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Giovanni, “Casco bianco” dalla Toscana alle Filippine: “Quando tornerò, non sarò lo stesso di quando sono partito”

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In un mondo sempre più interconnesso, dove le sfide globali richiedono soluzioni condivise, la solidarietà internazionale assume un ruolo fondamentale nel contribuire a instillare speranza e supporto negli Stati afflitti da situazioni di crisi.
In questa cornice di altruismo e dedizione, Caritas italiana, in collaborazione con le Caritas diocesane, offre ai giovani volontari dai 18 ai 28 anni, l’opportunità di prendere parte all’esperienza di servizio civile all’estero attraverso il “Progetto Caschi bianchi” che vede la partecipazione, oltre a Caritas italiana, di altri tre enti: Comunità Papa Giovanni XXIII, Focsiv e Gavci.
A metà strada tra un’avventura personale e un atto di dedizione al bene comune, il servizio civile all’estero rappresenta una forma di volontariato internazionale che permette ai ragazzi una via d’accesso privilegiata alla promozione della pace, dello sviluppo, dell’educazione alla mondialità, dell’intercultura e della cooperazione internazionale.

La grande ricchezza di tutto ciò si manifesta delle parole e nei sorrisi di chi vive o ha vissuto questa esperienza, come quelli di Giovanni Antoci, che il 25 maggio scorso ha intrapreso questo percorso attraverso il servizio civile con Caritas italiana presso la diocesi di Capiz, nelle Filippine.

“Sono Giovanni, ho 26 anni e vengo da Incisa Valdarno, in provincia di Firenze – ci racconta -. Sono laureato in Sviluppo economico e Cooperazione internazionale e sto concludendo una laurea magistrale in Economia dello sviluppo, presso l’Università di Firenze”.

Giovanni, quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a intraprendere questo viaggio?
Ho chiesto al mio relatore, Mario Biggeri, se ci fosse un modo di vivere un’esperienza, in un contesto di sviluppo, su cui basare la mia tesi di laurea che riguarda gli approcci allo sviluppo su base comunitaria: è lui che mi ha consigliato di partecipare al bando di Servizio civile universale. Non ho vissuto molto bene gli anni universitari; penso che studiare sia inevitabilmente un atto di fiducia, ma in più momenti ho davvero faticato a capire il senso di quello che stavo facendo. Ho capito che chiudermi in biblioteca a scrivere la mia tesi non sarebbe stata la cosa migliore per me e ho deciso di fare un’esperienza che fosse una vera rottura con il passato.

Come mai hai scelto questo progetto di Caritas italiana nelle Filippine?
Avendo fatto il Servizio civile regionale con Caritas a Firenze ed essendomi trovato molto bene, ho guardato con particolare attenzione ai progetti di Caritas italiana. Tra i tanti, quello a Capiz, nelle Filippine, mi ha colpito per la varietà dei temi trattati: l’inclusione di minoranze indigene, la prevenzione e la risposta ai disastri ambientali, la tutela di minori vulnerabili. Non avendo le idee chiare sul percorso da intraprendere in futuro, ho pensato che il progetto fosse un’ottima opportunità per esplorare varie tematiche sociali. Non nascondo inoltre il fascino per un Paese così distante geograficamente e culturalmente.

Qual è il tuo ruolo all’interno del progetto?
Il nostro ruolo all’interno dei progetti non è ben definito. Senza dubbio i primi mesi sono dedicati a un’attenta osservazione: si tratta di un contesto molto particolare ed è necessario del tempo per comprenderne le dinamiche e capire come poter essere di aiuto, in base alle competenze e attitudini di ciascuno.

Come sono strutturate le vostre giornate?
È molto difficile parlare di una giornata tipo, ogni giorno è una sorpresa. All’interno dell’ufficio lavorano vari colleghi che si occupano di progetti diversi. Io e la mia collega Erica siamo di supporto a tutti loro e li seguiamo nei vari progetti, per quanto siamo focalizzati principalmente nel progetto con la comunità indigena.

Ci puoi descrivere la comunità e l’ambiente che hai trovato in questi primi mesi?
Ho interagito con varie comunità molto diverse tra loro e si potrebbe scrivere un libro su ciascuna di esse. Le caratteristiche che ho riscontrato in tutte sono l’ospitalità e la pazienza, una grande passione per il cibo e per la musica. L’ambiente è teatro di uno scontro tra una natura ancora dominante e le azioni distruttive dell’uomo: le Filippine hanno un primato in termini di biodiversità, ma anche per consumo di plastica.

A tal proposito, si fa qualcosa per arginare il problema dell’eccessivo consumo di plastica Ci sono iniziative per sensibilizzare i temi dell’emergenza ambientale?
Gli eventi di sensibilizzazione sull’ambiente e le attività di tree planting che spesso li accompagnano sono piuttosto frequenti, proprio in un’ottica di contrasto al cambiamento climatico. Il nostro ufficio ha anche da poco iniziato un progetto per la creazione di una foresta di bambù. Per quanto riguarda la plastica la questione è più complessa, se ne parla molto ma l’abuso nel suo uso è talmente radicato che sembra sia quasi una battaglia persa. Non è raro vedere centinaia di bottiglie di plastica durante eventi di stampo ambientalista, sembra mancare ancora una visione chiara di un’alternativa.

Quali erano le tue aspettative prima di iniziare questa nuova avventura E quali sono, invece, adesso a distanza di qualche mese?
Durante la formazione iniziale di Caritas italiana hanno molto insistito sull’importanza di partire senza aspettative. Non nego di averne avute alcune, in modo particolare riguardo all’incontro con una cultura così diversa dalla mia e alla possibilità di portare il mio aiuto agli ultimi. La prima aspettativa è stata del tutto soddisfatta, la seconda dà inizio a una questione molto più complessa; il mio referente ci ricorda spesso che “tutti possono essere utili, ma nessuno è indispensabile”. Questo è particolarmente vero in un contesto che non si conosce, con varie difficoltà, prima tra tutte la barriera linguistica. Quello che è certo è che l’esperienza avrà un impatto fortissimo su di me, e quando tornerò non sarò la stessa persona di quando sono partito.

Che consiglio daresti a un giovane che vuole fare un’esperienza del genere?
Il consiglio più importante che mi sento di dare è di aprirsi realmente al diverso e di prepararsi a mettere tutto in discussione, incluse le proprie convinzioni su cosa è giusto e cos’è sbagliato. Ci si trova a vivere in un contesto regolato da meccanismi che non si comprendono perché non ci appartengono. Le situazioni che si presentano durante un’esperienza di questo tipo pongono questioni che spesso non hanno una soluzione; è fondamentale accogliere la complessità.

In conclusione, il Servizio civile all’estero non solo appare come un riflesso del nostro desiderio di un mondo migliore, ma si rivela come un eloquente tributo al potere della gentilezza umana. Ogni persona, indipendentemente dalla sua posizione, è destinataria di sostegno, crescita e condivisione – un messaggio che va oltre le convenzionali definizioni di chi può essere considerate beneficiario.
Attraverso la compassione, la determinazione e il coraggio, piccolo gesti diventano veri e propri atti rivoluzionari, dimostrando che l’umanità è intrinsecamente capace di compiere azioni ammirevoli.

*precedentemente pubblicato su “Toscana Oggi”

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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