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Processi, collasso telematico: gli innocenti restano a giudizio

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ALLARME CSM

Processi, collasso telematico: gli innocenti restano a giudizio

LA LEGGE CARTABIA RESA OBBLIGATORIA DA NORDIO – Disastro “App”. Sistema in tilt: così la registrazione di richieste e decreti di archiviazione è crollata fino al 96%. Procure nel caos. Il ministro: “Arriva App2.0”

DI ILARIA PROIETTI 10 MARZO 2024

Doveva essere il fiore all’occhiello della riforma voluta dall’allora Guardasigilli Marta Cartabia. Ma il processo penale telematico che, attraverso una App prometteva di traghettare l’Italia giudiziaria dalla carta al digitale, è una Caporetto che va oltre le più nere previsioni. E serviranno altri soldi, sempre se si troveranno, per sperare che una App2.0 faccia il miracolo. Ma intanto quella esistente si è rivelata sostanzialmente un bidone, come certifica il Consiglio superiore della magistratura che parla di “cronica inefficienza” dell’informativo individuato per il deposito degli atti (documenti richieste e memorie nei procedimenti di archiviazione e di riapertura delle indagini) divenuto obbligatorio a gennaio per volontà dell’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio nonostante la sperimentazione fosse stata già un calvario.

Con l’entrata in vigore di quella che doveva essere la rivoluzione copernicana per rispettare gli impegni del Pnrr i timori si sono trasformati in incubo, come emerge dalle cifre snocciolate dal Csm: i dati raccolti che attualmente riguardano 114 Procure su 140, rivelano un calo del 63,7% nel numero delle richieste di archiviazione nei procedimenti a carico di noti (quelli iscritti a modello 21) e dell’80,1% per i procedimenti nei confronti di persone ignote (modello 44). Risultato: “In termini assoluti, la rilevazione, che riguarda l’81,4% degli uffici, denuncia il calo di 35.504 richieste a modello 21 e 100.910 richieste a modello 44 rispetto allo stesso periodo del 2023”. La situazione degli uffici giudicanti è se possibile ancora più grave: il dato rilevato, che riguarda 98 uffici GIP su 140, “vede un calo del 93,4% dei decreti di archiviazione nei procedimenti a carico di noti e del 96,9% di quelli a carico di ignoti”. In termini assoluti in poco più di un mese il calo delle archiviazioni è stato di 43.455 procedimenti del primo tipo e di 101.696 del secondo. Come sopravvivere a cotanto disastro? Se lo sono chiesti per mesi tanti uffici giudiziari come ha fatto ad esempio a febbraio anche il Procuratore Generale della Repubblica di Palermo che ha scritto al Csm per capire cosa fare anche alla luce della legge contro i femminicidi che ha modificato le norme di attuazione del codice di procedura penale in materia di comunicazione delle notizie di reato. Per il Procuratore generale di Palermo infatti, a causa della “diffusa e generale inadeguatezza” dell’App “si stanno determinando significativi arretrati nei flussi di archiviazione che destano particolare preoccupazione anche in ragione dell’imminente scadenza dei termini di cui alla nuova formulazione dell’art. 127 att. c.p.p.”.

A questa e ad altre sollecitazioni però il Csm sembra non poter dare rimedio perché “esula dalle attribuzioni consiliari la definizione di presupposti, limiti e modalità di ricorso alla sospensione dell’applicativo App, cui può giungersi soltanto con la certificazione del malfunzionamento del sistema da parte del direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia ovvero con l’attestazione del dirigente dell’ufficio”. Tradotto: la eventuale sospensione del ricorso alla gestione informatica degli atti dipende da via Arenula. L’alternativa è che siano i dirigenti degli uffici giudiziari a prendersi la responsabilità del deposito analogico degli atti dopo aver attestato il malfunzionamento del sistema digitale. Il futuro resta invece legato a una promessa. Del ministro Nordio che “ha individuato un cronoprogramma di correttivi urgenti la cui effettiva realizzazione potrebbe, nei prossimi mesi, intervenire sulle difficoltà evidenziate. Tra questi appare particolarmente rilevante la previsione di un nuovo applicativo (denominato App2.0) il cui sviluppo – ove eseguito in sinergia con gli uffici e partendo dalla ricostruzione dei flussi procedimentali – consentirebbe un approccio più efficace alla digitalizzazione del processo penale”.

In attesa di tempi migliori, Palazzo dei Marescialli ha però lanciato un monito ricostruendo l’intera vicenda legata alle sorti dell’App, a partire dalla sperimentazione più che accidentata, tale da gettare nel caos tutti gli uffici visto che le attività di archiviazione per via digitale hanno richiesto tempi “enormemente superiori a quelli necessari in precedenza con modalità analogiche”. Tra blocchi della procedura con avvisi di errore, dubbi sullo stato di lavorazione delle pratiche e naturalmente anche reti andate in tilt per sovraccarico: “Rallentamenti e latenze nel caricamento dei documenti tali da rendere spesso esasperante l’attesa o addirittura tali da impedire il funzionamento dell’applicativo”.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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