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Attualità

ANARCHICO COSPITO: VERSO UNA NUOVA STAGIONE DEGLI ANNI DI PIOMBO???

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«Dentro ogni anarchico
sta un dittatore fallito»
Benito Mussolini

Cospito di Massimo Numa La Stampa, giovedì 31 ottobre 2013

Due documenti per rivelare che, a sparare all’ad di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, ferito alle gambe a colpi di pistola la mattina del 7 maggio 2012 a Genova, sono stati proprio loro, gli anarchici del nucleo Olga-Fai Informale, i torinesi Alfredo Cospito e Nicola Gai, arrestati da Ros e Digos nel settembre 2012. I pm di Genova Silvio Franz e Nicola Piacente hanno chiesto per loro una pesante condanna nell’udienza con rito abbreviato di ieri: 12 anni per Cospito, 10 per Gai. Sentenza, dopo l’intervento della difesa, il 12 novembre prossimo. L’avvocatura dello Stato (avvocato Gian Marco Rocchetta) ha chiesto un risarcimento di un milione di euro, seguito dalla parte civile che tutela gli interessi della vittima.

Tribunale blindato, dopo le minacce dei giorni scorsi nei confronti di inquirenti e istituzioni da parte di questo segmento anarchico che ha scelto la strada dell’eco-terrorismo. Clima da Anni di Piombo: amici, familiari e compagni di lotta hanno accolto Cospito e Gai con cori, slogan e insulti rivolti al giudice Annalisa Giacalone (aperta un’inchiesta per oltraggio, procede la procura di Torino nei confronti dei due imputati): «Libertà per tutti e tutte» e poi saluti affettuosi: «Come siete belli…». «Ti salutano i tuoi», dice un compagno a Gai che, libero dalle manette, saluta sorridendo a pugno chiuso.

Cospito è il secondo ad arrivare. Stesso entusiasmo. Poi si siede accanto al suo avvocato di fiducia, Caterina Calìa, e si rivolge direttamente al giudice: «Adesso inizio a leggere il mio documento». «Non può farlo, non è questo il momento delle dichiarazioni spontanee, deve seguire le regole», replica il magistrato. Cospito: «Non riconosco questo Tribunale, leggo e me ne vado». Poi ha iniziato a leggere, incurante dei richiami. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno afferrato e condotto fuori dall’aula, lui ha gettato i fogli contro il giudice. Stessa scena per Gai.

Nei due documenti, una confessione-rivendicazione piena. Con un avvertimento: «Il nucleo Olga-Fai/Fri è costituito solo da noi due, non cercate altri anarchici, abbiamo fatto tutto da soli».

Lo scritto di Cospito, titolo: «Dal ventre del Leviatano», oltre alle citazioni di Bakunin ed Edgar Allan Poe, riporta anche una frase che avrebbe pronunciato il manager ferito: «Bastardi… so chi vi manda!». Poi: «In una splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto appieno della vita… Uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà è caduto ai miei piedi». Segue una complessa analisi delle ragioni che lo hanno indotto a ferire un uomo. E conclude: «…Adinolfi lo abbiamo visto sorridere sornione dagli schermi televisivi, atteggiandosi a vittima, lo abbiamo visto dare lezioni nelle scuole contro il terrorismo… Ma io mi chiedo cos’è il terrorismo? Un colpo sparato, un dolore intenso, una ferita aperta o la minaccia incessante che una delle sue (di Adinolfi, ndr) centrali nucleari ci vomiti addosso morte e desolazione?».

Si prosegue con un omaggio all’anarchico svizzero Marco Camenisch, in carcere per l’omicidio di un poliziotto. Infine: «Morte alla civilizzazione, morte alla società tecnologica, lunga vita alla Cospirazione delle Cellule di Fuoco, lunga vita alla Fai/Fri. Viva l’Internazionale Nera, Viva l’anarchia».

Dettagli tecnici: la pistola Tokarev comprata per 300 euro; solo cinque appostamenti prima dell’agguato; la facilità per avere le informazioni su indirizzi e abitudini del manager. E una precisa minaccia: «Non c’è bisogno di una struttura militare per colpire chiunque». Ancora: «Nicola guidava lo scooter, sono sceso e ho sparato». Rimpianti: «Persi secondi preziosi per ascoltare la frase urlata di Adinolfi, lui riuscì a leggere in parte i numeri di targa… non basterà certo la condanna di questo tribunale a fare di noi i cattivi terroristi e di Adinolfi e Finmeccanica i benefattori dell’Umanità».

