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Attualità

*Giorgia non è Badoglio* Giorgia come Tatcher? di Vincenzo D’Anna*

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*Giorgia non è Badoglio*

di Vincenzo D’Anna*

Chi ha avuto la fortuna di studiare la storia sui banchi di scuola, quella, per intenderci, che sempre insegna ma non trova discepoli, come scriveva Antonio Gramsci, avrà senz’altro memoria dell’ingresso del generale Pietro Badoglio ad Addis Abeba, il 5 maggio del 1936. L’occupazione di quella città rappresentò l’azione conclusiva della guerra d’Etiopia ponendo, di fatto, il paese del Corno d’Africa nelle mani degli Italiani. Con la conquista dell’Abissinia (così era detto, allora, quel paese) giungeva a compimento il progetto coloniale voluto dal duce, Benito Mussolini: dare concretezza all’enfatica teoria della costruzione di un impero coloniale anche per il Belpaese. In concomitanza con la caduta della capitale venne anche la decisione del negus Hailè Selassié, di prendere la via dell’esilio riparando in Inghilterra. L’imperatore spodestato tenne, in seguito, un memorabile quanto coraggioso discorso davanti alla Società delle Nazioni (antesignana della moderna Onu), con il quale rivendicò, per il suo popolo ed il proprio stato sovrano, il diritto all’autodeterminazione ed alla libertà di poter vivere in pace. Negli anni del conflitto italo-etiopico, la scelta degli stati europei di procacciarsi, con la forza, spazi vitali oltre confine, dai quali poi trarre materie prime a buon mercato e spazi commerciali, stava ormai volgendo al termine. Ciononostante, il regime fascista volle attivarsi lo stesso, sia pure fuori tempo massimo, nel tentativo di affermare la propria grandezza politica e militare, illudendosi di calcare le orme dell’antica Roma dei Cesari. Il negus sarebbe tornato sul trono di Addis Adeba il 5 maggio del 1941, dopo la sconfitta delle truppe italiane per mano dei britannici, governando quel paese per altri quarant’anni instaurandovi un regime dispotico ed arretrato fino a quando non fu “fatto fuori” con un golpe militare. Accadde nel 1974. Da quel momento l’Etiopia ha vissuto una fase tribolata, che ha visto il susseguirsi di sommosse, guerriglie e uno scontro violentissimo con la vicina Eritrea. Da allora l’ex impero del negus non è più riuscito a darsi un governo democratico e duraturo, atto a risolvere pacificamente i propri problemi. Per anni la destabilizzazione politica e governativa l’ha fatta da padrona, tramutandosi anche in esperimenti di governo che si riferivano al marxismo economico, oppure al dispotismo del satrapo di turno. Un perenne caos che ha portato quella nazione ad una condizione sociale fatta di miseria e di malattie endemiche. Lo stesso può dirsi per la storia della Somalia dell’Eritrea e della Libia (tutte ex colonie italiane); soprattutto per quest’ultima, la famosa “quarta sponda”, i fatti sono maggiormente noti all’opinione pubblica italiana in quanto legati al regime dell’eclettico dittatore il colonnello Muhammar Gheddafi. Il perenne stato di instabilità politica, la perdurante guerra intestina tra le fazioni para militari identificatesi nell’aspirante dittatore di turno, ha determinato, in quelle terre martoriate, un fattore decisivo nei confronti di quanti hanno scelto la via della fuga, emigrando in Europa oppure chiedendo asilo politico ai paesi del Vecchio Continente. Certo non sono gli unici considerando il quadro degli Stati nord africani ed asiatici, ma è da quelle terre, soprattutto dalla Libia, che passano le carovane dei disperati che poi approdano sulle sponde dello Stivale: un flusso incessante e massiccio che peraltro rappresenta solo la punta di un iceberg essendo oltre cinque milioni i disperati accampati sulla sponda africana dirimpettaia dell’Italia. Ben venga allora un piano organico che porti aiuti e, se possibile, democrazia direttamente in quelle terre per disincentivare il flusso migratorio. Piano teoricamente eccellente, certo, ma di ben difficile attuazione!! Il governo di Giorgia Meloni ha opportunamente dichiarato la redazione di un intervento organico in quei Paesi ribattezzato “Piano Mattei” in onore dello storico fondatore dell’Eni, la compagnia petrolifera italiana che, alla fine degli anni ’50, seppe conquistarsi un posto di primissimo piano tra le altre analoghe aziende internazionali di quel settore. Mattei sconfisse il cartello delle “sette sorelle” proponendo agli Stati detentori di quei giacimenti dei piani di investimento sociali derivati dai proventi dell’uso delle materie prime: ospedali, scuole, infrastrutture, strade, dighe in cambio del gas e dell’oro nero. Analogamente tenta di fare, oggi, la leader di FdI, con la visita in quei paesi, per irregimentare e limitare il flusso migratorio. Del piano non si conoscono ancora i contorni specifici e la tipologia delle opere, tantomeno l’impegno economico. Credo occorrerà anche l’aiuto finanziario della Ue perché si riveli ampio ed efficace. In ogni caso questa volta la politica ha indicato una scelta giusta e concreta. Per quanto la sinistra voglia accollare alla Meloni la lettera scarlatta di “erede del Fascismo”, ad Addis Abeba stavolta ci è arrivata Giorgia non certo Badoglio. I suoi detrattori se ne facciano una ragione…

