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Cervino, anno1956: Antonio Piscitelli, calzolaio 22enne, uccise, per motivi di donne Andrea Nuzzo, contadino 20enne

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1956, Messercola di Cervino:

 

Antonio Piscitelli, 22 anni, calzolaio, uccise, con premeditazione e per motivi di donne il contadino 20 enne Andrea Nuzzo – di Ferdinando Terlizzi

Verso le ore 21:00 del 21 settembre del 1956 il comandante interinale della stazione di Cervino, appuntato Raffaele Iollo, a mezzo motociclista avvertiva la Tenenza dei carabinieri di Maddaloni che poco prima era stato commesso in Messercola di Cervino un omicidio. Il comandante del suddetto ufficio, in compagnia del brigadiere Enrico Paradiso, dell’appuntato Francesco Pino e dei carabinieri Giuseppe Meliota ed Angelo Albanese della stazione di Maddaloni, raggiungeva detta località, rinvenendo quasi al centro della via Borsi, il cadavere di un giovane dall’apparente età di anni 20. Il cadavere giaceva supino e di traverso sulla pubblica via, con i piedi rivolti verso la parte bassa del paese e con la testa verso l’altro lato della strada. Aveva la testa rivolta a sinistra con la guancia sinistra poggiata a terra, mentre le braccia erano ripiegate sull’addome. Dalla bocca, lato sinistro, usciva dell’abbondante sangue fino a raggiungere l’altezza delle spalle.

Sul posto non venivano rinvenuti, nei pressi del cadavere e nelle immediate adiacenze di esso, bossoli né una qualsiasi arma da fuoco. Nella tasca interna dei pantaloni si rinveniva soltanto un portafogli di pelle, color marrone, contenente 16 fotografie ed una dichiarazione di rivedibilità rilasciata dal Consiglio di Leva della Provincia di Caserta, in data 31 luglio 56, al giovane Andrea Nuzzo, di Andrea e di Filomena Nuzzo, nato a Santa Maria a Vico il 7 novembre del 1936. Procedutosi a visita neuroscopica si accertava che l’ucciso presentava soltanto un forame di entrata di proiettile nella parte sinistra del labbro inferiore, con conseguenti rotture di alcuni denti della mandibola, senza forami di uscita. Non era ancora sopraggiunta la rigidità cadaverica, perché la morte risaliva ad alcune ore prima.

Si dava, quindi, corso ad immediati e rigorosi accertamenti e malgrado le molteplici difficoltà ambientali locali nonché le circostanze di tempo e luogo che avevano determinato la consumazione del delitto, si riusciva tuttavia ad accertare che  l’assassinato, identificato per Andrea Nuzzo, era poco conosciuto il luogo; che l’uccisore, anch’egli non del luogo, era di San Marco di San Felice a Cancello identificava nella persona di Antonio Piscitelli, di Raffaele; che al momento del delitto si trovavano presenti altri due giovani, uno dei quali di Messercola – conosciuto con il nomignolo di  “il barone”, e che erano stati sparati tre colpi di arma da fuoco.

Il “barone”, identificato nella persona di Vincenzo Zambrano di Antonio, non veniva rintracciato per irreperibilità; come pure si era reso irreperibile anche Antonio Piscitelli, il quale, nonostante le continue battute ed appostamenti eseguiti quella notte e nei giorni successivi, non veniva rintracciato presso  i numerosi parenti, residenti alcuni in comuni limitrofi. Era di pubblico dominio, come infatti se ne riceveva conferma da alcune prove testimoniali, che il Piscitelli da alcuni mesi corteggiava una giovane ragazza di Messercola e quindi pretendeva che la stessa non venisse importunata o avvicinata dal Nuzzo, essendosi accorto che anche quest’ultimo nutriva gli stessi suoi propositi. Per avere il campo libero, pretendeva che il Nuccio si astenesse  dal frequentare ulteriormente la frazione di Messercola. Per tale motivo aveva avuto con Nuzzo, in questi ultimi tempi, alcuni alterchi, l’ultimo dei quali si era verificato la sera del 20 e dello stesso mese, nei pressi del tabacchino di Messercola.

