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Il live-action “Peter Pan & Wendy” (Disney+), lo spy-thriller “Citadel” (Prime) e il political drama “The Diplomat” (Netflix)

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“Seconda stella a destra, poi dritto fino al mattino”. È l’indicazione che Peter Pan dà per l’Isola che non c’è. Si torna nuovamente lì, a “Neverland”, per (ri)scoprire le avventure del bambino che non voleva crescere uscito dalla penna di J.M. Barrie: l’occasione è l’incantevole live-action “Per Pan & Wendy” diretto da David Lowery e disponibile su Disney+. Tra i protagonisti Jude Law nei panni di Capitan Uncino. Su Prime Video l’attesa serie spy-thriller “Citadel” ideata dai fratelli Anthony e Joe Russo, con Richard Madden, Priyanka Chopra Jonas, Stanley Tucci e Lesley Manville. I riferimenti sono chiari: James Bond in testa. Ancora, su Netflix la sorpresa “The Diplomat”, serie ideata da Debora Cahn debitrice del modello di “Homeland”: un thriller politico con incursioni tra dramma familiare e romance. Tra tensione e lampi di sarcasmo. Protagonisti Keri Russell, Rufus Sewell e David Gyasi. Il punto Sir-Cnvf.

 “Peter Pan & Wendy” (Disney+, 28.04)

Quasi non si contano, tra cinema e Tv, le trasposizioni della celebre opera di James Matthew Barrie sul bambino senza età Peter Pan. Creato dall’autore inglese nel 1904, Peter Pan è diventato un riferimento nella letteratura per ragazzi (ma non solo), un rimando al sogno dell’infanzia perenne, accostabile al fanciullino di Giovanni Pascoli, a quella condizione di candore e meraviglia da custodire anche quando si diventa adulti.
Tra i tanti titoli, un classico è l’animazione della Disney del 1953 “Le avventure di Peter Pan”; negli anni Novanta e Duemila sono da ricordare il film “Hook. Capitan Uncino” (1991) di Steven Spielberg – con le musiche di John Williams – dal cast hollywoodiano all star tra cui il compianto Robin Williams, Dustin Hoffman e Julia Roberts, e “Neverland. Un sogno per la vita” (2004) di Marc Forster con Johnny Depp, Kate Winslet e Freddie Highmore. Ora la Disney rilegge la storia recuperando il guadagno del cartoon del 1953: è “Peter Pan & Wendy”, un elegante e suggestivo live-action diretto da David Lowery (“Il drago invisibile”, 2016; “Old Man & the Gun”, 2018).
La storia. Londra inizio ‘900, famiglia Darling, i fratelli Wendy (Ever Anderson), Gianni (Joshua Pickering) e Michele (Jacobi Jupe) ricevono di notte la visita del bambino volante Peter Pan (Alexander Molony) e della fatina Trilli (Yara Shahidi), pronti a condurli sull’Isola che non c’è dove nessun bambino diventerà mai adulto. Lì, oltre a fare la conoscenza dei Bambini sperduti, i tre fratelli si imbatteranno nell’amico-nemico di Peter Pan Capitan Uncino (Jude Law)…
Qual è la particolarità di questo nuovo adattamento? Anzitutto, è bene soffermarsi sulla confezione formale, la dimensione visiva e stilistica. Punto di forza, di pregio, dell’opera è, infatti, la qualità del live-action, la messa in scena del racconto tra ricostruzioni reali e un uso diffuso di effetti speciali che ben si amalgamano al punto da non lasciar avvertire lo scalino tra realtà e fantastico. A impreziosire il film è poi un’elegante fotografia, che combina toni luminosi e cupi, mantenendo il racconto su note oniriche.
Dal punto di vista della storia, si assiste a una rivisitazione della vicenda di Peter Pan tra fedeltà e “tradimento”: l’impianto narrativo è grosso modo quello di Barrie, lo stesso binario del cartoon – in alcuni passaggi sembra proprio di assistere a una visualizzazione realistica delle sequenze animate del 1953 –, ma con alcune attualizzazioni. Due in particolare: un maggiore protagonismo di Wendy (che compare anche nel titolo), al punto da prendere in mano lei l’azione guidando tutti alla salvezza, Peter Pan compreso. Inoltre, un approfondimento dell’antagonista Uncino, di cui si spiegano le “radici del male”, i traumi che lo hanno spinto a passare al “lato oscuro”. Era infatti un amico di Peter Pan, ma sofferenze e abbandoni lo hanno spinto ad abbracciare livore e vendetta.
Nell’insieme “Peter Pan & Wendy” risulta una bella proposta per un pubblico ampio e familiare, pensata per rinverdire un racconto ormai classico allargandone le prospettive interpretative alle istanze del presente. Elemento di richiamo è comunque l’aspetto visivo e soprattutto una riuscita caratterizzazione di Uncino, un magnifico Jude Law. Consigliabile, poetico.

