*Il burraco di governo* di Vincenzo D’Anna*

In una recente intervista, Matteo Salvini, passato, dopo i fasti elettorali degli anni scorsi, da capitano della nave a semplice ufficialetto di bordo, ha svelato che con Giorgia Meloni non ha raggiunto ancora un solido legame di amicizia personale. Tuttavia il segretario della Lega ci starebbe provando con frequentazioni serali, in compagnia della fidanzata, Francesca Verdini, la quale sfiderebbe al Burraco il primo ministro. A detta di Salvini, le due donne sarebbero molto esperte nel gioco delle carte e ad entrambe non piacerebbe perdere. Una bella scenetta, non c’è che dire, che rincuora gli elettori del centrodestra lasciando presagire rapporti sempre più cordiali tra i due leader dei principali partiti della coalizione di governo. Non è dato sapere come se la cavi con il Burraco il ministro degli Esteri Antonio Tajani, anche se, stante la robusta costituzione del medesimo, c’è da scommettere che al tavolo verde l’esponente forzista preferisca quello da…cucina. A meno che di non scelga di virare sul “tressette”, intrattenendosi con Lupi, Rotondi e Cesa i quali certamente sono da considerarsi esperti nel ramo di quel gioco, essendo sopravvissuti per anni nella contesa parlamentare pur con lo “zero virgola qualcosa” in termini di consenso elettorale. Comunque sia, la scena viene buona per un quadretto d’autore “en pleine air”, come usavano i pittori impressionisti francesi ed i macchiaioli italiani nel lontano Ottocento. C’è da temere, però, che nel gioco vero, quello del primato politico ed elettorale, le cose siano un tantino diverse e che tra i nostri cari leader, dopo il risultato delle elezioni europee, qualcuno spariglierà le carte!! Non tanto perché le cose vadano male, ma proprio per l’esatto contrario come spesso capita in politica. Non si tratterebbe di una mera bizzarria caratteriale quanto di una diversa definizione dei rapporti di forze tra alleati e nelle cariche di governo rappresentate da ciascun di essi. Per paradosso si può aggiungere il fatto che il governo a guida Meloni riscuote consensi e li erode, già da un bel po’ di tempo, proprio al Carroccio che, in questa fase, deve tenere a bada anche la rimonta dei Berlusconiani. Ora, se alle europee la Lega dovesse risultare l’ultima dei tre maggiori partiti di governo in termini di consenso elettorale, ecco che al quartier generale di via Bellerio a Milano, scatterebbe l’ordine di sfratto per Salvini ed il suo entourage. A tanto potrebbero pensare sia Luca Zaia, governatore uscente del Veneto, sia Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, da sempre alter ego di Salvini stesso. Ma il futuro, come recita il vecchio adagio, è nel grembo di Giove. In politica questo antico aforisma è ancora più adatto, non fosse altro perché il responso elettorale, che di volta in volta conferisce peso specifico ai partiti, è mutevole e perché i partiti stessi sono diventati, ormai, simulacri vuoti di quelli di un tempo con il risultato che mancando i partiti con gestione plurale e democratica vengono a mancare anche le linee politiche elaborate e ratificate nei congressi nazionali. Qualunque intesa si trasforma prevalentemente in una sorta di patto stipulato tra i proprietari delle ditte alle quali partiti e movimenti vengono assoggettati e come tali identificati. Patti che dunque risentono più degli umori personali, delle ambizioni e delle idiosincrasie dei protagonisti piuttosto che dei deliberati degli organismi statutari preposti a decidere e che magari sono stati anche democraticamente sanciti. Tetragoni ed imperterriti, i leader di partito continuano a scambiare la prassi politica con un gioco di società nel quale chi vince si aggiudica lo scranno più alto. Finiscono per contare più le umane miserie che il dato politico, programmatico e culturale che pure dovrebbe contraddistinguere la vita di un partito vero e proprio. Come in altre precedenti occasioni, su queste stesse colonne, abbiamo evidenziato che senza partiti gestiti democraticamente, correttamente, amministrativamente trasparenti, con adesioni vere e verificate, con organismi statutari funzionanti, tutto finisce per essere limitato ad una specie di “intrattenimento” lasciato in mano a pochi. Se in politica i mezzi sono testimoni dei fini perseguiti, nessun fine adeguato potrà mai essere raggiunto con mezzi che non sono altrettanto tali. Ne consegue, purtroppo, che anche una partita a carte, un convivio, un agape fraterna, può essere l’unica via per costruire assonanze e simpatie politiche la cui consistenza però rischia di rivelarsi scarsamente affidabile e duratura. Non bisogna scomodare il filosofo Thomas Hobbes per rilevare che l’uomo è essenzialmente egoista ed aggressivo e che mira a perseguire i propri obiettivi e finalità. Ancor più lo sarà per accaparrarsi il potere di governare, mancando il substrato della democrazia decisionale e le decisioni costruite con l’utilizzo della pratica del pluralismo. Ma questo è il segno dei tempi dell’anti-politica che ha buttato via l’acqua sporca della partitocrazia con il bambino dei partiti politici. D’altronde se il gioco è quello delle carte, vorrà dire che vincerà chi di mestiere fa il biscazziere!!

*già parlamentare