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Filosofia per concetti: intervista a Salvatore Grandone

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Salvatore Grandone insegna Storia e Filosofia nei Licei. È dottore di ricerca in Scienze filosofiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e in Lettres et Arts presso l’Università Stendhal Grenoble III. Dirige la rivista Internazionale Figure dell’immaginario.

I suoi interessi sono rivolti principalmente allo studio delle filosofie della vita, alla didattica della filosofia e alla consonanza tra filosofia e letteratura francese nell’ambito della fenomenologia dell’immaginario. È autore di numerosi articoli e monografie in lingua italiana e francese.

Tra i suoi lavori più recenti: L’immagine mediatrice. Bergson storico della filosofia, Roma, 2014; Struttura, imitazione, evento. La filosofia della vita in Henri Bergson, Roma, 2015; Lucrezio e Bergson. La ricezione del De rerum natura in Francia nel XIX secolo, Roma, 2017. Di Bergson ha curato inoltre la traduzione italiana del Cours de psychologie de 1893-1893 au Lycée Henri IV (Milano, 2017).

Lo abbiamo intervistato in vista della pubblicazione del suo ultimo lavoro per i licei “L’esercizio del pensiero, Filosofia per concetti”, Diarkos 2020.

1) Dal tuo libro emerge come la filosofia sia un qualcosa di vivo, un’attività creatrice di concetti che parte dal vissuto e ritorna al vissuto. Le domande filosofiche hanno la loro radice in questioni concrete, vitali, che riguardano tutti. Leggendo il tuo volume, si ha l’impressione che si può fare filosofia anche “introducendo” alla filosofia. Spesso pensiamo alle introduzioni alla filosofia come sintesi, riassunti delle nozioni principali dei filosofi. Invece nel tuo saggio introdurre  e fare sono due aspetti inscindibili. È evidente che con questo modo di procedere superi d’emblée, per così dire, l’idea che la filosofia sia morta o languisca. Eppure, molti non la pensano così. Sono ancora tanti a parlare della morte della filosofia o a rimpiangere determinate pratiche filosofiche. Cosa ne pensi?  

Grandone: Per rispondere alla domanda “la filosofia è morta?” occorre prendere in considerazione almeno tre livelli:

A)la filosofia come esigenza,

B) la filosofia come attività,

C) la filosofia come opera.

A) Di sicuro la filosofia come esigenza non è morta. L’uomo continua a porsi domande sulle “questioni ultime” e ad affrontarle in una prospettiva razionale. Per dirla con Kant i tre grandi quesiti “Cosa posso sapere?”, “Cosa devo fare?”, “Cosa posso sperare?” non sono morti, né inattuali. Semmai a questi se ne possono aggiungere altri, da ritenere altrettanto “ultimi” e fondamentali. Del resto nella filosofia alcune domande sembrano universali perché ritornano incessantemente, mentre altre hanno la loro radice nel presente e pongono al filosofo nuove sfide.

B) Neanche come attività la filosofia è morta. Se per attività si intende l’insieme di pratiche volte a rispondere e a rilanciare gli interrogativi su problemi essenziali, la filosofia è ancora viva. Certo, l’attività filosofica risente delle logiche della ricerca accademica, che spesso riduce il filosofare allo studio “intensivo” di alcuni pensatori. Ma sarebbe errato sostenere che la filosofia coincida con un determinato genere di studi. La vera difficoltà è individuare e attribuireil giusto valore alle pratiche più propriamente filosofiche ossia rispondenti al primo punto. Infatti, come ogni altro settore, anche gli orientamenti della filosofia sono soggetti allo “spirito del tempo” e alle mode, e non meraviglia se a volte si scambiano per attività filosofiche pratiche che hanno poco di filosofico.

C) L’ultimo punto è sicuramente quello più complesso. La filosofia come opera va intesa in un duplice senso: a) come prodotto e b) come costruzione collettiva. a) Sul piano quantitativo – qui si riprende quanto ho già in parte detto – la mole di opere filosofiche pubblicate ogni anno rende impossibile uno spoglio esaustivo, che consenta di determinare con esattezza quali e quanti sono i testi editi da considerare filosofici (rispetto all’esigenza da cui nascono e all’esercizio di pensiero che mettono in essere). Inoltre le logiche di mercato, quelle accademiche e in parte anche quelle “social” portano alla ribalta opere definite come filosofiche, che in realtà sono molte volte il frutto di riflessioni estemporanee. Questo aspetto non va sottovalutato. Come per la letteratura, la musica e l’arte, anche la filosofia è spesso vittima di pressioni esterne e della riproduzione in serie. b) Come costruzione collettiva la filosofia non è morta, perché la filosofia si nutre del dialogo, che questo sia ideale o anche reale poco importa. Anche il filosofo chiuso nella sua torre pensa “attraverso” e “con” gli altri filosofi.

Occorre però aggiungere che l’aspetto dialogico del filosofare è a volte reso sterile o deviato dalle stesse forze “esterne” che influenzano l’attività e la produzionefilosofica.

2) In un certo senso si potrebbe dire che la filosofia è viva ma ha grandi difficoltà, oserei dire a “sopravvivere” in un mondo che tenta di addomesticarla.

GrandoneDel resto è un problema che ha radici vecchie – da sempre i poteri forti hanno cercato di controllare il sapere e la produzione di conoscenze –, ma oggi è acuito e aggravato da fattori più “liquidi”,non facili per la loro intrinseca natura da contrastare.  

3Vorrei ora porti una domanda più di ordine didattico. L’esercizio del pensiero nasce dal tuo modo di praticare l’insegnamento della filosofia e di lavorare con i tuoi alunni. Nelle pagine introduttive fai però riferimento anche all’approccio alla filosofia per concetti diffuso in Francia.Vorrei sapere quanto ha influenzato il modello francese le tue strategie didattiche.

Grandone:Sicuramente il modello francese ha contributo molto alla mia programmazione e attività didattica. Trovo questo approccio più efficace rispetto a quello storico per avvicinare e appassionare i giovani alla filosofia. Certo, se perde il suo ancoraggio alla realtà anche questa strategia può rivelarsi vuota. In Francia, c’è chi giustamente sottolinea come una riflessione per concetti troppo astratta conduca spesso a una fredda e noiosa tassonomia di definizioni. Ancora una volta la bontà di uno strumento o di un approccio dipende dall’uso, dalla prassi in cui viene inserito. Non può avere un valore in sé. Solo se ragioniamo così, si evitano i “dogmatismi” didattici.

4) Mi viene allora spontaneo chiederti come potrebbe essere ripensato, proprio alla luce di questa tua osservazione, anche l’insegnamento della storia della filosofia. Si sa, in Italia l’approccio storico è comunque ancora in parte previsto dalle Indicazioni nazionali e non può essere del tutto messo fuori gioco. Come potrebbe essere ripensato secondo te?

Grandone: In effetti, le Indicazioni nazionali offrono già una linea su come muoversi, perché chiedono di inserire l’insegnamento della storia della filosofia in una didattica per competenze. Ma per fare questo non basta, a mio avviso, inserire gli autori all’interno di nodi concettuali e problemi. Occorre anche essere più liberi nella scelta dei filosofi. È vero che molti filosofi sono imprescindibili e vanno insegnati, ma, per dirla con Onfray, una contro-storia della filosofia deve essere sempre lecita, purché motivata e sostenuta da precise esigenze didattiche 

Ti ringrazio per questo colloquio. Colgo anche l’occasione per annunciare ai nostri lettori che Belvederenews aprirà , tra le altre, una rubrica mensile di filosofia

(Fonte: BelvedereNews – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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