Antonio Piscitelli, come rilevasi dalla deposizione resa subito dopo l’arresto, confessava: A) di conoscere il Andrea Nuzzo da circa due anni  e di avere mantenuto con lo stesso, fino a qualche mese prima, buoni rapporti amichevoli; B)  di essersi fidanzato, non ufficialmente, con la Caturano durante il periodo della recente propaganda elettorale per le elezioni amministrative. Ad avvalorare la sua tesi, dichiarava di aver fatto recapitare alla Caturano – a mezzo di Filomena De  Lucia –  una sua lettera amorosa, che gli veniva restituita dopo alcuni giorni dal fratello della ragazza a nome Vincenzo Caturano, e che detta lettera poteva essere rinvenuta nella sua abitazione.  Sì desumeva, inoltre, dalle affermazioni del Piscitelli che 15 giorni prima del delitto si era  incontrato col Nuzzo in località “Cellaro” di Santa Maria a Vico e, dopo avergli offerto un caffè, era stata da questi schiaffeggiato ed anche minacciato di morte qualora avessi continuato a frequentare Messercola, che, dopo venti minuti, si è incontrato con i fratelli Mario e Mincuccio, figli di Giovanni “e cuozzi”, rendendoli edotti dell’affronto ricevuto poco prima del Nuzzo e che detti fratelli, identificati per Clemente e Mario Balletta, si sarebbero immediatamente adoperati per fare riappacificare il Nuzzo  con il Piscitelli.

Tale affermazione veniva però categoricamente smentita dai Barletta, i quali anzi precisavano che non conoscevano il Piscitelli e che col Nuzzo non avevano avuto mai  rapporti amichevoli. Anche un altro episodio, riferito dall’imputato che cioè, mentre conversava col barbiere Vincenzo Massaro, fu costretto ad allontanarsi di corsa per sottrarsi alle bastonate del Nuzzo, spalleggiato dai fratelli, figli di “Alfredo o’ pazzo”, identificati delle persone di Giuseppe e Carmine Nuzzo, veniva smentito dagli interessati, perché gli stessi non avevano avuto mai occasione di praticare  con il Piscitelli.

Dopo circa un quarto d’ora e precisamente poco prima delle ore 20:00 – affermava sempre il Piscitelli –  si era presentato il Nuzzo, il quale, fermatosi sulla pubblica via ad una distanza di circa 10 metri avevo invitato lo Zampano a riferire al Piscitelli che era un “moccuso” e che se Nuzzo non aveva paura della gente di San Marco.  A sentir ciò e poichè veniva invitato ad avvicinarsi al Nuzzo, egli aveva dato incarico alla Zampano di accertarsi se esso Nuzzo era o meno armato. Nel frattempo il Nuzzo si era avvicinato al Piscitelli di alcuni passi, tenendo la mano sinistra nella tasca dei pantaloni e ed impugnando con la destra una pistola. A questo punto è il Piscitelli, onde prevenire l’avversario, aveva impugnato anche lui la pistola, custodita nella cintura dei pantaloni, ed aveva fatto partire due colpi in direzione del Nuzzo. Subito dopo il fatto si era dato alla fuga eclissandosi nelle campagne adiacenti, preceduto dallo Zampano.

Un cumolo di bugie . Le smentite – I confronti – Alla ricerca del vero movente – Una mente perversa- Un borderline

 Alle prime indagini anche questi altre sue affermazioni venivano smentite in modo categorico da alcune prove testimoniale. Infatti: furono sparati tre colpi di pistola e non due come dichiarato da Antonio Piscitelli di Michele, da Vincenzo Zampano di Antonio, da Filomena De  Lucia,  di Alfonso e da Francesco Savinelli,  di Domenico; il Salvatore Crisci negava nel modo più assoluto di avere avvertito il Piscitelli, nelle circostanze di tempo e luogo innanzi accennate, di stare in guardia perché aveva incontrato il Nuzzo armato di due pistole, con intenzioni omicide; Vincenzo Zampano dichiarava che mente stava da solo sul muretto dell’abitazione del Pascarella veniva avvicinato dal Piscitelli e in tale occasione gli domandava i motivi che l’avevano indotto a bastonare la sera precedente il suo paesano ed apprendeva così che il Nuzzo, a lui sconosciuto, pretendeva che il Piscitelli si astenesse dal frequentare ulteriormente Messercola e che spesso i due avevano litigato per motivi non precisati da Piscitelli; mentre ragionavano, esso Zampano vedeva giungere da Messercola il Nuzzo, al quale rivolgeva la proposta di riappacificazione col Piscitelli, proposta questa accettata senza alcuna riserva da parte dell’interpellato; nel contempo lo Zampano pregava il Piscitelli a non creare fastidi, ricevendo l’assicurazione che esso Piscitelli  era disarmato; mentre lo Zampano svolgeva opera da paciere improvvisamente il Piscitelli, – armatosi di pistola – esplodeva tre colpi in direzione del Nuzzo ad una distanza di circa cinque, sei metri, nonostante che il Nuzzo fosse disarmato.

Filomena De Lucia, sua volta affermava che, nel recarsi all’abitazione del Pascarella, aveva notato nei pressi del muretto la presenza di due giovani ed aveva avuto occasione di sentire: “tu dovevi lasciare stare il bastone, dovevi percuotere con le mani“. Tale frase aveva relazione con l’episodio verificatosi la sera del 20 nei pressi del tabaccaio di Messercola.