*già parlamentare

Giorgia come Tatcher?

di Vincenzo D’Anna*

La politica è l’arte del divenire, soprattutto in un’epoca in cui i vecchi riferimenti ideologici ed i posizionamenti dettati da principii e visioni socio economiche, appaiono flebili. Lo dimostra la recente fine del Terzo Polo, creatura nata da frange della sinistra approdate, poi, a lidi liberal democratici, con due comandanti in capo sussiegosi, pretenziosi e diffidenti, ed oggi ritrovatasi al centro di un “colpo di scena” non da poco. La furbizia di Matteo Renzi, tuttologo della scienza politica, da sempre barcamenatosi tra le lezioni di Jaques Maritain e Giuseppe Dossetti, per divenire un Amintore Fanfani (sia pure al sedicesimo) che strizza l’occhio ad Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer, ha pagato dazio un’altra volta. Spesso e volentieri l’ex “rottamatore” e segretario del Pd, si è destreggiato nell’arte della tattica senza avere una visione strategica del campo largo del riformismo, per poter riscuotere un successo stabile. Di contro Carlo Calenda, sempre proveniente dalla sponda dem, ha risposto con eguale tatticismo senza aprire, però, le porte di Azione alla società civile, ai ben pensanti e ai moderati convinti preferendo, all’opposto, approdare in parlamento con compagni di strada infedeli ed ondivaghi come quelli di Italia Viva. Che fine avrà fatto il progetto maggioritario di mettere insieme i riformatori con un sistema elettorale semplice ed intellegibile, circoscritto ai solo collegi uninominali ed al premio di maggioranza, non è dato sapere. Ecco che due paia di calzini vecchi non ne hanno fatto uno nuovo e due debolezze in sintonia non hanno acquisito la forza necessaria. Tuttavia resterebbe un mare magno di elettori che continua a rifiutare le urne. Un “serbatoio” di liberali e moderati che, dopo l’illusionismo berlusconiano, sono rimasti delusi nelle loro case. Parliamo di oltre il quaranta percento degli aventi diritto al voto e guarda caso costoro si sovrappongono, percentualmente, a coloro che scelsero “si” alla riforma costituzionale di renziana memoria. Ma non è detto che questo immenso bacino elettorale non possa rientrare, in gran parte, nel gioco sommandosi a quella percentuale che, turandosi il naso, continua a optare per il meno peggio dell’offerta politica e partitica che viene loro proposta. In questo caso arriveremmo a cifre consistenti di voti in grado di cambiare il volto e la sostanza delle cose, ponendo anche termine ad un’eterna e mai compiuta transizione del sistema. Se una persona sveglia e volitiva come Giorgia Meloni, che ha un buon bagaglio politico e le stigmate della leadership, cominciasse a ragionarci su, male non farebbe. Per giungere a tanto bisognerebbe tuttavia avere il coraggio di fare quello che il tanto vituperato (a ragion veduta s’intende) Gianfranco Fini realizzò il 27 gennaio del 1995: un cambio di posizione netta ed un rinnovamento ideologico che l’ex presidente della Camera nonché segretario del Msi-Dn, indirizzò nel suo partito, guidandolo verso la destra conservatrice ed europeista. Apologeti dell’operazione: Pinuccio Tatarella, Domenico Fisichella, Gennaro Malgeri ed, a latere, l’intellettuale Marcello Veneziani con l’aiuto dei giovani “colonnelli” dell’epoca. Questi accantonarono allora tutte i residui post fascisti, l’idea corporativa dell’economia sposando il classico interclassismo di democristiana memoria. Una visione che poneva le forze vive della nazione su di uno stesso piano rilanciando il compito storico della borghesia sana, illuminata ed imprescindibile nelle sue libertà. A corollario di questa rivoluzione, ecco arrivare il riconoscimento del libero mercato di concorrenza ed il liberalismo come bandiere dello Stato con l’uomo al centro dell’azione politica. Una nuova terminologia trasformava per sempre il partito dei nostalgici e dei facinorosi, degli xenofobi e dei reduci delle vecchie ed aspre battaglie anti comuniste. D’altronde, il muro di Berlino era caduto da nemmeno cinque anni e sotto di esso poteva ben sparire anche il nemico storico del socialismo reale oltre al medesimo, perché simul stabunt simul cadent (le cose che stanno insieme cadono insieme). Tuttavia, se un ulteriore passo avanti lo facesse, oggi, anche Giorgia Meloni, allargando la platea dei partecipanti in conseguenza della più larga visione della società e dello Stato, il moderatismo ed il riformismo potrebbero giungere dal versante opposto a quello di partenza politica del fallito Terzo Polo. Ed ancor più prenderebbe forza e consenso l’idea che si possano ammodernare, in senso liberale, le “istituzioni centrali” anche con meccanismi di riforma costituzionale e di elezione diretta del presidente del Consiglio dando più poteri al medesimo perché provenienti dalla legittimazione del voto popolare diretto. Se la Meloni saprà liberarsi innanzitutto dai suoi interessati zelatori, delle conventicole nostalgie, approdando ad un Conservatorismo liberale l’operazione potrebbe essere alla sua portata per divenire la Margaret Tatcher italiana . Finirebbe in tal modo la lunga notte della Seconda Repubblica.

*già parlamentare

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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