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Attualità

Egemonia culturale al capolinea* di Vincenzo D’Anna*

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*Egemonia culturale al capolinea* di Vincenzo D’Anna*

Con il termine “egemonia” gli antichi Greci definivano la capacità di comando e di indirizzo che scaturiva dal magistero pubblicomplemento culturale ecco che ci ritroviamo in una più complessa fattispecie che non è sicuramente quella data dall’esercizio del potere connesso alla carica elettiva ricoperta. Secondo Antonio Gramsci, l’intellettuale comunista ed antifascista costretto al carcere dal regime di Mussolini, L’egemonia culturale è quell’insieme di fattori in grado di orientare le scelte politiche, sociali ed economiche delle classi dominanti, ossia borghesi, nella vita della nazione. Questo in danno delle classi più deboli come il proletariato, per imporre non tanto l’egemonia della persona quanto quella dei propri interessi. Un’ analisi senz’altro pregevole e complessa quella formulata dal grande politico sardo, che tiene conto di molti fattori, pur partendo dall’assunto dogmatico ed ideologico della necessità della lotta di classe e dell’edificazione di un apparato egemone. Filosofia e sociologia a parte, così come intesa e diffusa nel secolo passato, l’egemonia culturale è l’insieme delle idee veicolate dagli intellettuali che maggiormente possono fare presa sulla popolazione con le loro opere. Insomma da quei “maître a penser”, filosofi, scrittori ed artisti, capaci di influenzare ed orientare il modo di pensare della gente. Per intenderci, bene valga un aneddoto: fu chiesto a Giovanni Malagodi, grande liberale del secolo scorso, quale fosse la figura sociale o politica maggiormente in grado di avere un ascendente ed orientare il pensiero dei giovani. Egli rispose lapidariamente individuando questa figura in tutti i professori di filosofia che insegnavano nei licei. Questi ultimi erano in grado di illustrare ed al contempo influenzare le opinioni dei discenti e quindi i loro stessi indirizzi politici. A questo esempio di esercizio dell’egemonia culturale si può aggiungere una lunga lista di altri “veicoli”: libri, giornali, film, opere d’arte. In breve tutto quell’armamentario che può eccitare emozioni e idealità determinando chiare scelte di campo. Ne consegue che coloro i quali occupano questi avamposti culturali ed hanno l’opportunità di divulgare le idee sono i veri protagonisti dell’egemonia culturale. Questa variegata categoria di persone, che oggi nel linguaggio social si chiamerebbero “influencer”, ha rappresentato, nei “salotti” che contano, la spina dorsale di quell’esercito che ha alimentato, per anni, il mito di talune teorie filosofiche e politiche, manipolando, all’occorrenza, anche la realtà storica, per adeguarla alle tesi sostenute. Insomma ha indirizzato tante persone verso i lidi del marxismo-leninismo come dottrina rivoluzionaria, edificatrice di un modello statale in cui realizzare l’uguaglianza e la giustizia sociale, la liberazione degli oppressi, le positive e progressive sorti del proletariato. In poche parole: l’idea di un paradiso in terra nel quale lo Stato avrebbe saputo soddisfare le aspirazioni di tutti, realizzare la società degli eguali, fornendo prospettive di felicità ed identici esiti di vita a ciascun cittadino. Per capirci: parole come rivoluzione, riscatto proletario, lotta di classe, giustizia ed uguaglianza sarebbero diventate le chiavi di volta di un nuovo fulgido futuro. Stiamo però parlando di idee guida, apodittiche e sicure che il filosofo liberale Raymond Aroon, chiamò “l’oppio degli intellettuali”. Ebbene, in questo bailamme votato unicamente a sinistra trovare, in una libreria, autori che non fossero di quella tendenza ha rappresentato, per anni, un’impresa in un’orgia di titoli ed autori marxisti, fatta eccezione per quelli che riducevano l’intero mondo liberale e la destra culturale di Giuseppe Prezzolini in un’insignificante parentesi, spesso volutamente confusa col fascismo e la sua tirannica egemonia dittatoriale. Eppure la Storia aveva già disvelato gli inganni del Comunismo, la sua vera natura liberticida, le tragedie e gli eccidi di Stalin, poi quelli Cinesi di Mao, quelli Cambogiani di Pol Pot e così via. Proprio sul comunismo in Francia si era già consumato il divorzio tra Sartre e Camus con il premio Nobel transalpino che aveva denunciato quell’ideologia nel libro “l’Uomo in rivolta”. Per restare a quelle latitudini, venivano avanti i nuovi filosofi come André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy di ispirazione liberale a rimpiazzare i vecchi mostri sacri della sinistra. In Italia invece niente si mosse, fino alla caduta del muro, innanzi all’evidenza assoluta del fallimento marxista. Bene, pertanto, ha fatto, nei giorni scorsi, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano a difendere un portato culturale che non fa distinzione tra i totalitarismi. Una distinzione manichea e mendace, frutto di una prospettiva e di un racconto storico teso a sollevare il comunismo dalle sue tragiche responsabilità, rispetto al nazismo, oltre che ad equiparare il nazionalsocialismo di Hitler al fascismo di Mussolini. Un distinguo fra dittature che avvalora la menzogna tipica dell’egemonia culturale della sinistra nel Belpaes. Egemonia di una cultura che forse è finalmente arrivata al suo capolinea.

*già parlamentare

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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