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Saviano di Luciano Capone  da Il Foglio

Roberto Saviano ha deciso di incarnare una nuova figura mitologica, simile all’ircocervo, quella del dissidente collaborazionista: perseguitato e arruolato dal regime. In questi mesi sono due le questioni che, più delle altre, stanno alimentando le polemiche attorno al governo Meloni: il conflitto aperto con la magistratura, che avversa apertamente la riforma della giustizia del ministro Nordio ed è accusata dalla maggioranza di complottare contro il governo; gli avvicendamenti e le epurazioni in Rai, a seconda dei punti di vista, di giornalisti e conduttori. Il quadro d’insieme è quello di un governo che fatica a tenere a bada i giudici, ma riesce a bonificare la televisione pubblica dalle voci critiche e non allineate. Non si capisce, però, come all’interno di questo quadro possa rientrare la narrazione che Saviano porta avanti da qualche mese.

Lo scrittore è impegnato in una battaglia in cui sta tentando di ribaltare il “processo politico” di cui si ritiene vittima, per diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni, in un processo alla politica della presidente del Consiglio. La tesi di Saviano è che quello nei suoi confronti è un processo “sporco”, una “minaccia per tutti”, perché un governo che porta in giudizio un giornalista vuole limitare la libertà di parola e impedire il “pensiero critico”. Premettendo che Meloni per il ruolo che ricopre farebbe meglio a ritirare la querela e, in caso contrario, augurando una rapira e piena assoluzione all’autore di “Gomorra”, il discorso di Saviano contiene alcuni buchi logici. Il primo è che Meloni lo ha querelato per averla definita “bastarda” durante una puntata di “Piazzapulita” del dicembre 2020 quando lei era all’opposizione e il rinvio a giudizio è arrivato nel novembre del 2021, un anno prima che lei si insediasse a Palazzo Chigi. Per giunta, a rinviare a giudizio Saviano è stato il Gup di Roma – lo stesso ufficio che ha appena chiesto l’imputazione coatta (nonostante la richiesta di archiviazione del pm) del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, tra l’altro avvocato di Meloni nel processo contro Saviano. Questo dovrebbe dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, che i giudici di Roma non sono al servizio di Meloni. Pertanto, per rispetto dei principi di separazione dei poteri e di indipendenza della magistratura, per il “processo politico” che sta subendo Saviano dovrebbe attaccare i giudici più che la Meloni: perché i magistrati hanno il potere di processarlo, mentre la premier ha solo la facoltà di querelarlo.

Ma la cosa più surreale in questa storia è che mentre Saviano narra di un governo autoritario che lo processa per zittirlo, emerge che nei nuovi palinsesti la Rai ha confermato il suo programma in prima serata sulla terza rete. Solo pochi mesi fa, quando Fabio Fazio ha lasciato la tv di stato, Saviano scrisse che “Fabio Fazio viene cacciato dalla Rai perché del suo spazio questa destra xenofoba ha bisogno”. Si evince che Saviano resta in Rai perché di lui la destra xenofoba ha bisogno? “Non risulta che il dissidente sovietico Salomov avesse una rubrica sulla Pravda”, ha evidenziato Alessandro Gnocchi sul Giornale.

Già è difficile immaginare un intellettuale reale che è metà perseguitato e metà collaborazionista del regime, ma è davvero impossibile capire il senso di una narrazione in cui il governo tenta di silenziarlo attraverso un potere che non ha (quello giudiziario) mentre gli concede un palcoscenico attraverso un potere che ha (il controllo della tv di stato).

Luciano Capone

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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