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NON C’E PIU’ UN GIUDICE A SANTA MARIA… COME QUELLO DI BERLINO!

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Ernesto Anastasio, il giudice che non scrive più le sentenze (e ama la poesia): «Il mio lavoro è opprimente»

di Alfio Sciacca

«Non sono un idiota che si diletta a scrivere poesie e combina solo scelleratezze sul lavoro… qualcosa la capisco anche io e posso dire che in Italia non è vero che vanno separate le carriere di giudici e pm, ma quelle tra Civile e Penale. Ma questa è una verità della quale non si vuole nemmeno sentir parlare». Davanti alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura il giudice Ernesto Anastasio non ha negato il suo grande amore per la poesia, ma ha provato anche difendersi. Rilanciando. A suo dire la lentezza, una sorta di blocco mentale, nello scrivere sentenze e provvedimenti sarebbe da addebitare anche alla circostanza di essere stato assegnato a un settore, il Civile, descritto come una sorta di sentina del sistema giudiziario italiano. «Nonostante avessi chiesto di essere assegnato a funzioni penali — ha urlato davanti al Csm — sono stato schiantato sul ruolo più incommentabile e inqualificabile del Civile di Santa Maria Capua Vetere».

Le sentenze non redatte
Per Ernesto Anastasio, 54 anni, originario di Piano di Sorrento (Napoli), in magistratura dal 1999, ex Giudice Civile a Santa Maria Capua Vetere ed attualmente Giudice di Sorveglianza a Perugia, deriverebbe anche da questo il cumulo di arretrati da record: ben 214 sentenze non redatte nei termini. Dopo una prima sanzione a Santa Maria Capua Vetere, nel 2021 è stato trasferito a Perugia. Ma anche qui ha accumulato enormi arretrati. Si parla di 800 provvedimenti non depositati in un anno e altri redatti in ritardo. Una condotta che ha provocato le proteste degli avvocati e persino un’istanza collettiva di un gruppo di detenuti. Inevitabile l’azione disciplinare davanti all’organo di autogoverno dei magistrati, che si dovrà pronunciare nei prossimi mesi. La Procura Generale della Cassazione accusa il giudice Ernesto Anastasio di gravi violazioni ai «doveri di diligenza e laboriosità», prospettando per lui l’immediata sospensione dalle funzioni e dallo stipendio.

La passione per la poesia
«Sicuramente il problema è grave e non è giusto che un giudice combini tutto questo macello di provvedimenti non depositati — ha replicato di fronte al capo di incolpazione —, ma voglio dire che ora fare il magistrato di sorveglianza mi piace e vorrei portare a termine il quadriennio. Gli stessi avvocati che in un primo momento mormoravano per qualche ritardo hanno cominciato a difendermi… anche se sono certo che non morirò magistrato». Insomma il giudice Anastasio è conscio di aver «combinato un macello», come non nasconde la passione per la poesia sulla quale si è soffermato a lungo con il perito nominato dal Csm. Sullo sfondo anche una difficile situazione familiare, l’obiettivo mancato dell’ingresso in Polizia e persino l’ombra lunga del padre, ex principe del Foro, proprio nel Civile da lui tanto odiato. Una situazione che avrebbe determinato un forte disagio per il quale ha prodotto anche dei certificati medici. Ma in queste condizioni può continuare a fare il giudice? Da qui la perizia, per accertare eventuali patologie, assegnata a Stefano Ferracuti, docente di psicopatologia forense alla «Sapienza» che l’8 giugno scorso ha esposto le sue conclusioni. Per il perito il giudice avrebbe «un disturbo di personalità che lo porta a procrastinazione e irresolutezza nell’adempiere determinate mansioni».
«Idoneo a fare il bibliotecario»
«Appare — aggiunge — consapevole del problema, ma allo stesso tempo non è in grado di opporsi a questa spinta interna… si trova a fare un lavoro che non genera in lui alcuna soddisfazione essendo tutti i suoi interessi orientati in altri campi, letterari e poetici, e questo non è in alcun modo soddisfacente per i suoi obiettivi esistenziali». In pratica «si sente oppresso dal lavoro… quello che fa non è quello che avrebbe voluto e tende a boicottarlo. Lo sa, ma allo stesso tempo può far poco per evitarlo… si trova a vivere una vita che non avrebbe voluto vivere ed ha difficoltà ad uscirne». Anastasio ha condiviso in ogni punto le conclusioni del perito con il quale ha spiegato «mi sono sfogato, senza nascondere nulla del mio dissidio interiore». E dunque cosa fare? «Se in magistratura esistesse la possibilità di un demansionamento — conclude il perito — potrebbe svolgere altre mansioni. Non è idoneo a fare il lavoro di giudice, ma essendo dotato di notevoli qualità, ad esempio, potrebbe fare il bibliotecario»

FONTE: 

NOTA DEL DIRETTORE

Perchè si dice “Ci sarà un giudice a Berlino”

L’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino” oppure “Esiste, dunque, un giudice a Berlino” è stata mutuata da un’opera di Bertold Brecht nella quale si narra la storia di un mugnaio che lotta tenacemente contro l’ imperatore per vedere riparato un abuso.
L’espressione “Ci sarà pure un giudice a Berlino” oppure “esiste dunque un giudice a Berlino” è stata mutuata da un’opera di Bertold Brecht nella quale si narra la storia di un mugnaio che lotta tenacemente contro l’ imperatore per vedere riparato un abuso. La storia è la seguente. A Potsdam, vicino Berlino, l’imperatore Federico II di Prussia voleva espropriare il mulino di un mugnaio per abbatterlo. Si trattava chiaramente di un abuso in quanto il motivo consisteva nel fatto che il mulino danneggiava il panorama del suo nuovo castello di Sans Souci. Pur di averla vinta, l’imperatore non esitò a corrompere tutti i giudici e tutti gli avvocati a cui il mugnaio si rivolgeva. Con grande tenacia, il mugnaio riuscì a trovare un giudice onesto che lo aiutò a vincere la causa. Ecco perchè si usa l’espressione per dire che, alla fine, la giustizia trionfa comunque.

 

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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