Ogni anno attendo ansiosamente le classifiche mondiali sulla libertà di stampa stilate da Reporters sans frontières ma soprattutto ogni volta attendo con ansia le reazioni pensose dei giornali italiani per classifiche assolutamente surreali, elaborate con criteri surreali, con conclusioni totalmente surreali. Oggi prendiamo che l’Italia ha perso cinque posizioni, ma potevano essere tre, cinquantaquattro, ottantuno, come ci pare, e che dal quarantunesino posto dell’anno scorso (ma poteva essere il trentesimo, il sessantacinquesino) l’Italia è scesa al quarantaseiesimo (ma poteva essere, a caso, ai dadi, a scelta, il quarantasettesimo, o il sessantesimo).

Ci siamo fatti scavalcare dalla Macedonia del Nord che certamente in 365 giorni avrà meritato il sorpasso, che poteva benissimo essere anticipato tre, sette, otto anni prima, a scelta, a caso, giocando a dadi. L’attesa non è stata in fruttuosa. Sono arrivate sofferte riflessioni sui risultati più recenti delle classifiche. Tutti fanno finta di crederci, analizzano, puntualizzano, spiegano, postillano, glossano. E Reporters sans Frontières, soddisfatti dell’ottimo risultato di ascolti, sta già preparando le bozze per le classifiche del prossimo anno, giovandosi i numeri come a tombola. Per esempio gli Stati Uniti (di Biden, non di Trump) sono stati superati da noi che evidentemente abbiamo perduto cinque punti di libertà di stampa in pochi mesi, tuttavia siamo ben al di sopra di giornali notoriamente imbavagliati come il Washington Post e New York Times. Mi consolo pensando che mancano solo dodici mesi alle prossime classifiche sulla libertà di stampa. E a i giornali che il giorno dopo commenteranno come se il gioco fosse vero. MI accontenterei del trentaseiesimo posto.