«Quando ho sentito la notizia dello schianto dell’elicottero, senza nemmeno sapere se Raisi sarebbe sopravvissuto o meno, ho iniziato a ballare». A dirlo a Open è Masih Alinejad, giornalista e attivista iraniana naturalizzata statunitense e fondatrice del movimento di protesta contro l’obbligo dell’hijab My Stealthy Freedom, una delle tante, tantissime, iraniane che hanno festeggiato per la morte dell’autocrate. Quegli stessi corpi sorvegliati, puniti e più volte vìolati, di donne e uomini, scesi in strada durante le proteste per l’uccisione di Mahsa Jina Amini e contro il regime degli Ayatollah, da giorni celebrano l’incidente aereo avvenuto al confine con l’Azerbaigian, dove domenica hanno perso la vita il presidente iraniano e il ministro degli Esteri, Hossein Amir-Abdollahian. In alcune regioni dell’Iran la notizia della morte del “macellaio di Teheran” è stata accolta con manifestazioni di gioia. Fuochi d’artificio sono stati esplosi in diverse città, meme ironici pubblicati sui social network. Alla narrazione sulle piattaforme si contrappone quella “istituzionale”. C’è chi festeggia e chi, invece, partecipa oggi alla cerimonia commemorativa per le vittime insieme a oltre 20 capi di Stato e funzionari di Paesi vicini all’Iran. Le proteste contro il regime del 2022 hanno scosso così tanto in profondità le fondamenta della Repubblica islamica che la crepa non è più rimarginabile. Ormai da tempo. E se da un lato la morte di Raisi chiude il capitolo della sua controversa presidenza, caratterizzata da una dura repressione, dall’altro apre domande cruciali sul futuro della leadership iraniana.

Qual è stato il tuo primo pensiero quando hai letto della morte di Raisi?

«Quando ho sentito la notizia dell’incidente, senza nemmeno sapere se sarebbe sopravvissuto o meno, ho iniziato a ballare. Poi ho fatto una diretta su Instagram, dove più di 20mila persone mi stavano guardando. Ho detto loro di essere felici, di festeggiare, di far vedere a tutti la nostra gioia per la sua morte. Poi sono andata a camminare per strada: mi sono unita a due giovani newyorkesi che ballavano. Perché per me lui rappresentava la morte. Ma noi, le iraniane e gli iraniani, rappresentiamo la vita. E io devo celebrarla. Soprattutto nelle strade di New York, dove ha assoldato dei killer e li ha mandati qui per assassinarmi, ma ora sono viva e lo guardo morire».

I social si sono riempiti di filmati dove le persone festeggiavano per la sua morte

«Sì, donne ferite hanno ballato alla notizia dell’incidente in elicottero del presidente della Repubblica islamica. Sima e Mercedeh, ad esempio, che sono state accecate e hanno perso un braccio durante le proteste “Donna, vita, libertà”, ora festeggiano la morte di Raisi, il macellaio dell’Iran. Loro rappresentano le donne iraniane che sono state oppresse dal regime per decenni. Sono state arrestate, violentate, torturate e uccise soltanto per aver mostrato una ciocca di capelli. Raisi rappresentava l’apartheid di genere e la morte di tutte queste donne iraniane. Ma ora possono festeggiare perché ciò che desiderano è la libertà».

Cosa succederà ora in Iran?

«La morte di Raisi si aggiungerà al caos, già esistente, nella leadership iraniana. La maggior parte dei leader più importanti ha 80 anni. Khamenei ne ha 80. Raisi stato designato come successore della Guida Suprema, ma il suo mandato presidenziale non ha avuto molto successo in Iran. La sua incompetenza e il suo basso quoziente intellettivo erano ben noti a tutti. E, poi, c’era un altro problema: il macellaio di Teheran (ex giudice capo della magistratura iraniana) condannò a morte migliaia di prigionieri politici all’inizio degli anni Ottanta. Non era amato dalla maggior parte delle persone. E al momento non c’è un candidato certo che possa succedere a Khamenei. Il figlio maggiore, Mojtaba Khamenei, potrebbe essere uno dei possibili nomi. Ma non è conosciuto dalla maggioranza degli iraniani».

Gli iraniani e le iraniane sfrutteranno questo momento per protestare contro l’oppressione? Cosa accadrà?

«I social media iraniani sono tutt’oggi inondati di battute sull’incidente dell’elicottero di Ebrahim Raisi. È così che i popoli oppressi si ribellano: con l’umorismo. Questa reazione riflette la sofferenza e la rabbia diffusa nei confronti dell’autocrate per il suo ruolo in numerose violazioni dei diritti umani. Ed è per questo che gli iraniani continueranno la loro campagna di disobbedienza civile contro questo regime, come hanno fatto dopo la morte di Mahsa Amini. E, noi tutte, protesteremo finché non avremo un Iran libero e laico».

Cosa pensi del cordoglio espresso per la morte di Raisi da parte di capi di Stato e di governo occidentali?

«Ogni persona che vedete ballare nei video conosce qualcuno che è stato brutalmente ucciso dalla Repubblica islamica per aver semplicemente mostrato i capelli o protestato pacificamente. Non sono semplici numeri o statistiche: ognuno di loro aveva sogni e un futuro. Eppure, l’America, l’Unione europea e altri Paesi occidentali insultano la memoria di queste vittime inviando le condoglianze per la morte di Ebrahim Raisi, l’uomo responsabile dei loro omicidi. Inviando messaggi di cordoglio, l’Occidente ignora le sue atrocità e manca di rispetto al dolore delle famiglie delle vittime. La vera diplomazia dovrebbe dare priorità ai diritti umani e all’integrità morale, non onorare un oppressore».

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