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Io Filippo Facci intervista di Moreno Pisto

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QUARTA PAGINA
«Ma ti pare che uno come me
invidia qualcuno?
Sono troppo ebbro di me stesso
e sono riuscito a diventare me stesso, cazzo
non è poco nella vita»
Filippo Facci

Facci

di Moreno Pisto

MowMag

È completamente nero. Giacca, abiti, stivali per la pioggia. È incazzato. «Per due motivi: uno, mi son svegliato poco fa». Nota bene: sono le 3 di pomeriggio. «Due, quando piove gli automobilisti vengono colpiti dal morbo della mongolite e guidano come coglioni». Poi, giusto per alleggerire la tensione, sentenzia: «Dai, facciamo questa intervista inutile». Filippo Facci ti guarda con occhi spiritati e fuma. Digrigna i denti e fuma. Smascella e fuma. Ti parla del giornale per cui scrive, Libero, e fuma. Filippo Facci soprattutto fuma. Ha scritto La guerra dei trent’anni, dove racconta gli anni di Mani Pulite, vissuti da giovane cronista de L’Avanti, il giornale del partito socialista, i cosiddetti ladri, i lacché del potere. Anni che lo hanno traumatizzato ed esaltato, nei quali ha frequentato i meandri del potere fatto di politici, industriali, giornalisti, magistrati, tutti con atteggiamenti ambigui, tutti opportunisti. Anni che lo hanno formato e reso ciò che è. Per questo nel libro storia giudiziaria italiana e vita personale di Facci sono collegate e narrano di un passato che non passa, come recita il sottotitolo, e continua a far parte di una e dell’altra cosa.

La guerra dei trent’anni si apre e si chiude con la frase «Poi non è successo più niente». A tratti è struggente e malinconico…

«No. Corrisponde al filo del discorso che io tengo per la maledizione di queste 572 pagine e cioè che dopo quei tre anni, dopo Mani Pulite, in Italia non è successo più niente. Sembrava fossimo in attesa di chissà quali ristrutturazioni politico-morali che invece non ci sono state».

Ma ci sono ancora le tangenti?

«Ci sono ancora le unghie sporche? C’è ancora l’animo umano? C’è ancora questa specie di degenerazione di scimmia antropomorfa che siamo noi? Siamo migliorati moralmente negli ultimi ventimila anni come ci illudiamo che sia? No. Siamo migliorati tecnologicamente. Ma non è che nostro nonno fosse peggiore di noi o Pitagora fosse peggiore di noi».

A livello personale però un bel po’ di cose sono successe… Hai avuto due figli, due mogli…

«No, una. Vedi che non sai un cazzo».

Che padre sei?

«Un padre separato. Adesso non è una buona fase. Ma penso di essere un ottimo padre nella misura in cui mi sia concesso. Indovina chi non direbbe altrettanto».

Tu hai perso la mamma a nove anni…

«Ha avuto un tumore e non è stata curata bene. Ma qual è il link?»

Be’ l’educazione, la crescita. Posso chiederti…

«Lo stai già facendo».

… Com’è stato perdere la madre per Filippo Facci?

«Non so come sarebbe andata altrimenti».

Quanto manca una madre?

«Non lo so, per la stessa ragione. Ma sicuramente facilita delle cose immaginabili da chiunque: una crescita accelerata, impari prima, capisci prima, ti culli nell’illusione che il dolore ti renderà anche iper sensibile e più intelligente, ti spalanca gli occhi perché ti bruciano dalle lacrime e però non sai se questo ti porti dei danni o no».

Quando ti hanno comunicato che tua mamma era morta come hai reagito?

«Come se mi dicessero che c’è un marziano alla porta. Era una cosa che non contemplavo minimamente, quindi ho reagito in maniera surreale. Non ho neanche pianto per un po’, quando l’ho fatto ho quasi dovuto sforzarmi. Poi vai a misurare quanto il tuo pianto si diluisca nel tuo futuro magari per decenni interi».