“Citadel” (Prime Video, 28.04)

Prime Video non si sta limitando solamente a valorizzare il catalogo della saga di 007-James Bond. Ha avviato anche produzioni, attualizzate e addizionate di scene action ed effetti speciali, sul binario narrativo ideato da Ian Fleming. Parliamo della nuova serie spy-thriller “Citadel” firmata da David Weil e dai fratelli Anthony e Joe Russo, questi ultimi registi-produttori che non sembrano sbagliare un colpo a Hollywood (“Avengers: Infinity War”, “Avengers: Endgame” e “The Gray Man”).
La storia. Stati Uniti oggi, l’agenzia di sicurezza Citadel ha subito un duro attacco dalla rivale Manticore al punto da aver perso quasi tutto il suo asset di agenti speciali. Tra i pochi rimasti ci sono Mason Kane (Richard Madden), che vive con la sua famiglia in una fattoria nell’entroterra statunitense, privo di memoria dopo un trauma, e Nadia Sinh (Priyanka Chopra Jonas), anche lei senza memoria, che dirige un ristorante in Spagna. Il loro ex capo Bernard Orlick (Stanley Tucci), li ricontatta per un’ultima missione: arrestare le mire espansionistiche di Manticore, guidata dall’efferata Dahlia Archer (Lesley Manville)…
Un alto tasso di adrenalina e azione: è la componente principale della serie “Citadel”, che corre veloce su una trama adeguatamente intricata e cadenzata da puntuali svolte narrative, che tengono viva l’attenzione nei 6 episodi. Se la linea del racconto può apparire in alcuni casi un po’ forzata o al limite del verosimile, a imprimere compattezza alla storia è di certo la seducente matrice enigmatica da thriller spionistico insieme a un cast indovinato. Capofila i divi Richard Madden (“Il Trono di Spade”, “Bodyguard”) e Priyanka Chopra Jonas (“Quantico”, “Matrix Resurrections”), affiancati dai veterani Stanley Tucci e Lesley Manville, sempre di gran classe.
Nell’insieme “Citadel” ha un buon andamento, serrato, facilmente apprezzabile dagli amanti del genere action-spy alla “Mission: Impossible” e “007” (ciclo Daniel Craig). Particolarità di “Citadel” è quella di essere una serie pensata su uno sviluppo internazionale, con spin-off collaterali già avviati in Italia e India: tra i protagonisti la nostra Matilda De Angelis. Serie complessa, problematica.

“The Diplomat” (Netflix, 20.04)

Tra le sorprese Netflix di  questa primavera figura la serie “The Diplomat” (8 episodi), un thriller politico di respiro internazionale che si ispira con evidenza al cult “Homeland” (2011-20). A firmare “The Diplomat” è Debora Cahn, che oltre ad aver curato alcuni episodi di “Homeland” ha lavorato ai copioni di “West Wing” e Grey’s Anatomy”. Protagonista è la sempre più brava Keri Russell (“The Americans”) affiancata da Rufus Sewell (“The Man in the High Castle”) e David Gyasi (“Carnival Row”).
La storia. Regno Unito oggi. Kate Wyler (Keri Russell), ambasciatrice statunitense in partenza per Kabul, viene mandata di gran fretta nella sede londinese per gestire uno spinoso incidente diplomatico. Al seguito di Kate il marito ugualmente diplomatico Hal Wyler (Rufus Sewell), che tende a sconfinare spesso nel perimetro professionale della donna. A Londra Kate dovrà confrontarsi con un protocollo istituzionale abbastanza rigido e interfacciarsi con un premier britannico particolarmente interventista (Rory Kinnear). L’unico interlocutore ragionevole sembra essere il ministro degli Affari esteri Austin Dennison (David Gyasi)…
“The Diplomat” è una serie riuscita, che spiazza lo spettatore anche per la cifra del racconto. La linea principale è quella del drama-thriller a sfondo politico, una partita a scacchi enigmatica ad alta tensione tra i palazzi delle istituzioni. A questa si aggiungono una componente da family drama e romance che riguarda il privato dei protagonisti: da un lato si assiste alla divampante conflittualità tra i coniugi ambasciatori, Kate e Hal, una conflittualità spesso gestita con ironia tagliente e sarcasmo, dall’altro si coglie una complicità crescente tra Kate e il collega inglese Austin, un’affinità professionale che apre a sfumature di sentimento.
Il racconto ha un andamento sostanzialmente lineare, perfettamente calato nel perimetro del film di genere; ogni episodio è cadenzato da cesellati colpi di scena che spingono al consumo “vorace” degli 8 episodi. Una proposta acuta e interessante, che guarda a modelli narrativi consolidati e al contempo integra dinamiche-tonalità “originali”, gli affondi ironico-sarcastici. Complessa, problematica, per dibattiti.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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