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Attualità






di Claudio Bottan* –  vocididentro.it, 23 aprile 2024

C’eravamo anche noi questa mattina alla presentazione del XX° rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione dal titolo emblematico “Nodo alla gola”. L’incontro con i giornalisti, che si è tenuto nella sede dell’associazione Stampa Romana, si è inevitabilmente aperto dando notizia dell’arresto di 13 agenti e la sospensione dal servizio per altri otto poliziotti penitenziari del carcere minorile Beccaria di Milano. Per l’accusa si sarebbero resi responsabili di tentata violenza sessuale, tortura, lesioni e maltrattamenti nei confronti di una dozzina di giovani reclusi. Ovviamente vale il sacrosanto principio della presunzione di innocenza e, come si suol dire, la giustizia farà il suo corso.

Partendo proprio dagli istituti minorili, i numeri snocciolati da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti dell’associazione Antigone non lasciano spazio ad interpretazioni: la fotografia che emerge è la rappresentazione plastica del fallimento del sistema carcerario. Alla fine del febbraio 2024 erano 532 i giovani reclusi nei 17 Istituti Penali per Minorenni d’Italia. Una cifra che sta rapidamente crescendo. Solo due mesi prima, alla fine del 2023, si attestava sulle 496 unità. Alla fine del 2022 le carceri minorili italiane ospitavano 381 ragazzi. L’aumento, in un anno, è stato superiore al 30%. Negli ultimi dieci anni non si era mai raggiunto il numero di ingressi in Ipm registrato nel 2023, pari a 1.143. Un aumento legato anche all’effetto del Ddl Caivano.

Seppur in calo rispetto al 2022, i 70 suicidi del 2023 sono il numero più elevato dopo quello del 2022. Negli ultimi trent’anni, solo nel 2001 ci sono stati 69 suicidi. Ancora più allarmante è il dato del 2024: tra inizio gennaio e metà aprile 30 i suicidi accertati. Uno ogni 3 giorni e mezzo. “Se il ritmo dovesse continuare in questo modo, a fine anno rischieremmo di arrivare a livelli ancor più drammatici rispetto a quelli dell’ultimo biennio”, rileva Antigone.

Disaggregando per genere il tasso di suicidi del 2023, vediamo come il tasso relativo alle donne (con 4 suicidi per una popolazione detenuta media di 2.493 persone) sia sensibilmente superiore a quello relativo agli uomini. Il primo si attesta a 16 casi ogni 10.000 persone, il secondo a 11,8. Nel dossier c’è anche un focus sulla tortura definita “un crimine contro la dignità umana”. Dopo più di trent’anni di attesa dall’impegno assunto dall’Italia con la ratifica della Convenzione Onu, nel 2017 il reato di tortura è finalmente entrato nel nostro ordinamento penale.

È importante sottolineare che c’eravamo, non tanto per un vezzo autoreferenziale quanto perché stare seduti tra i giornalisti ci ha consentito di guardarci intorno, osservare le reazioni e ascoltare i mormorii. Soprattutto quando ha preso la parola il DAP con Giancarlo Cirielli, direttore generale dei detenuti e del trattamento, a cui è toccato l’imbarazzante compito di avallare le politiche carcerarie del Governo. Secondo il funzionario dell’Amministrazione Penitenziaria il tasso dei suicidi tra le mura delle nostre carceri sarebbe in linea con quello degli altri Paesi “‘avanzati” dell’Europa; tutto bene, dunque, e dovremmo guardare al bicchiere mezzo pieno: le centinaia di tentati suicidi sventati dagli eroi della polizia penitenziaria e dai “caregiver” (i piantoni) che nelle celle si prenderebbero cura dei soggetti più fragili. Ovviamente nessun cenno al fatto che si tratta di un lavoro sottopagato, tant’è che con una recente sentenza il Tribunale di Roma, Sezione lavoro, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di euro 12.636 a integrazione della retribuzione per le ore lavorate e non pagate oltre alle ferie maturate da un ex detenuto del carcere di Ancona-Montacuto che per 16 mesi si è preso cura di un detenuto disabile al 100% cui era stato assegnato quale assistente alla persona per aiutarlo a coricarsi e alzarsi dal letto, lavarsi, cucinare e consumare i pasti e, più in generale, per fornirgli aiuto fisico, attività retribuita pari mediamente a 3 ore di lavoro al giorno ancorché il servizio si protraesse oltre tale orario, sovente anche la notte.