A proposito di affetti, tra le pagine più belle del libro ci sono quelle in cui descrivi la relazione con la giornalista Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera e morta in Afghanistan. Non ne avevi mai parlato…

«Nessuno lo sa, quasi nessuno. Non era una relazione, perché una relazione si basa sulla continuità. Abbiamo avuto un rapporto fisico ma anche basato su una qualche misteriosa intesa mentale o sentimentale».

Racconti delle litigate furibonde che facevi con lei…

«Sì, sembrava inevitabile, sembrava parte del suo carattere e anche l’atto sessuale sembrava solo un epilogo di queste litigate, come se ne facesse parte sadomasochisticamente».

Hai litigato con tanti, non solo con lei. Con Nicola Porro per esempio…

«Porro mi ha fatto uno sgarro imperdonabile di cui non voglio parlare».

Con Luca Telese.

«Lui per me non è mai stato niente e non è niente, non so neanche perché esista»

Con Vittorio Feltri.

«L’ho odiato perché ha simboleggiato il giornale più forcaiolo d’Italia negli anni di Tangentopoli. Quando dirigeva L’Indipendente cavalcava il peggio del bassoventre umano, ma dopo essere passati per querele che mi ha fatto, cose orribili che gli ho detto in tv e anche di persona e una più che decente amicizia che mantengo con suo figlio – c’era questa strana cosa che odiavo il padre ma avevo l’amicizia del figlio – ho trovato una senile resipiscienza in lui, credibile, che ci ha fatto incontrare e trovare umanamente in simbiosi e simpatici di pelle, nel cinismo se non altro».

La Zanzara hai parlato malissimo del condirettore di Libero, Pietro Senaldi.

«Dopo quello che ho detto ci sono stati dei provvedimenti disciplinari contro di me. L’unica cosa che posso dire è che non ho alcuna stima di Senaldi, punto».

Hai litigato con Fedez.

«Mi ha querelato e ha vinto. Un giorno l’ho chiamato, lui era tutto timoroso e gli ho detto: sono Facci, volevo dirti bravo. Aveva appena fatto la donazione al San Raffaele. Di Fedez comunque non me ne importa niente».

Scanzi…

«Un caso di ego sfuggito di mano».

Ma non lo invidi un po’? Sui social è il giornalista più famoso d’Italia…

«Ma per favore! Non è neanche un giornalista, ma ti pare che uno come me invidia qualcuno? Sono troppo ebbro di me stesso e sono riuscito a diventare me stesso, cazzo non è poco nella vita. Anche di Scanzi non me ne importa niente».

Selvaggia Lucarelli.

«Ha osato dire a me quello che dice a tutti quelli che la attaccano».

Ti querelo?

«Anche. Mi ha già querelato due volte e ho vinto. Mi riferivo al fatto di quando lei ha raccontato che ci avevo provato con lei ma non era vero, anzi è vero il contrario e io le ho detto di no. E ho le prove scritte».

Cioè?

«Mi è entrata in casa si è messa a cucinare la pasta al pomodoro, mi ha fatto il caffè, ha aspettato che io facessi il mio dovere da cavernicolo e dopo di che non so se ci sarebbe stata come desiderava sua madre. Perché lei mi diceva che sua madre voleva che mi sposassi con lei, oppure me lo diceva soltanto perché voleva che io ci provassi per poi avere la soddisfazione di dirmi di no. Non so quale delle due… Fatto sta che a casa mia ci è venuta lei, di notte, sapendo la nomea che avevo. Anzi, ho anche una mail in cui mi dice: “Sei l’unico che non ci ha ancora provato”. Ma è successo tanto tempo fa, acqua passata».

A 16 anni hai frequentato Piersilvio Berlusconi.

«Abitando a Monza e stando nel giro pseudo paninaro del centro conobbi anche lui, anche se io proprio paninaro non ero, in realtà ero uno sfruttatore di paninari: non avevo né i soldi né una famiglia altolocata alle spalle, ma tra di loro giravano le ragazze migliori. Tra le prime cose professionali che feci fu scrivere sul Paninaro, che arrivò a vendere 200mila copie, dove io facevo lo scrittore di articoli e pure il fotomodello. Mi divertivo a rubare i vestiti durante gli shooting fotografici».

