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LA “MADRE” DELLE RIFORME MELONI – Le novità. Elezione diretta, bonus di maggioranza scritto in Costituzione e norma (soft) anti ribaltoni

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IL DOSSIER

Le mani di Giorgia sulla Carta: sarà premier assoluto

LA “MADRE” DELLE RIFORME MELONI – Le novità. Elezione diretta, bonus di maggioranza scritto in Costituzione e norma (soft) anti ribaltoni

DI LORENZO GIARELLI

4 NOVEMBRE 2023

Con un’espressione non proprio originale, Giorgia Meloni la definisce “la madre di tutte le riforme”, una “priorità” per il Paese a la “Terza Repubblica”, nonché una novità che garantirà ai cittadini “il diritto di decidere da chi farsi governare”. Progetti ambiziosi e non privi di retorica, ma la portata del testo approvato ieri in Consiglio dei ministri impone di non sottovalutare nulla della legge di modifica costituzionale sul premierato che inizia così il suo iter.

Presentando il testo in conferenza stampa, la presidente del Consiglio esulta: “Metterà fine alla stagione dei ribaltoni, del trasformismo e dei governi tecnici che sono passati sopra la testa dei cittadini. E chi viene scelto dal popolo potrà governare con un orizzonte di legislatura”. Meloni si mostra ben più prudente rispetto a Matteo Renzi, il quale si schiantò proprio sulla riforma costituzionale stroncata dagli italiani: “C’è chi si è dimesso dopo aver detto: ‘Se perdo il referendum mi dimetto’; ma in questo caso io ho detto una cosa molto diversa. Ho detto che ho fatto quello che dovevamo fare e che era scritto nel programma. Sono gli italiani che decidono e questo non ha nulla a che fare con l’andamento del governo”. Tradotto: se, come più che probabile, il Parlamento approverà la riforma senza la maggioranza dei due terzi e quindi sarà necessario un referendum, Meloni eviterà di personalizzare la competizione.

Il colle.
“Adesso la palla passa al Parlamento”, dice la premier, che afferma di aver avuto contatti con il Colle durante l’elaborazione del testo: “C’è stata un’interlocuzione con gli uffici del presidente, come sempre avviene, a maggior ragione su queste materie”. Il punto non è secondario, anche perché nei giorni scorsi la premier aveva specificato che il presidente il carica non avrebbe dovuto dimettersi in caso di ok alla riforma. Dal Quirinale fanno capire che si è trattato di un’interlocuzione “tecnico-costituzionale”, non certo “politica”. Significa che la responsabilità della riforma resta in capo “a chi l’ha proposta”. Il Colle ci tiene a evidenziare l’atteggiamento “assolutamente neutrale” di Sergio Mattarella. Impossibile, quindi, che Meloni possa contare sulla legittimazione del Quirinale.

La ministra per le Riforme Maria Elisabetta Casellati giura poi che la riforma “preserva i poteri del Capo dello Stato”. Assunto vero dal punto di vista formale, anche se poi i rapporti di forza tra Parlamento, governo e Quirinale si sbilanciano in favore dell’esecutivo. Per capirlo basta leggere i cinque articoli della legge.

L’elezione.
La principale novità è l’elezione diretta del presidente del Consiglio “per la durata di cinque anni”. Attraverso “un’unica scheda elettorale”, si scelgono quindi un partito e un candidato premier, che a differenza di oggi sarà esplicitamente indicato da ogni lista. La riforma esprime un principio generale: “La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi nelle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio dei ministri”. Significa che il partito o la coalizione che otterrà la maggioranza relativa, anche solo di poco superiore al 30 per cento (come accaduto al M5S nel 2018), potrà contare su un enorme premio di maggioranza che le consegnerà il 55 per cento dei seggi.

Definita la ratio, i dettagli saranno poi chiariti con una legge elettorale su cui Casellati promette “un confronto con le opposizioni”. Possibile, come anticipa Meloni, che venga previsto un ballottaggio tra le coalizioni o le liste più votate, come già nell’Italicum poi stroncato dalla Consulta: “Il tema del ballottaggio non è stato introdotto e non è stato escluso. Io sono laica, riguarda la legge elettorale”.

I Ribaltoni.
Resta responsabilità del presidente della Repubblica nominare i ministri, su proposta del presidente del Consiglio. Su questo, Meloni si lancia in un’argomentazione che suona come una forzatura: “Già oggi se vado da Mattarella a spiegare perché uno dei miei ministri non è compatibile con l’attività di governo, non avrò grandi problemi a farlo revocare”. Quel che viene stravolto, invece, è il meccanismo di formazione dei governi. Dopo il voto viene scelto come premier il più votato. Se ottiene la fiducia alla Camera e al Senato, inizia il proprio mandato, altrimenti il Capo dello Stato “procede allo scioglimento delle Camere” (non potrà più scioglierne una sola). La novità più rilevante riguarda il caso in cui il presidente del Consiglio eletto non abbia più la fiducia. In quel caso, “il presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al presidente eletto”. Nessun tecnico, quindi, ma un parlamentare “per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il governo del presidente eletto ha ottenuto la fiducia”. Cioè per continuare lo stesso programma del predecessore, anche se appare complicato immaginare un controllo costituzionale in merito da parte del Quirinale.

Se anche il secondo presidente del Consiglio non avesse più la fiducia, a quel punto si tornerebbe al voto. E qui emerge una contraddizione notata dal costituzionalista Stefano Ceccanti, già parlamentare Pd: “Il secondo premier è più forte del primo perché solo la sua caduta porterebbe al voto anticipato, non quella dell’eletto direttamente”. Altro punto critico è l’assenza di limiti di mandato per il premier, come spiega tra gli altri dal presidente di Anci, Antonio Decaro: “Non si capisce perché il limite debba restare solo per i sindaci”.

Senatori a vita.
Infine, la riforma abolisce la possibilità di nominare nuovi senatori a vita. Il motivo lo spiega Meloni in conferenza: “Vengono aboliti i senatori a vita, salvo gli ex presidenti della Repubblica, misura necessaria in particolare dopo il taglio dei parlamentari, perché l’incidenza dei senatori a vita è molto aumentata”. Cinque su 200, ma evidentemente troppi.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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