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Attualità

IN MORTE DI UN GIORNALISTA

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LUTTO

Maurizio Costanzo, una vita tra show e giornalismo

LA TV-SALOTTO – Se n’è andato a 84 anni, indaffarato come sempre. Una carriera lunga 65 anni, la P2, l’attentato

DI NANNI DELBECCHI 

25 FEBBRAIO 2023

Se n’è andato come voleva lui, troppo indaffarato per pensare ad altro.

A 84 anni Maurizio Costanzo aveva diversi programmi ancora in programmazione, S’è fatta notte, L’intervista, L’Alfabeto, Maurizio Costanzo show, e chissà quanti altri ne stava progettando per non perdere il ritmo. Se n’è andato come voleva lui, di un botto, senza fare la passerella, chi si ferma è perduto, perché la cosa di cui aveva più paura non erano le malattie o la morte. Era la noia. “È stata la costante della mia vita. Se ho fatto tante cose è per combattere la mia vera nemica”: l’ha combattuta con l’ipercinesi, con la bulimia da lavoro, un grande classico degli ipocondriaci.

Una carriera lunga 65 anni, iniziata con una lettera scritta al suo giornalista preferito, Indro Montanelli, quando era studente di ginnasio. Indro gli telefona, lo riceve, partono le prime collaborazioni con i quotidiani, poi diventa caporedattore nella redazione romana di Grazia, un amore per la carta stampata che non lo abbandonerà mai, seppure non troppo corrisposto. Dopo aver diretto La domenica del Corriere nella Rizzoli di Bruno Tassan Din, nel 1981 arriva il naufragio del quotidiano popolare L’Occhio, e dire che si era anche iscritto alla P2: “Un grosso errore giovanile, ma gli errori fanno crescere. Non credo a chi dice di non averne mai fatti.”

Chi si ferma è perduto: giornalismo a parte, dagli anni 60 Costanzo si misura come drammaturgo, paroliere (Se telefonando, scritta insieme con Ghigo De Chiara, resta immortale anche nell’era di whatsapp), autore radiofonico e televisivo. Date alla mano, il primo talk show della televisione italiana è il Processo alla tappa di Sergio Zavoli, ma è il suo Bontà loro (1976) il vero big bang dei programmi di parola nella storia della nostra tv.

Per la prima volta i personaggi pubblici si svelano, si tradiscono, stabiliscono un rapporto emozionale con il pubblico, ovvero la quintessenza della nascente neotelevisione. Come in tutte le grandi invenzioni, il caso ebbe un ruolo determinante nella nascita di Bontà loro. Si era creato un buco nella seconda serata del lunedì di Rai1, il capostruttura Angelo Guglielmi non sapeva bene come riempirlo; allora Costanzo prese uno studio-stanzino, tre poltrone, lo sgabello da confessore laico da cui non si sarebbe mai separato, una finta finestrella che veniva aperta alla fine della trasmissione, e il gioco fu fatto.

Lo scandalo della P2 interrompe la corsa sul più bello, ma nel 1982 tutto è perdonato; Costanzo passa alla Fininvest dell’ex compagno di errore giovanile Silvio Berlusconi e il 14 settembre battezza su Rete 4 il Maurizio Costanzo Show destinato a diventare il salotto mediatico più celebre della televisione italiana: la generazione che da piccola andava a letto dopo Carosello impara ad andare a letto dopo il Costanzo show; alla fine, saranno 41 stagioni e quasi 55.000 ospiti intervistati in quelle seconde serate dove oltre a passare tutto lo star system nazionale si forgia una celebrità di nuovo conio.

La televisione può fare da sola, può trasformare un signor nessuno in vippone, che ci sia autentico talento, una mescolanza di talento e impudenza o la prevalenza della spazzatura. Di sicuro lo sgabello coi baffi, la mano santa del conduttore sanno come amalgamare tempi, ritmi, temperature, maschere e pupazzi; di fatto, l’Italia degli anni 80 e 90 si divide tra chi va al Costanzo show e chi no.

Il capolavoro arriva nel 1995, quando Costanzo porta al Parioli Carmelo Bene: “Uno contro tutti”, ma anche nessuno contro il nulla, un cortocircuito perfetto tra tv e teatro, tra il tinello e l’abisso. Intanto, mentre anche i politici scoprono quanto è fruttuoso diventare showman, prende corpo il sodalizio con Michele Santoro, nasce il sogno di un terzo polo televisivo destinato a rimanere tale, ma anche un costante impegno contro la mafia che sfocerà in un attentato. Il 14 maggio 1993 una Fiat Uno imbottita di tritolo esplode a Roma, in via Ruggero Fauro, mentre transita un’auto con a bordo Costanzo e la moglie Maria De Filippi, che solo per un soffio restano incolumi.

Chi si ferma è perduto; dopo quattro mogli, tre figli e quattro nipoti Costanzo cede lo scettro della televisione di parola a Maria, pur senza rinunciare a calcare le scene per conto suo; anzi, moltiplicando le apparizioni. Però negli ultimi tempi il diabolico e geniale pigmalione si era fatto via via più magnanimo; i suoi palcoscenici, un tempo ring per lottatori di sumo, assomigliavano sempre più a paterni centri di accoglienza. Il rischio museale era nell’aria, come quello della santificazione in vita.

Costanzo deve avere intuito cosa s’era dietro l’angolo, e se n’è andato un attimo prima.

FONTE.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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