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La DEA come braccio armato della ‘War on Drugs’ di Nixon

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La Drug Enforcement Administration (DEA) è un’agenzia federale statunitense facente capo al Dipartimento della giustizia. Il suo obiettivo è quello di combattere il traffico di sostanze stupefacenti e di vigilare sulla produzione e distribuzione di sostanze “controllate”. Dalla sua costituzione, questa particolare agenzia ha ricoperto il ruolo di “braccio armato” nella decennale guerra alla droga del Paese, un lungo processo con forti ripercussioni sociali, economiche e razziali.

La DEA come braccio armato della “War on Drugs” di Nixon

La DEA è stata istituita il 1° luglio 1973, sotto la presidenza di Richard Nixon. Questi ne propose la creazione come parte integrante della sua “guerra contro le droghe” (War on Drugs) per concentrare sotto un’unica agenzia federale il mandato di contrastare il narcotraffico e la diffusione di stupefacenti. Nel giugno 1971, il presidente Nixon aveva infatti dichiarato l’inizio di una lunga battaglia per contrastare il traffico di narcotici, il cui vasto uso, in quegli anni, era spesso associato a movimenti politici e sociali contro la guerra in Vietnam e più tardi, con la comparsa del crack, alle minoranze.

Nixon creò un sistema istituzionale e giuridico basato sul “pugno duro” contro il traffico di sostanze, con forti ripercussioni soprattutto sulla condizione delle minoranze, che furono particolarmente targettizzate. Per esempio, Nixon modificò l’elenco delle sostanze illegali “dannose” (come l’eroina), in cui venne inclusa anche la cannabis. Il processo di ”criminalizzazione” di questa sostanza, storicamente, è associato a problemi razziali e disuguaglianze. Similmente, la presidenza Nixon rafforzò un sistema di giustizia penale che ha finito per causare la mass incarcerationinasprì le pene associate alla compravendita di sostanze, introducendo misure come le condanne obbligatorie e i mandati no-knock (ovvero, senza precedente notifica all’accusato).

Ronald Reagan e il “pugno duro”

Sebbene creata da Nixon, l’importanza della DEA è cresciuta nella seconda fase della guerra alle droghe, inaugurata da Ronald Reagan negli anni Ottanta. Reagan ampliò notevolmente la portata della guerra ai narcotici e contribuì a sua volta all’inasprimento delle pene detentive per crimini legati al traffico e uso di stupefacenti. Secondo i dati del Dipartimento di giustizia, le politiche di Reagan in materia di stupefacenti portarono a un massiccio aumento di incarcerazioni per questi crimini, da 50.000 nel 1980 a 400.000 nel 1997.

In quegli anni, l’espansione della guerra alla droga è stata per molti versi guidata da una maggiore copertura mediatica, che ha contribuito ad amplificare la percezione del problema e la stigmatizzazione dell’uso di stupefacenti, portando alla crescente preoccupazione di una certa parte dell’opinione pubblica per la diffusione del consumo di droghe, in primis di crack. Questa narrativa sul consumo diffuso di stupefacenti, che arrivò a parlare di “epidemia di crack”, ha contribuito a promuovere il sostegno politico alla linea dura di Reagan sulle droghe. La misura più importante di quegli anni è stata l’approvazione da parte del Congresso dell’Anti-Drug Abuse Act del 1986, che ha stanziato 1,7 miliardi di dollari di fondi (di cui grande parte sono stati indirizzati alla DEA) e ha stabilito una serie di pene detentive “minime obbligatorie” per vari reati di droga.