La confessione di Gai, figlio di un imprenditore di Moncalieri, è nel secondo documento: «Siamo stati noi soli, non vi affannate a cercare complici, non ci sono». Altro: «Ho deciso di smetterla di partecipare a proteste simboliche (contro la devastazione della natura e dei territori, ndr) che troppo spesso non sono altro che manifestazioni di impotenza». Scelta finale: sabotaggi e «azioni». L’anarchico si sofferma sui trasporti di scorie nucleari, via Val Susa (dove ci sono stati scontri e arresti) verso la Francia. Appello finale: «Amore e complicità per le compagne e i compagni che continuano ad attaccare in nome di una vita libera dalle autorità».

Massimo Numa Anarchici di Massimo Numa e Massimiliano Peggio La Stampa, mercoledì 7 settembre 2016

Ci sono anarchici che amano «sentire sulle proprie mani e nel proprio cuore il calore del fuoco e della rivolta» e altri che fanno «letteratura, intellettualismi, facili slogan da volantino». È in questo scontro ideologico tra militanti che affondano le radici della violenza anarchica maturata negli ultimi anni a Torino, in chi ha scelto di mettere da parte gli «intellettualismi» per stringere legami «con compagni di lotta» in Spagna, Germania, Grecia, e poi confezionare pacchi bomba da inviare a politici, imprenditori, uomini dello Stato o farcire di chiodi ed esplosivi pentole a pressione e farle esplodere nelle vie della Crocetta, uno dei quartieri più esclusivi della città.Dopo anni di indagini, pedinamenti, intercettazioni, ieri la Digos di Torino, con il coordinamento del Servizio Centrale Antiterrorismo di Roma, ha notificato 7 misure cautelari in carcere con l’accusa di associazione eversiva e terroristica, a firma del gip Anna Ricci. Altre 8 persone sono indagate. Un’operazione complessa, che ha coinvolto le ramificazioni del Fai, la Federazione Anarchica Informale, in Piemonte, Liguria, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Sardegna, Abruzzo, Campania e Umbria. Trentasette le perquisizioni. Tra i destinatari del provvedimento ci sono Alfredo Cospito, 49 anni, e Nicola Gai, di 39, condannati in via definitiva, rispettivamente a più di 9 e 8 anni di reclusione, per la gambizzazione nel maggio 2012 di Roberto Adinolfi, l’ad dell’Ansaldo Nucleare. Con l’operazione è finita in carcere anche la compagna di Cospito, Anna Beniamino, 45 anni, figlia di un noto antiquario di Sanremo, esperta di tatuaggi, con un negozio nel quartiere di San Salvario a Torino, diventato poi base del Fai/Fri, dove veniva confezionati documenti di rivendicazione. Tra gli indagati c’è l’artificiere, l’esperto di trappole esplosive, Stefano Gabriele Fosco, la sua compagna Elisa Di Bernardo, Patrizia Marino, torinese.

Per capire quando germoglia il seme della Federazione Anarchica Informale (poi anche internazionale, sigla Fai/Fri), bisogna fare un salto di 19 anni, al 1997. In quell’anno l’area insurrezionale torinese, già molto attiva in Piemonte, si trova reduce di un’ondata di arresti disposti del pm di Roma Giovanni Marini. È una sintesi tra le idee del rivoluzionario-filosofo Alfredo Maria Bonanno e la prassi di Azione Rivoluzionaria, un frammento nato dalla disgregazione di Brigate Rosse e Prima Linea. Il 20 giugno 1997, in casa di un noto anarchico torinese, viene trovato il testo-base della Fai. Titolo: «Prospettive operative comuni contro la repressione dei compagni…», in cui torna alla ribalta l’idea del «partito militare». È Alfredo Cospito, nato in una famiglia medio borghese di Pescara, emigrato prima in Val d’Aosta e poi a Torino, a spiegare bene il concetto: «…Non aborriamo affatto ogni ipotesi o progetto di banda armata…». Anni dopo, una passante morirà in un attentato Fai/Fri a Parigi e lui dirà: «È accettabile che nell’azione possano morire persone estranee. È lo Stato l’unico responsabile di queste morti». È in quegli anni che due anarchici, Edoardo Massari e Soledad Rosas si suicidano dopo gli arresti, infiammando i cuori degli anarchici piemontesi. Da qui si consolidando i legami con i «compagni» stranieri, tra cui l’ideologo del partito armato Gabriel Pombo Da Silva, spagnolo. Ma anche con gruppi greci, austriaci, francesi, russi, e quelli italiani del Nord Ovest e il centro Sud. Ma è solo nel 2003 che si costituisce un’organizzazione orizzontale in diverse regioni italiane, decisamente votata al terrorismo. Ciò in contemporanea con l’esplosione di due ordigni collocati vicino all’abitazione di Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione Europea. Poi è un crescendo di episodi e rivendicazioni. La Digos, coordinata dal pm Roberto Sparagna, ha ricostruito l’attività del gruppo, attribuendo una serie di attentati o spedizioni di pacchi bomba, sull’onda della lotte contro la gestione dei centri di permanenza per stranieri. Si ricostruisce il percorso dei pacchi bomba a Sergio Chiamparino, all’ex sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, e al questore di Lecce. Ma anche le bombe alla Crocetta e alla scuola allievi carabinieri di Fossano.