Anni dopo hai conosciuto anche Silvio e il vostro primo incontro è surreale…

«Mi avevano detto tutti che fosse molto formale, che non gli piacevano le barbe, di andare ben vestito… Tutte cazzate. Ero in una delle sue ville ad aspettarlo, a un certo punto vedo una figura bianca avvicinarsi e penso: chi è questo… Si avvicina, si avvicina ed era lui! Scazzato, senza presentazioni e convenevoli, la prima cosa che mi dice è: “Facci Facci, non mi tira più l’uccello”».

Ti sarebbe piaciuto come Presidente della Repubblica?

«Mi sarebbe piaciuto per due o tre giorni, per vedere la faccia degli altri…»

Ti manca Craxi?

«Certo».

Sei amico di Giorgia Meloni, hai parlato alla Convention di Fratelli d’Italia. Voterai FdI?

«No».

Perché?

«Le battaglie a cui tengo di più sono quelle bioetiche, quelle civili, l’eutanasia, il fine vita. Nasco radicale e rimango radicale».

Nel tuo libro racconti anche l’ascesa della Lega Nord. Allora era un partito secessionista, oggi Matteo Salvini cerca voti in Sicilia. Che effetto ti fa?

«Ho un vizio, un pregio/difetto, una maledizione che è una memoria straordinaria di tipo fotografico e musicale, che fa sì che l’incoerenza per me sia un grave peccato. In politica è la cosa più normale del mondo, come il tradimento. Per me incoerenza e tradimento sono le cose per cui maledetta quest’epoca che non ti posso portare fuori e sfidarti a duello, quanto mi piacerebbe… Invece oggi ti fanno la querela… Ma vieni fuori a fare a cazzotti, dimostrami il tuo coraggio».

Faresti davvero a cazzotti?

«Mamma mia quante volte l’ho fatto».

L’ultima volta?

«È stata per strada, qualche giorno fa. Uno mi ha fatto un brutto gesto dall’automobile, allora come un buzzurro qualsiasi l’ho superato, l’ho chiuso, sono sceso e ho fatto quello che lui non si aspettava che facessi. L’ho picchiato e poi sono andato via».

Ma perché fai così?

«Perché non c’è più senso dell’onore. Tu credi di potermi dire questa cosa? Anche se via social. Io sono uno che se tu abiti a Viterbo e mi fai girare i coglioni io prendo la macchina, vengo a Viterbo e ti spacco la faccia. Ma non perché sono uno spaccone, ma perché internet ha moltiplicato anche la vigliaccheria, l’incoerenza, l’incapacità di essere dignitosi».

Tu picchieresti anche per tradimento? Picchieresti l’uomo con cui la tua donna ti tradisce?

«Perché, non è successo mai?».

Quante volte?

«Due».

A lui e a lei?

«A lui. A lei magari un ceffone simbolico».

Sai che questa cosa è gravissima e che potrebbero lapidarti sui social?

«Mettiamola così: in vita mia è successo più di una volta che io abbia picchiato delle donne, scrivilo pure: ma è perché a loro piaceva. Sessualmente, dico. Poi se un giorno una si svegliasse e dicesse “non mi piaceva” sarei fregato».

Siamo nei giorni tra gli anniversari degli attentati a Falcone e Borsellino. Nel libro lo ripeti più volte: sono prematuramente scomparsi perché…

«Chi li ha uccisi ha voluto impedire che si scoprisse che al sud il tavolino delle tangenti aveva tre gambe: imprenditoria, politica e mafia. E mentre al nord ti mettevano in galera e finché non parlavi non ti facevano uscire, al sud non parlavi perché non volevi uscire, visto che all’uscita ti aspettava la pallottola. E poi al sud un arrestato che si trova davanti a Di Pietro che sbatte il pugno sulla sua scrivania e a Davigo che fa il figo gli avrebbe riso in faccia. Ecco perché Mani Pulite si ferma in un punto preciso. Un conto era parlare con gli imprenditori e i politici corrotti. Un’altra con la mafia».

C’è sempre la mafia?

«No».

È diventata altro.