Nel corso degli accertamenti veniva riferito confidenzialmente che presenta al delitto si trovava anche Francesco Savinelli di Domenico, il quale, nell’ammettere tale circostanza, precisava che verso le ore 19:55 del 21 settembre, si incontrava, ad una ventina di metri prima di arrivare alla casa di Pascarella col Nuzzo, che era solo ed in atteggiamento tranquillo. Dal Nuzzo apprendeva che la sera precedente il Piscitelli dopo averlo bastonato se ne era scappato. Era, inoltre,  a sua conoscenza che da quelche tempo esistevano dei rancori tra il Nuzzo e il Piscitelli per rivalità amorosa, e quest’ultimo prevedeva che il primo non ci recasse ulteriormente alla frazione di Messercola. Inoltre, il Savinelli, mentre si avvicinava alla casa di Pascarella, seguito dal Nuzzo, aveva occasione di accertare la presenza del Piscitelli nei pressi del muretto più volte ricordato, in compagnia di Vincenzo Zampano, detto il “barone”, ed aveva modo di ascoltare che lo Zampano  svolgeva opere di riappacificazione.

Ma, malgrado ciò, il Piscitelli, non appena si avvedeva della presenza del Nuzzo e di lui Savinelli, rivolgeva al primo le testuali parole: “Eravamo amici una volta ma adesso la nostra amicizia deve finire”. E il Nuzzo di rimando rispondeva: “Non dire più vecchi amici perché non la ritengo una buona parola”, ed aveva appena terminata tale frase che veniva improvvisamente colpito mortalmente da due colpi di pistola esplosi dal Piscitelli da una distanza di quattro, cinque metri.  

Il Savinelli non era in grado di precisare se il Piscitelli, nell’allontanarsi di corsa, preceduto dallo Zampano, avesse o  meno sperato altro colpo di pistola. Il Savinelli escludeva quindi che il Nuzzo fosse armato, altrimenti se questi avessi avuto rancori o propositi vendicativi non si sarebbe avvicinato al Piscitelli in atteggiamento tranquillo e pacifico. Si riusciva ad accertare, inoltre, anche a mezzo di prove testimoniali acquisite agli atti, che il Nuzzo non aveva mai dato luogo a rimarchi sul suo conto; godeva buona considerazione perché di indole mite, dedito al lavoro e alla famiglia; scevro da cattivi abitudini e cha non era solito di andare armato abusivamente; che era immune da procedimenti penali e che non aveva mai dato fastidio ad alcuno.

Altrettanto non ci poteva dire del Piscitelli, perché ritenuto elemento prepotente e violento; poco amante del lavoro, mafioso con atteggiamento da guappo, ed era solito andare armato abusivamente. In definitiva godeva pessima fama anche nell’ambiente familiare, tanto che il di lui padre, Raffaele Piscitelli, senza alcuna titubanza aveva ammesso e poneva in risalto ai carabinieri verbalizzanti le pessime qualità morali del figlio, il quale, inoltre, continuamente litigava con la propria madre, maltrattandola e minacciandola finanche, perché desiderava e pretendeva ottenere tutto quello che voleva anche quando le sue pretese contrastavano con le modestissime condizioni economiche della famiglia.

A tal riguardo il Piscitelli padre precisava che nello scorso mese di agosto egli aveva minacciato la madre con la pistola perché pretendeva l’acquisto di un anello d’oro (da regalare evidentemente alla sua “presunta” fidanzata) e tale fatto non era stato denunciato all’arma locale per espresso desiderio della madre stessa anzi. Però il padre, che desiderava la punizione del figlio, aveva avvertito i  carabinieri della abusiva detenzione della suddetta arma rinvenuta presso Pasquale Della Rocca, e l’Antonio Piscitelli  – con rapporto numero 66 del 17 agosto del 1956  – era stato denunciato per porto abusivo dell’arma.

 La condanna a 18 anni con le attenuanti generiche, incensuratezza e giovane età.  In grado di appello la pena venne ridotta ad anni 13. Il drammatico confronto tra la ragazza e l’assassino.

 Caturano: “Tu mi fermasti per dirmi che volevi fidanzarti con me e io ti dissi che non era possibile fidanzarsi perché sono una ragazza. Ciò una sola volta ho parlato con te ed è stato in questa occasione”.

