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AttualitàCaserta e Sannio

IN ONORE DEL VICE BRIGADIERE DEI CARABINIERI MARIO CERCIELLO REGA, NEI SECOLI FEDELE

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Nella notte di venerdì, 26 luglio 2019, due malviventi hanno barbaramente ucciso il 35enne Vive Brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, MARIO CERCIELLO REGA, che si era sposato appena 43 giorni orsono. SIAMO TUTTI CARABINIERI. “Onore alle nostre forze dell’ordine, sono le migliori al mondo. Onorate l’Italia, siamo fieri di voi”.

IL SALUTO DELL’ARMA DEI CARABINIERI:
“Nella sua nuda essenza anche la tragedia più grande è fatta di numeri: il Vice Brigadiere Mario Cerciello Rega aveva 35 anni, era sposato da 43 giorni e 13 ne erano passati dal suo ultimo compleanno. È morto stanotte a Roma per 8 coltellate, inferte per i 100 euro che i 2 autori di 1 furto pretendevano in cambio della restituzione di 1 borsello rubato. In gergo si chiama “cavallo di ritorno”. Ma quei numeri non sono freddi: sono il conto di un’esistenza consacrata agli altri e al dovere, di una dedizione incondizionata e coraggiosa, di un amore pieno di speranze e di promesse. E la tragedia reca la cifra più alta: l’infinito. Il più vivo dolore per una mancanza che affligge 110 mila Carabinieri. Il più vivo cordoglio ai Suoi cari, che stringiamo in un immenso, unico abbraccio”.

La moglie del vice brigadiere Mario CERCIELLO REGA è straziata dal dolore per la morte improvvisa e violenta del marito, ucciso nella notte in via Pietro Cossa, nel quartiere Prati a Roma. Trascorsi solo 43 giorni dal loro matrimonio, mano criminali glielo hanno portato via, infrangendo i sogni di una vita insieme, il coronamento di sacrifici e rinunce, per stare accanto all’uomo che amava. Entrambi giovani, nel giorno delle nozze, lui emozionato, in alta uniforme per l’occasione, sfoggia la fede all’anulare. Lei meravigliosa e sorridente, dopo il picchetto d’onore e il passaggio sotto al ponte di sciabole. Sono 110 mila i carabinieri “morti per dovere”, uccisi in servizio mentre difendevano lo Stato e i cittadini. Ma non si parla mai delle mogli dei Carabinieri, che li seguono e sostengono nel lavoro, anche se loro non l’hanno scelto, nonostante tutto, baluardo nei momenti di difficoltà. Non si parla mai delle donne che, sposando un Carabiniere, sposano anche l’Arma, consapevoli che ogni singolo giorno, il proprio marito potrebbe uscire di casa e non tornare.

Chi scrive conosce molto bene com’è la vita della moglie di un Carabiniere. Mia madre, Ida, si innamorò di lui in una Napoli post bellica, quando si facevano ancora le file per il pane. Era bella mia madre e se ne era accorta anche mio padre, nato a Napoli il 25 marzo 1919. Bello, anche lui, lo chiamavano “Tyrone Power, alto, biondo, occhi azzurri ed un paio di baffetti sottili come erano in uso in tempi pre-bellici. Mio padre la vide e fu amore a pria vista ma non si dichiarò subito. Da buon investigatore e partenopeo, con circospezione vide prima dove abitava, quanti familiari erano, che persone erano, perché un Carabiniere non poteva sposare una donna i cui familiari non fossero di specchiate qualità morali. Si informò, sempre facendo in modo che mia madre se ne accorgesse mai, anche sul suo carattere, se era una con i grilli per la testa, perché un Carabiniere non poteva sposare una donna che non fosse una buona massaia, una ottima madre dei suoi figli, con dei buoni sentimenti, che fosse fedele, che sapeva cosa affrontava sposando un Carabiniere.

Dopo averle fatto, come diciamo noi, una “bella radiografia” si avvicinò e incominciarono a frequentarsi, sempre prima di tutto con il consenso del padre. Allora si usava così. In uno splendido giorno del mese di giugno del 1950 si sposarono. Ma a mia madre, mio padre non le aveva ancora raccontato tutto sulla propria vita da Carabiniere sino a quel giorno. Si arruolò il 1° giugno del 1939 e, dopo l’addestramento, fu subito inviato al seguito delle truppe italiane nei Balcani: Albania, Grecia e Jugoslavia. Non fu esaltante per le nostre truppe la campagna di Grecia ed il ritorno in Italia fu piena di peripezie per mio padre.

Per due volte corse il rischio di essere fatto prigioniero, la seconda volta fu perché si erano dimenticati di avvisare il suo drappello e fu solo grazie alla sua “napoletanità” (quel mix di furbizia, socialità, dialetto) che lui ed i suoi compagni riuscirono a tornare con i resti dell’Esercito. L’8 settembre 1943 lo colse mentre era in servizio in un paesino del napoletano: Nocera. Un giorno venne arrestato dagli uomini della Wermacht che stavano rastrellando tutti gli uomini per portarli in Germania. Questo ragazzotto tedesco che gli assomigliava molto (alto, biondo e occhi chiari) se ne fregò che fosse in divisa: lo disarmò e lo fece incamminare verso il luogo di raccolta degli altri uomini del paese. Lungo il tragitto incontro il Comandante della Stazione, un Maresciallo di Bolzano (che mio padre non finiva mai di ringraziare) che sapeva parlare il tedesco.