Massimo Numa e Massimiliano Peggio Fame di Luigi Manconi la Repubblica, mercoledì 4 gennaio 2023

Quando si fa lo sciopero della fame, di fame si può anche morire. Questa elementare consapevolezza sembra del tutto assente da quel tanto di riflessione che ha suscitato il digiuno intrapreso dall’anarchico Alfredo Cospito, a partire dal 21 ottobre scorso, contro il regime di detenzione speciale del 41-bis, cui è sottoposto nel carcere di Bancali (Sassari). L’atteggiamento che prevale è un altro. C’è un tratto del carattere nazionale che oscilla tra un disincanto assoluto che si fa efferatezza e un consumato scetticismo che diventa amoralità. È la maschera italiana che non prende mai nulla troppo sul serio, nemmeno le tragedie e i grandi processi sociali: non le istituzioni né il cambiamento climatico, né il voto politico; e che – in odio al “buonismo” – come il Franti di De Amicis «burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino». C’è qualcosa di questo dietro il silenzio che circonda la vicenda di Cospito, motivato innanzitutto da una diffusa diffidenza verso lo strumento dello sciopero della fame: “tanto mangiano di nascosto” e “al massimo dimagriscono un po’”. Sì, in effetti, Cospito è dimagrito di 35 chili. È ormai nell’undicesima settimana di digiuno, assume solo acqua, un po’ di sale e miele e qualche integratore e registra una alterazione dei sali minerali e un forte calo di potassio. La cosa non ha prodotto alcun interesse presso la classe politica, a parte le interrogazioni presentate da un pugno di parlamentari, e presso l’amministrazione penitenziaria, ulteriormente indebolita da un cambio di vertice. Si dà per scontato che la vicenda sia destinata a finire nell’oblio, ma è sufficiente scavare negli archivi per avere qualche sorpresa. Dal 2009 a oggi sono state ben quattro – Sami Mbarka Ben Gargi, Cristian Pop, Gabriele Milito, Carmelo Caminiti – le persone che hanno perso la vita facendo del proprio corpo l’estrema posta in gioco di una battaglia contro ciò che si riteneva una ingiustizia. E questo solleva importanti questioni di diritto e di etica: può lo Stato assistere passivamente a questa forma di autolesionismo? Può l’individuo astenersi dal cibo fino a morirne? Deve lo Stato intervenire con una misura di autorità anche contro la volontà del soggetto? Si tratta, come è evidente, di problemi estremamente delicati, che chiamano in causa, per un verso, il fondamentale diritto all’autodeterminazione e, per l’altro, il principio della responsabilità dello Stato nel tutelare l’incolumità degli individui, tanto più se affidati alla sua custodia.A prescindere dalla risposta che ciascuno di noi sceglie di dare, emerge tutta l’importanza delle questioni che l’azione di Cospito pone, al di là delle sue convinzioni politiche e dei suoi precedenti penali, della sua concezione del mondo e del suo atteggiamento verso lo Stato, le istituzioni, il sistema democratico. La sua storia giudiziaria, infatti, presenta molte anomalie. In primo luogo, il fatto che Cospito è stato condannato per il reato di strage, pur se il suo atto criminale – l’invio di due pacchi bomba contro la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano – non ha prodotto né morti né feriti. La qualificazione del reato come strage ha portato con sé sia la misura dell’ostatività (l’impossibilità di ottenere i benefici penitenziari e la liberazione condizionale) sia, appunto, il regime penitenziario differenziato, quello adottato in genere a carico dei membri della grande criminalità organizzata. L’istituzione del 41-bis risponde a una e una sola finalità: quella di interrompere i legami tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza. Ma, col tempo, la misura si è trasformata in un regime di reclusione particolarmente pesante, discriminatorio e afflittivo: fino al divieto, nel caso di Cospito, di tenere in cella le foto dei genitori defunti, se non dopo che fossero state riconosciute dal sindaco della località di residenza. E c’è un’altra questione giuridica di rilievo, al punto che la Corte di Appello di Torino ha disposto l’invio degli atti alla Corte Costituzionale – sono state rese note ieri le motivazioni – in base a un fondamentale principio del diritto contemporaneo: quello di proporzionalità. Il Tribunale chiede alla Consulta: esiste un rapporto equilibrato, congruo, proporzionato tra l’entità del reato commesso da Cospito e l’entità della pena inflittagli? Come si vede, il gesto dell’anarchico non riguarda solo l’interessato e la sua area politica: interroga, piuttosto, tutti noi in quanto cittadini di uno Stato di diritto, costantemente in affanno per adeguarsi ai principi che afferma. Cospito, per dirne una, trascorre la sua ora d’aria all’interno di un cubicolo chiuso da alti muri, dove la vista del cielo è consentita solo attraverso una grata. Probabilmente, sarebbe troppo definire questa condizione «un inferno», come diceva Fëdor Dostoevskij a proposito dello stato delle carceri russe nel racconto Il Prete e il Diavolo. La scrittrice Emma Goldman – un’anarchica – ricorda quel testo di Dostoevskij nell’introduzione a un saggio sul sistema carcerario statunitense. Da allora, le condizioni sono mutate – enormemente mutate – ma una traccia di quell’«inferno» si ritrova tuttora nelle prigioni dei nostri sistemi democratici.