  • Piscitelli: “Come fai a dire che non mi conosci? Una sola volta hai parlato con me?  E quanto ti portai sulla montagna?”
  • Caturano: “Quale montagna, chi ti conosce: io non ho mai più parlato con te né tantomeno sono venuto con te sulla montagna”.
  • Piscitelli: “Sì sulla montagna. Giacché è così vi indico altri due testimoni: Carminello il figlio di Alfredo o’ pazzo, che già avete esaminato, e tale Alfonso il cognato del ciclista, che abita accanto a Carminiello. Questa ragazza portava una bambina di 7/8 anni per mano”.
  • Caturano: ”Ma tu sei pazzo? Io sono venuto sulla montagna con te portando una bambinasi sei sette anni?”
  • Piscitelli: “sì sì confermo di aver parlato dietro l’edificio scolastico con la Caturano che mi diceva essere quella terra di sua proprietà”.
  • Caturano:” Io ho parlato con te dietro l’edificio scolastico? Io ti ho detto che quella era la mia terra?”.
  • Piscitelli: ”sì, me lo hai detto. Se ora non lo vuoi ammettere è perché la gente che ti ho detto che ora sono andato in galera e non puoi più sposarmi. Riconfermo che la qui presente Caturano  mi disse di essere stata molestata dal Nuzzo che l’aveva abbracciato o tentato di abbracciare”.
  • Caturano:”Io non lo conosco proprio il defunto; non mi ha mai fermato né mai parlato. Come potevo dirti di essere stata da lui molestata? Ma guarda che cosa ti permetti di dire!”.
  • Piscitelli:” Sì tu me lo dicesti si. Riconfermo che la qui presente Caturano mi disse di uccidere il Nuzzo altrimenti si sarebbe buttata sotto il treno”.
  • Caturano: ”Io ho detto questo a te?  Io mi volevo buttare sotto il treno?  Ma se io il defunto non lo conoscevo proprio e non gli ho  mai parlato!”.

Visto il comportamento “borderline” del Piscitelli i difensori tentarono la via della perizia psichiatrica per cercare di evitare una dura condanna. Con una istanza diretta al giudice istruttore fu chiesto di accertare con una indagine diretta “a stabilire se il Piscitelli avesse, al tempo del fatto, capacità di intendere o di volere per un delitto “senza causale” come lo ha definito il pubblico ministero nella sua requisitoria – potrebbe trovare la sua logica spiegazione in uno stato abnorme dell’intelletto del Piscitelli, il quale ( numerose volte ) ha ravvisato  sussistenti fatti e circostanze che invece erano soltanto il frutto della sua mente, cadendo quindi in false interpretazioni , in sospetti, in preoccupazioni, in allucinazioni morbose e, persecuzioni le quali potrebbero essere anche conseguenziali alla malattia sofferta”.

Il perito di ufficio Prof. Giovanni Cremona affermò al termine dell’incarico peritale “che il Piscitelli nel momento in cui si rese colpevole del reato di omicidio in persona di Andrea Nuzzo, trovavasi, per infermità, in condizioni di mente tali da scemare grandemente senza escludere la capacità di intendere e di volere. Egli  è persona socialmente pericolosa”.

A questo giudizio – naturalmente – si opponeva la parte civile e l’avvocato Vittorio Verzillo, incaricava il Dottor Giovanni Amati, direttore del manicomio giudiziario “F.Saporito” di Aversa di stilare una relazione sulla sanità di mente del Piscitelli. Il responso fu il contrario di quello di ufficio: sano di mente.

La perizia necroscopica fu affidata, invece, al Dottor Mario Pugliese da Santa Maria Capua Vetere che accertò che la morte del Nuzzo era stata causata da recisione della giugulare e carotide operato da un colpo di arma da fuoco portatile a canna corta. Il colpo veniva esploso da breve distanza. Offeso ed offensore dovevano trovarsi l’uno di fronte all’altro e su uno stesso piano.

Processato dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Prisco Palmiero, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Elisa Di Pietrantonio, Michele Del Vecchio, Rosa Di Franco, Emma Manna, Giuseppe Santoro e Giuseppe Lerro, giudici popolari; Nicola Damiani, pubblico ministero; Giuseppe Girardi, ufficiale giudiziario; Aniello Domenico, cancelliere) venne condannato, con sentenza del 16 ottobre del 1959, ad anni 18 di reclusione con l’accusa di omicidio volontario. Ricorse in appello il Sostituto Procuratore Generale,  Ignazio Custo, il quale si opponeva alla concessione delle attenuanti generiche che avevano determinato la minima pena e consigliava ai giudici di secondo grado di “compiere un completo esame della entità del fatto e della sua gravità e di indagare circa la personalità dell’imputato”. Naturalmente faceva da eco la difesa con le sue doglianze inerenti la iniquità di una sentenza che “avrebbe dovuto invece assolvere il Piscitelli per totale infermità mentale al momento del fatto ed in linea del tutto gradata ritenere che il medesimo fu affetto da semi-infermità mentale come documentato dal perito di ufficio”.  Al Piscitelli – secondo la difesa – doveva essere riconosciuta anche l’attenuante della provocazione. Infatti in grado di appello la pena venne ridotta ad anni 13.

Nei processi furono impegnati gli avvocati: Vittorio e Michele Verzillo e il prof. Alfredo De Marsico.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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