve decidere sul suo operare. Non mi pare una cattiva illazione, ma una domanda fondata. E sarebbe interessante avere qualche risposta da chi è direttamente coinvolto. In ogni resta valida ancora la campagna di pressione alle banche armate: cioè scrivere alla propria banca, chiedendo spiegazioni sul coinvolgimento nel mercato di armi fino ad arrivare anche a chiudere il proprio conto. È un piccolo gesto per non rischiare di vincere quel premio Nobel Ponzio Pilato di cui parlava Papa Francesco all’Arena.
Le parole di Tonio Dell’Olio, Presidente della Pro Civitate Christiana, pubblicate su Mosaico di pace, ricordano don Tonino Bello e risuonano con monito ma anche come stimolo all’impegno personale: “Ci stiamo preparando alla guerra e non alla pace. ‘Il virus della guerra è scappato dal laboratorio’ – ammoniva don Tonino Bello – e ora rischia di infettare il nostro modo di pensare e di progettare il futuro. Dobbiamo sottrarci a questo rischio.”
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