Luigi Manconi

Vetriolo di Davide Milosa il Fatto quotidiano, lunedì 31 gennaio 2023

Alfredo Cospito, pescarese classe ’67, una delle figure di maggior spicco della Federazione anarchica informale (Fai), già nel 2018 scriveva di tornare alla lotta armata. All’epoca era recluso nel carcere di Ferrara per aver gambizzato a Genova, il 7 maggio 2012, Roberto Adinolfi allora ad di Ansaldo Nucleare. Il concetto lo esprimeva in un lungo articolo scritto nel carcere emiliano e inviato al giornale clandestino Vetriolo, i cui primi numeri furono stampati a Villa Vegan a Milano, uno dei centri dell’estremismo anarchico già in contatto con l’Asilo occupato di Torino.All’epoca Cospito non era al 41-bis, perché ancora per gli attentati incendiari (senza danni a persone o cose) fuori dalla scuola allievi carabinieri di Fossano (Cuneo) l’accusa non era stata trasformata in strage politica. “Quale internazionale? Intervista e dialogo con Alfredo Cospito”. Questo il titolo con cui si aprono tre fittissime pagine nelle quali Cospito scrive: “Ritengo ancora oggi di incredibile efficacia il tentativo di creare organizzazioni internazionali clandestine che agiscono sotto traccia all’interno dei movimenti di massa”. Qualche passo dopo spiegava come “la nascita del Fai-Fri (…) ha concretizzato una internazionale nera” perché “gli anarchici che aspettano i momenti maturi per agire hanno perso in partenza (…). Solo scontrandosi armi in pugno con il sistema possiamo costruire l’azione”. E ancora: “Il terrorismo è una pratica sempre usata dagli anarchici (…). Il terrorismo dal basso verso l’alto ha tutte le ragioni del mondo”. Parole che attraverso Vetriolo sono state veicolate negli ambienti anarchici italiani e non solo. Ragionamenti, va detto, non ordini né obiettivi precisi (se pur definiti in via generale). Vetriolo, la rivista che pubblicherà l’intervento di Cospito, in qualche modo nasce sulle ceneri de L’Aurora, altro ciclostile pubblicato a Milano a partire dal 2006 e che aveva come obiettivo, scrive il giudice Guido Salvini nell’ordinanza relativa all’inchiesta milanese sul Partito comunista politico-militare (2007) “un lavoro politico che, inserendosi in situazioni come le lotte sociali in fabbrica e le contestazioni contro il Tav in Valsusa lavori per portare il maggior numero di persone sul terreno rivoluzionario”. Ora Vetriolo, secondo molti analisti, per un certo periodo di tempo ha avuto un obiettivo simile a L’Aurora. Di nuovo Cospito nel suo scritto: “Oggi la progettualità informale ci sta regalando la possibilità di rilanciare concretamente in maniera pericolosa per il sistema una internazionale che potrebbe innescare una reazione a catena inarrestabile (…). Un’internazionale anarchica pericolosa che faccia sanguinare facendogli la guerra in maniera efficace”. Ma per Cospito il vero avversario non è più il capitalismo, ma il capitalismo al servizio delle tecnologie. Prosegue: “Bisogna avere il coraggio di opporsi armi in pugno giocandosi la vita per fermare questo processo autodistruttivo”.

