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Missionari. P. Albanese: “Valore aggiunto della società italiana, ma è necessario un sussulto di missionarietà”

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Sono chiamati a rimboccarsi le maniche per servire la persona nei luoghi più impervi. Ai missionari italiani, presenti in ogni angolo del mondo, è stata dedicata una conferenza presso il Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale, intitolata “La persona al centro”. Tante le testimonianze portate da parte di coloro che ogni giorno toccano con mano i bisogni delle popolazioni. “Il carisma che ci ha dato don Orione è dare la carità dove c’è bisogno”, racconta al Sir suor Mabelle Spagnolo, superiora generale delle Piccole Suore Missionarie della Carità e vice presidente dell’Unione superiore maggiori d’Italia. Le opere della congregazione sono diffuse in venti nazioni, in quattro continenti. “L’ultima – dice – è stata aperta in Indonesia, in un posto dove nessuno voleva andare. Ci dedichiamo alle scuole, ai servizi per i disabili, alla promozione della donna, agli ospedali e ai dispensari in Africa. Ovunque, dove c’è bisogno. In Africa, in particolare, si deve partire dalle cose elementari per vivere”. Per suor Mabelle, nata in Argentina da una famiglia di emigrati calabresi, ma da 25 anni in Italia, l’essere missionari è cambiato, certamente oggi è più diretto alla umanizzazione: “Il Vangelo è umanizzazione, è dare dignità alle persone”.

Anche per il segretario generale della Pontificia Unione, padre Dinh Anh Nhue Nguyen, lo spirito che muove oggi i missionari è volto a far “crescere nei battezzati locali la loro stessa responsabilità missionaria. Insieme a loro conduciamo la missione di evangelizzazione”. Le quattro opere pontificie cercano di rispondere ai bisogni di tutte le età:

“Siamo chiamati – spiega – a promuovere la responsabilità missionaria di ogni battezzato nella Chiesa, anche per il sostegno delle Chiese particolari. Le nostre attività si concentrano sull’animazione, la formazione e l’informazione missionaria. Cento anni fa, le opere hanno fondato l’agenzia di notizie Fides che segue tutti i missionari nel mondo”.

Della sua esperienza decennale come religioso e medico, parla frate Lorenzo Priuli dell’ordine del Fatebenefratelli, in videocollegamento dal Benin. “Da 25 anni lavoro nello stesso ospedale a Nord del Paese. Quello che ho fatto fino ad oggi è meraviglioso perché è stato un dono per la povera gente”, afferma. “L’ospedale quando è stato inaugurato contava 80 letti, mentre oggi 450. Ci sono stati incontri miracolosi, mi sono state presentate delle opportunità. Nel 1979 – ricorda – abbiamo avuto un’epidemia di morbillo che ha ucciso in quattro mesi 5mila bambini. Abbiamo perciò aperto la pediatria, fino ad allora inutile perché la gran parte dei bambini era curata dai guaritori locali. Non esisteva nemmeno la maternità, mentre oggi ci sono quattro postazioni per il parto e 60 posti letto”. Il religioso riconosce come in più di 50 anni di lavoro il rapporto con la popolazione sia mutato: “all’inizio ci aspettavamo che il malato arrivasse mentre ora andiamo incontro alla persona”. Nonostante gli sforzi, la mortalità post partum nel Paese resta alta, infatti, lo scorso anno sono morte 40 donne. Fra Lorenzo, a questo proposito, ricorda un progetto avviato da poco che consente a coloro che stanno per partorire di essere trasportate in ospedale con un contribuito economico minimo.

Il futuro dei centri sanitari in Benin è ancora incerto: “Si fa fatica a pagare gli stipendi e le fatture più urgenti dei farmaci. Lo Stato locale ci dà un pochino, l’Italia non è stata molto presente, mentre abbiamo ricevuto aiuti dalla Francia. Quando sono arrivato in Africa, eravamo in sette. Oggi siamo solo due italiani ma ci sono 54 frati africani, impiegati nel campo medico a tutti i livelli. Il futuro è nelle loro mani. Contiamo 350 collaboratori fra i quali ci sono 6 medici specializzati. Oltre all’ospedale abbiamo promosso 26 centri che hanno fatto diminuire la mortalità anche se accade ancora che le donne arrivino con i bambini sulla schiena già morti”.

Del calo dei missionari parla anche padre Giulio Albanese, sacerdote, giornalista, missionario comboniano e direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Roma. “Il missionario rappresenta il valore aggiunto della società italiana, non solo della Chiesa”, afferma ricordando che fino agli anni novanta i missionari italiani fossero circa 24mila mentre oggi sono 6mila. “C’è però la crescita del laicato – osserva -. I laici che appartengono alle associazioni sono circa 2000, mentre nel ‘90 erano circa 800. È evidente che c’è una costante decrescita che riguarda gli ordini. È necessario un sussulto di missionarietà. Lo dico guardando le nostre comunità ecclesiali ma anche perché se oggi c’è qualcosa che viene apprezzato nel nostro Paese è la testimonianza dei nostri missionari. Alcuni di loro sono caduti. Molti di loro non sono morti per un odio nei confronti della loro fede, ma sono stati uccisi perché hanno fatto la scelta di stare dalla parte degli ultimi”.

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