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Biagio Conte, il “fratello povero” e la Missione che continua un anno dopo la morte

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Biagio lo aveva detto qualche tempo prima di morire. Le pietre di Vincenzo avrebbero permesso alla Missione di crescere.
Vincenzo è uno scultore. Incontrò, nei boschi di Godrano, il missionario laico in uno dei periodi di ritiro in preghiera tra i boschi, in provincia di Palermo. Parlarono di questa passione che era diventata lavoro, arte, dono. E così il missionario laico la riconobbe e la considerava, appassionato di quei luoghi in cui don Pino Puglisi, da parroco, organizzava campi scuola. Un’arte che – sapeva bene – poteva essere d’aiuto alla causa comune, quella dei poveri, quella della Missione Speranza e Carità.

Foto Sir

Biagio Conte è morto un anno fa, portato via dalla vita da un male incurabile. Da quel quel giorno, la speranza e la carità – di cui si era fatto profeta – non hanno smesso di vivere nelle cittadelle della Missione che ha fondato. Le porte dei diversi centri sono rimaste aperte, continuando ad accogliere migranti, poveri, persone sole, ex tossicodipendenti. Altri centri continuano a svilupparsi, come quello di Godrano. Per Biagio Contrada Portella di Pero era “porta e valle di speranza”. Aveva poggiato lì il suo bastone e il suo giaciglio, al termine di uno dei suo pellegrinaggi per l’Europa, quando è arrivato lo spettro del Covid. In quei giorni, con una penna e un foglio di carta cominciò a sognare. E a progettare. Dalla cappella alla Via Crucis. Il Centro di spiritualità, un anno dopo la sua morte, sta prendendo forma. E a capo dell’opera c’è proprio Vincenzo che da Biagio aveva ricevuto l’investitura.

“Ero cattolico ma tiepido. Adesso vivo la fede davvero. Quando faccio la comunione mi sento toccato dallo Spirito – racconta -. L’amore che ho visto liberare a Biagio è qualcosa di infinito. Ora mi manca tanto, ma lo sento vicino”.

È la storia di un incontro, quello tra Biagio e Vincenzo. Un incontro che ha cambiato la sua vita. Nei boschi, dove il Centro di spiritualità ha messo radici, lo scultore si reca giorno e notte. Come un artista che insegue l’ispirazione. E quando l’afferra ha bisogno di scolpirla. Il Centro per lui è diventato una seconda casa. E con lui, negli ultimi mesi, hanno lavorato numerose persone. Volontari, con storie e orizzonti diversi. Tutti accomunati dalla convinzione che la via indicata da Biagio porti frutto. Assieme raccontano segni “molto belli” della presenza del missionario laico, che “continua a vegliare su di noi”. Gli arcobaleni sono il suo messaggio d’amore, le ombre dei viandanti il ricordo dalla sua presenza. C’è tempo e vita, anche quando quelli di Biagio si sono fermati.

Foto Sir

La spiritualità nel Centro in costruzione è già nello spirito dell’opera, nella sua origine, nella sua profezia. E si percepisce, tra le colline verdi e gli alberi, prima ancora che la struttura venga realizzata. Come nella notte di Natale, quando i fedeli riuniti hanno celebrato la veglia, con addosso le coperte e il fuoco acceso fuori dalla cappella, realizzata in pietra. Lo spirito di Betlemme riviveva in quella notte e rivive ogni giorno. Anche nel lavoro condiviso dai volontari. C’è Pino, c’è Mario. Ci sono tanti altri uomini che hanno trovato un senso alla loro vita spendendola per i più poveri. “Lavoravo alla Regione Siciliana – racconta Pino -. Ero funzionario e mi occupavo di aiutare gli ‘ultimi’ a usufruire bene delle normative. Vivevo già la mia fede ed ero impegnato in parrocchia dove organizzavamo diverse opere di carità. Ma l’incontro con Biagio, il suo abbraccio, mi ha toccato dentro. Anche il suo sguardo che non ho più dimenticato. Da lì ho cercato sempre di fare qualcosa per la Missione Speranza e Carità. In particolare, ho cominciato a preparare le conserve di pomodoro. Siamo riusciti a farne anche 30 quintali ogni anno. Riuscivamo a sfamare un migliaio di persone. Oggi che lui non c’è più io sento di dovere continuare il mio impegno”. L’ultimo incontro tra Pino e Biagio si è verificato sulla strada statale Palermo-Agrigento.

“Ho visto una sagoma che camminava con la croce sulle spalle. Mi sono fermato, dopo averlo riconosciuto. È stato un altro incontro importante. Ho visto in lui l’azione dello Spirito santo. In Biagio vedo il San Francesco dei nostri giorni”.

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