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Attualità

*Il dodecaedro di Calderoli* di Vincenzo D’Anna*

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*Il dodecaedro di Calderoli* di Vincenzo D’Anna*

Nel mentre, in Medio Oriente, aleggia lo spettro di una guerra che rischia di allargarsi ogni giorno di più, nel Belpaese si lavora non per unire la nazione bensì per creare ulteriori divisioni e sperequazioni tra Nord e Sud. Eppure il conflitto bellico, eccitato dalle antiche idiosincrasie degli arabi nei confronti dello Stato di Israele (oltre che tra le fazioni Sunnite e Sciite dell’Islam), minaccia direttamente anche i nostri interessi commerciali nel Mar Rosso ove transita circa la metà delle nostre merci . Un’ulteriore complicazione generata dai raid dei ribelli Houthi che, per protestare contro l’invasione israeliana di Gaza, sparano missili contro le navi battenti bandiera con la stella di Davide e quelle a stelle e strisce. Questo gruppo terrorista yemenita è collegato all’Iran Sciita degli Ayatollah da cui riceve armamenti e fondi. Insomma manca davvero poco a che statunitensi ed inglesi, che stanno reagendo ai raid bombardando, a loro volta, le basi degli Houthi, non vengano maggiormente coinvolti nel tragico scenario. Se avessimo un ministro degli Esteri capace di stimolare ed interpretare una politica estera “coerente e ferma” laddove sono minacciati i nostri interessi economici, il Parlamento oggi sarebbe impegnato su argomenti di quella natura ed il confronto tra maggioranza ed opposizione avrebbe potuto elevarsi su su tematiche essenziali. Tuttavia i fatti politici interni prevalgono e gli interessi elettorali del Carroccio sembrano far approdare il governo verso un provvedimento legislativo che fa da sponda agli egoismi leghisti più che alla coesione nazionale. Parliamo della cosìddetta “autonomia differenziata” che altro non è che un ulteriore devoluzione di funzioni e servizi dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario. In estrema sintesi: si tratta di dare seguito a quanto i “ lumbard “ avevano già ottenuto nel 2001 con la modifica del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. La modifica prevedeva, essenzialmente, che tutta una serie di materie dette “concorrenti” tra Stato e Regioni, ossia non affidate in via esclusiva agli apparati centrali dello Stato, potessero essere demandate alla competenza di ogni singola Regione. Le materie in questione sono diverse e tutte importanti: giustizia, istruzione ; tutela di ambiente e beni culturali; rapporti internazionali e con l’Ue; commercio estero; tutela e sicurezza del lavoro; professioni; ricerca scientifica e tecnologica; sostegno all’innovazione per i settori produttivi; salute; alimentazione; Protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; reti di trasporto e di navigazione. Insomma tutto quello che concretamente può servire ad un territorio che voglia amministrarsi a modo suo senza intralci statali, senza i vincoli di coordinamento con gli ambiti e le esigenze di carattere nazionali. Poiché ogni funzione svolta in loco ha bisogno del corrispondente fondo economico, la vera questione si disvela – nella sua recondita finalità – allorquando la legge prevede che, insieme alle funzioni amministrative ed ai servizi trasferiti alle Regioni, restino sul territorio anche gli introiti delle tasse che lo Stato incassava in quegli stessi ambiti di funzioni oppure di servizi. Il nodo gordiano viene spezzato dalla spada della fiscalità che finirà di arricchire chi già ricco lo è di suo, allorquando questi non sarà più legato alle esigenze nazionali ed alla perequazione contributiva di quanto si incassa. Comunque la si giri o la si rivolti, le Regioni più ricche organizzeranno i servizi e le funzioni con modalità ancor più dispendiose in nome della maggiore efficienza e qualità dei servizi medesimi, sottraendo più risorse alla devoluzione perequativa dei fondi verso lo Stato. In tal modo è destinato a trionfare il vecchio sogno leghista di gestire localmente quello che proviene dalla tassazione prodotta dai territori, di utilizzare gran parte di quel gettito per i propri scopi e progetti, di lasciare all’egoismo territori la ricchezza prodotta dai medesimi. Insomma: si va ad allargare la forbice tra chi produce più ricchezza e chi meno. In buona sostanza, il modello di riferimento da prendere ad esempio è quello socio sanitario che oggi produce migrazioni bibliche da Sud a Nord con oneri a carico delle regioni più povere che pagano le prestazioni sanitarie erogate da quelle più ricche del Settentrione. Le regioni ricche pagheranno tariffe di remunerazione delle prestazioni più alte agli accreditati e stipendi migliori al personale sanitario, implementando attrezzature e servizi al malato, ossia miglioreranno l’offerta socio sanitaria. Insomma la vittoria leghista è il trionfo della più grande delle ingiustizie: quella che don Lorenzo Milani attribuiva al fare “parti eguali tra diseguali”. Come si possa conciliare tutto questo con la politica di unità nazionale non è noto e credo mai lo sarà. Cedere alle furbizie emendative di un Calderoli, conoscitore dei regolamenti e gran maestro di tranelli parlamentari, è un poco come stabilire che uso avesse il dodecaedro da parte degli antichi romani. Gli archeologi hanno più volte ritrovato questo strano manufatto caratterizzato dalla presenza di ben dodici facce, negli scavi dell’Urbe, ma a tutt’oggi ancora non hanno ben capito a cosa servisse. Il furbo Calderoli invece lo mostra e lo usa creando, nei suoi interlocutori, miraggi legislativi a più facce. Lui però di facce ne ha una sola per tutte le occasioni: quella del suo fondoschiena!!

*già parlamentare

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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