Double-standards della guerra alla droga

Successivamente, questa serie di politiche è stata fortemente criticata. Un assistente di spicco di Nixon, John Ehrlichmanha recentemente ammesso che la politica guerra alla droga fosse stata pensata come uno strumento utile a combattere l’opposizione di Nixon e a marginalizzare ulteriormente le minoranze: «Vuoi sapere di cosa si trattava veramente. La campagna di Nixon nel 1968, e successivamente la Casa Bianca di Nixon, avevano due nemici: la sinistra contro la guerra e i neri. Capisci quello che sto dicendo. Sapevamo che non potevamo rendere illegale essere contro la guerra o neri, ma convincendo il pubblico ad associare gli hippy alla marijuana e i neri all’eroina, e poi criminalizzandoli pesantemente entrambi, avremmo potuto interrompere quelle comunità. Potremmo arrestare i loro leader, fare irruzione nelle loro case, interrompere le loro riunioni e diffamarli notte dopo notte al telegiornale. Sapevamo che stavamo mentendo sulla droga Certo che l’abbiamo fatto».

Un esempio calzante in questo senso è quello delle profonde disparità nelle sentenze per il possesso di cocaina da un lato, e crack dall’altro. Negli USA, infatti, secondo il regime stabilito dai cosiddetti mandatory minimum, il possesso di cinque grammi di crack porta a una condanna automatica di cinque anni; di contro, la stessa sentenza viene commutata solo in caso di possesso di 500 grammi di cocaina. Poiché circa l’80% dei consumatori di crack era afroamericano, mentre l’uso di cocaina è tradizionalmente associato ai bianchi, i mandatory minimum hanno portato a un aumento ineguale dei tassi di incarcerazione per i criminali neri non violenti per droga, oltre a sostenere che la guerra alla droga fosse un’istituzione razzista.

Questo è in linea con i numeri che tuttora mostrano le disparità razziali nelle azioni della DEA. Delle oltre 20 mila condanne emesse nel 2019 per reati relativi al traffico o uso di sostanze stupefacenti, più del 75% erano contro persone non bianche. Questo, nonostante sia risaputo che non ci sono di fatto differenze nel consumo e spaccio di droghe tra i diversi gruppi etnici e razziali statunitensi.

Sviluppi recenti e ulteriori controversie

La DEA ha accresciuto il suo raggio d’azione a dismisura negli anni, diventando oggi un’istituzione mastodontica, come è accaduto per molte altre agenzie federali statunitensi. Con un budget di 3,1 miliardi di dollari nel 2020, più altri 500 milioni per le operazioni all’estero e con i suoi 10 mila impiegati, la Drug Enforcement Administration è un corpo molto ingombrante nel già saturo mondo del law enforcement statunitense. La sua necessarietà è stata messa spesso in discussione, per diversi motivi. Da un lato, alcune delle sue funzioni sono già svolte da altre agenzie federali, in un ambiente – quello delle forze di polizia statunitensi – che è sovrafinanziato, con molte sovrapposizioni tra i compiti dei diversi corpi federali, e che avrebbe bisogno di una netta semplificazione per snellirne le trame troppo fitte. Dall’altro, come detto, il suo ruolo nella guerra alle droghe ha fatto sorgere numerosi dubbi sulla sua imparzialità. Infine, con l’esplosione recente della crisi del consumo di oppiodi negli USA, la sua totale inefficacia nel contrastare un fenomeno che porta a decine di migliaia di morti ogni anno ha posto interrogativi sulla sua reale capacità di contrastare l’abuso e il traffico di stupefacenti.

Negli scorsi anni, l’agenzia si è trovata al centro di nuove polemiche riguardanti proprio quest’ultimo punto. In un rapporto del 2019 del Congresso, la DEA è stata accusata di non aver risposto tempestivamente alla crisi degli oppiacei, ma di averla in realtà sostanzialmente aggravata: la DEA avrebbe infatti autorizzato grandi aumenti nella produzione di antidolorifici anche quando il numero di decessi correlati agli oppiacei negli Stati Uniti è salito alle stelle. Il rapporto di 324 pagine, il culmine di un’indagine di 18 mesi sul presunto dumping di pillole in West Virginia, mostra come gli errori e la mancanza di supervisione abbiano portato a un massiccio afflusso di queste sostanze, molte delle quali alla fine hanno alimentato la vendita sul mercato nero e gli abusi illegali di oppioidi, compreso l’ossicodone.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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