Nessun accenno dal DAP alla circolare che ha di fatto ripristinato il cd “regime chiuso” nelle sezioni di media sicurezza; una decisione scellerata in un contesto disastroso come quello emerso dal Rapporto di Antigone, che costringerà la maggior parte delle persone detenute ad oziare nelle celle per 20 ore su 24 facendo venir meno, tra l’altro, anche la possibilità di intervenire prontamente in soccorso di coloro che cedono alla tentazione di stringersi il nodo alla gola.

Sulla questione del sovraffollamento, invece, il dottor Cirielli si inerpica in un ragionamento che mira a distinguere la “capienza regolamentare” da quella “tollerabile”. Viene da chiedersi chi dovrebbe essere il soggetto “tollerante” e se lo strumento di misura sia l’elastico. “Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” come diceva Michele Apicella, il personaggio di Nanni Moretti, in Palombella Rossa. La soluzione adottata dal DAP per fronteggiare il sovraffollamento consisterebbe nello “sfollamento”, trasferendo i detenuti dagli istituti in overbooking verso quelli che contano meno presenze rispetto alla capienza. Peccato che spesso ciò avvenga in spregio alla norma sulla “territorialità della pena” che dovrebbe essere espiata “in un istituto quanto più vicino possibile alla stabile dimora della famiglia o, se individuabile, al proprio centro di riferimento sociale, salvi specifici motivi contrari”.

E sarebbe utile anche citare le fonti quando il rappresentante del DAP afferma che “la maggior parte dei detenuti rifiuta le opportunità di lavoro che vengono proposte, eccetto quelle per mansioni domestiche a carico dell’amministrazione penitenziaria”.

Non va meglio con i tassi di criminalità che “non giustificano l’affollamento” sottolinea Antigone, smentendo così le recenti affermazioni del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari durante il convegno “Recidiva Zero” organizzato dal CNEL. Eravamo presenti anche in quell’occasione. “Dal 1° gennaio al 31 luglio 2023 sono stati commessi in Italia 1.228.454 delitti, il 5,5% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente -, secondo il Rapporto di Antigone. Una proiezione di questi dati sull’intero anno ci consente di osservare che la decrescita del crimine è ripresa. Infatti, secondo i dati Istat che riportano i delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria, negli ultimi nove anni vi è stato un continuo decremento nei numeri. Solo durante il biennio 2020-2022 si è registrata una crescita delle denunce, dovuta però al crollo dei numeri che si era registrato durante la pandemia”.

Nell’ultimo anno la crescita delle presenze è stata in media di 331 unità al mese, un tasso di crescita allarmante, che se dovesse venire confermato anche nel 2024 ci porterebbe oltre le 65.000 presenze entro la fine dell’anno, sottolinea il dossier. Le cause della crescita sono così riassumibili: maggiore lunghezza delle pene comminate, minore predisposizione dei magistrati di sorveglianza a concedere misure alternative alla detenzione o liberazione anticipata, introduzione nuove norme penali e pratiche di Polizia che portano a un aumento degli ingressi, conclude Antigone nel XX Rapporto, un dossier ricco di dati preziosi che non possono essere confutati con traballanti opinioni.

Chi scrive ha provato sulla propria pelle gli effetti devastanti del sovraffollamento, ha cercato di tamponare rivoli di sangue e non potrà mai dimenticare gli occhi sbarrati di corpi appesi alle sbarre con il nodo stretto alla gola. Ma questo è un dettaglio.

*Vicedirettore di Voci di dentro

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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