Non fu un caso che nel 2012 Cospito assieme a Nicola Gai organizzò e portò a termine la gambizzazione di Adinolfi. Nel 2013, su un blog di area anarchica, lo stesso Cospito ricorderà così quel 7 maggio: “In una splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto a pieno della vita. Per una volta mi sono lasciato alle spalle paura e autogiustificazioni e ho sfidato l’ignoto. In una Europa piena di centrali nucleari, uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà è caduto ai miei piedi (…). Quel giorno non ero una vecchia Tokarev (pistola russa, ndr), la mia arma migliore, ma l’odio che provo contro la società tecno-industriale”. Tornando alla nuova rivoluzione tecnologica, scrive su Vetriolo: “Oggi a gestirla è un numero limitato di scienziati (…) tutti alla portata di una internazionale anarchica”.

Davide Milosa

Dramma di Marco Travaglio Il Fatto Quotidiano

E così i politici sono riusciti a trasformare anche il dramma di Cospito in una farsa: la rissa da ballatoio fra il capogruppo FdI Donzelli che accusa il Pd di stare coi terroristi che parlano coi mafiosi senza crederci nemmeno lui, e il Pd che si scatena perché Donzelli l’ha saputo dal suo governo e improvvidamente l’ha detto (ma la notizia, senza i nomi, era già su Repubblica di ieri). Nella caciara generale, si perdono i fondamentali di una vicenda che, comunque la si pensi, è drammatica. Cospito è un terrorista anarco-insurrezionalista (gli anarchici storici erano altra cosa) che teorizza, pratica e rivendica la lotta armata: ha gambizzato un dirigente Ansaldo e s’è preso 10 anni e 8 mesi; ha messo una bomba alla caserma di Fossano per fare una strage di carabinieri, fortunatamente fallita, e s’è beccato 20 anni in appello, poi la Cassazione ha disposto un nuovo appello per aumentargli la pena. Tipico curriculum da 41-bis: chi altri se non i gambizzatori e gli stragisti – mafiosi o ideologizzati che siano – va sigillato in cella per evitare contatti con le rispettive organizzazioni? Spetta poi ai giudici valutare eventuali ravvedimenti o dissociazioni (possibili solo collaborando con la giustizia) e l’attualità del pericolo. Il governo e il Parlamento possono sempre decidere di abolire il 41-bis, però assumendosene la responsabilità senza ipocrisie né sotterfugi. Cioè per tutti, non per uno.

E qui casca l’asino del Pd, che chiede di lasciare al 41-bis mafiosi e terroristi, ma vorrebbe esentarne Cospito senza neppure avere il coraggio di dirlo, ma sottolineando che sta malissimo e “non bisogna farne un martire”. Cospito sta malissimo (ha perso 40 chili in 100 giorni), ma non perché lo Stato lo stia torturando: perché fa lo sciopero della fame per abolire il 41-bis. E chiunque – anche il peggiore dei criminali – mette in gioco la propria vita per una causa – anche la più sbagliata – merita rispetto. Ma rispettarlo non significa esaudirlo. Altrimenti domani Messina Denaro e gli altri mafiosi e terroristi al 41-bis potrebbero iniziare il digiuno (ne hanno già fatti diversi, invano) e chi usa l’argomento della salute da tutelare e del martirio da evitare dovrebbe battersi anche per loro. È ciò che fa Cospito contestando la legge sul 41-bis: il che rende perfettamente credibili i suoi contatti in carcere con un mafioso nel suo stesso stato. E rende ancor più ipocrita la battaglia dei politici e intellettuali favorevoli al carcere duro per tutti fuorché per lui. Anche perché, malgrado il trasferimento da Sassari a Opera, dove le strutture terapeutiche e nutrizionali sono più all’avanguardia, Cospito ha già annunciato che continuerà a rifiutare il cibo finché il 41-bis non sarà abolito. E questo ricatto, per quanto rispettabile, nessuno Stato lo può accettare.

Marco Travaglio

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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