«Tutto diventa altro, la mafia intesa come Cosa nostra non esiste più. È stata battuta e sconfitta, tanto che i grandi processi di oggi sono solo archeologia giudiziaria e si occupano di cose di 30 anni fa o si occupano di piccoli affari».

Nel libro parli malissimo di Antonio Di Pietro…

«Mi aveva querelato per calunnia dopo che io avevo fatto un articolo raccontando tutte le sue ambiguità. Nel processo a Brescia, durato nove ore, ci incrociamo in bagno. E succede che per uscire uno doveva cedere il passo all’altro perché il passaggio era troppo stretto. Entrambi acceleriamo, io di più, gli tiro una spallata e lo schianto contro una porta di vetro. Lui urla: “Che cazzo fai”. Io gli rispondo: che cazzo, non mi toccare… Tutto qua».

L’ultima volta che hai fatto l’amore?

«Ieri».

Sei bravo a letto?

«Penso di sì, ma ho dei problemi fisici al momento».

Di erezione?

«No, per via dell’alpinismo ho avuto dei problemi e ho fatto una operazione alla schiena ed essendo l’attività sessuale anche una performance aerobica la mia prestazione è peggiorata».

Vai in alta montagna da solo. Sei un pazzo.

«Ho fatto anche dei video, su YouTube se ne trova uno di quando sono caduto per 70 metri e sono sopravvissuto per miracolo. Era il giorno in cui dalla Russia arrivò il Burian, sul Resegone c’era una temperatura di meno 20, era bellissimo scalarlo con le picche».

Hai mai avuto una relazione omosessuale?

«Purtroppo no, ma mi dispiace».

Prendi ansiolitici?

«In effetti per come mi sto comportando in questa intervista anche io mi sarei fatto questa domanda».

Ti sei mai drogato?

«Ho preso cocaina dall’inizio del 2003 alla fine del 2006. Io ho smesso da solo ma per smettere basterebbe anche solo andare in Colombia, provare la cocaina lì, poi tornare indietro: smetti subito».

Quanto guadagni adesso?

«Bene per essere un giornalista, però non abbastanza per la vita in cui sono incastrato, ovvero la vita di un uomo che comunque vive in affitto, che ha perso due abitazioni che si era guadagnato partendo da zero, date allo Stato per via di insolvenze, e che deve mantenere soprattutto una ex famiglia… Non posso lamentarmi del mio stipendio, ma non mi basta»

E quanto hai in banca?

«In banca non ho più niente».

Sei un po’ dannunziano.

«La dicitura che mi da più soddisfazione è wagneriano, ma è molto più complessa. Non chiedermi di spiegarla».

Be’, però la devi spiegare…

«No, non devo un cazzo. E sai perché?»

No.

«Perché sono un wagneriano».

Perché sei così stronzo?

«Perché mi viene bene. E perché non essere capito mi permette automaticamente di escludere una certa parte di persone dalla sfera dei miei interessi. Che poi tutte le volte che ho provato a piacere mi è venuto malissimo, ho ottenuto sempre il contrario. Quindi tanto vale cercare qualcuno a cui io piaccia così. Ho trovato pure una fidanzata di 23 anni più giovane, pensa».

La definizione più giusta te l’ha data Giuliano Ferrara: sembri uno della Hitler Jugend, la gioventù hitleriana.

«Non ho mai capito se fosse un complimento».

Cosa pensi della morte?

«Sono molto relativista, ma proprio molto. Voglio ammetterlo qui, anche se lo faccio capire anche nel libro: l’eutanasia io l’ho praticata, io l’ho fatta con mio padre, anche se non si può. Ed è quello che succede nella maggior parte dei casi, e si chiamano casi di morte assistita non dichiarata. Esiste già, ma esiste questa cazzo di ipocrisia italiana per cui non si deve dire. Pensa cosa posso pensarne del fine vita. Che schifo l’idea che giochicchino con il mio corpo, debbano gestirlo, è roba mia, appartiene a me».

E quindi, come vorresti morire?

«Spero su una montagna, che non mi trovi nessuno».

Moreno Pisto

Oggi

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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