Grazie a lui il militare tedesco lo lasciò libero ed il maresciallo lo fece entrare in un’abitazione del luogo al cui interno c’erano solo donne. Queste ultime lo fecero entrare e lo misero sotto un materasso ai cui bordi si erano sedute tutte. Fu così che per la seconda volta scampò alla prigionia. Al termine della Guerra venne inviato a Cava de’ Tirreni dove prestava servizio. Nel 1953, in località Passiano, frazione di Cava de’ Tirreni che si trova in altura, si accorge che un mezzo a tre ruote, che era stato parcheggiato in discesa, incominciò la discesa a causa del freno che si era allentato. Poco più a valle c’era una scuola ed era l’ora di uscita dei bambini. Cosa fece allora? Senza pensarci su (mio padre era molto atletico ed è stato anche campione di lotta greco-romana, i suoi superiori una volta durante un incontro fra militari italiani e tedeschi gli chiesero di “perdere onorevolmente” per fare un favore ai tedeschi.

Ma mio padre non se ne importò e vince l’incontro) si getto sul piano posteriore del “triciclo”, con una mano apri lo sportello di sinistra e con il piede sul manubrio provocò il “deragliamento” del mezzo salvando la vita a molti bambini ma si procurò numerose ferite. Quella fu la prima volta che gli venne concessa la Medaglia di Bronzo al Valor Civile. La seconda gli fu concessa mentre prestava servizio ad Anzio il 2 gennaio 1959, avevo appena 8 anni ed era un sabato e stavamo vedendo il “Musichiere” con Mario Riva. Erano passate le 22.00 e mio padre non era ancora rientrato. All’improvviso qualcuno bussò alla porta.

Mia madre sobbalzò perché mio padre di solito entrava aprendo la porta con le chiavi di casa. Andò ad aprire con il cuore in gola. Appena aprì vide mio padre attorniato da luci, flash dei fotografi, accompagnato dal Colonnello Comandante provinciale che lo sorreggeva. Ma vide anche che la camicia che era piena di sangue. Fu un attimo, stava per svenire ma mio padre le aveva sempre detto che qualunque cosa gli fosse successo durante il servizio NON doveva piangere NE’ svenire, c’era un contegno da mantenere. E così fece mia madre, come Penelope al rientro di Ulisse ad Itaca. In quell’occasione gli venne concessa la Medaglia D’Argento al Valor Civile.

Ma per mio padre il più grande onore fu quando, alcuni giorni dopo essersi ripreso, il Comandante Provinciale lo condusse al Comando Generale dell’Arma perché il “Grande Capo”, visto l’atto di eroismo, aveva chiesto di conoscere quest’Appuntato dei Carabinieri che, nonostante fosse in evidente inferiorità numerica, tre contro uno, era riuscito ad arrestarne due. Mio padre, sino ad allora il Comandante Generale dell’Arma, lo aveva solo visto nelle foto che si trovano nella stanza del suo superiore, figurarsi ora che lo poteva conoscere e “toccare” di persona a Roma. Per loro, i Carabinieri, il Comandante Generale era come un Dio e lo avrebbero seguito sino alla morte. Qualche tempo dopo gli venne anche concessa un’altra onorificenza, la Medaglia d’Argento della Fondazione “CARNEGIE”. Il nome di mio padre è stato pubblicato anche sul CALENDARIO DELL’ARMA del 1960.

Un privilegio che in pochi hanno ottenuto. La “FONDAZIONE CARNEGIE PER GLI ATTI DI EROISMO (Hero Fund)” è un Ente morale con sede presso il Ministero dell’Interno, istituito con regio decreto 25 settembre 1911, allo scopo di premiare gli atti di eroismo compiuti da uomini e donne in operazioni di pace nel territorio italiano, per mezzo del fondo elargito dal filantropo americano di origine scozzese Andrew Carnegie. E mia madre? In tutto il tempo in cui è stata a fianco di mio padre, dal giorno del suo matrimonio nel 1950 e sino alla sua morte avvenuta il 17 agosto 1994, è sempre stata una presenza continua, costante, fedele nei secoli e usa obbedir tacendo e tacendo morire, come il suo Amato Giuseppe. Posso senza ombra di dubbio che mio padre è stato un uomo fortunato ed anche noi altrimenti sarei stato un orfano e mia madre una vedova.

Alla moglie del vice brigadiere Mario CERCIELLO REGA vanno i sensi della mia più profonda stima ed il cordoglio per la prematura perdita. Lui sarà per sempre nei nostri cuori, come lo sarà anche LEI perché sposando un Carabiniere si è guadagnata il diritto di CARABINIERE AD HONOREM”. Cieli blu al nostro amato Mario.

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