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Attualità

Le tasche dei contribuenti* di Vincenzo D’Anna

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Le tasche dei contribuenti*

di Vincenzo D’Anna*

Un vecchio adagio liberale ci insegna come si possano spendere i soldi. Il primo modo, il più razionale ed economico, è quello di farlo per se stessi. In tal caso compreremo al minor prezzo possibile qualcosa di cui abbiamo veramente bisogno. Il secondo è di sborsare quattrini per un altro. Così spenderemo quello che è strettamente necessario ma non sapremo mai di quale effettiva utilità sia realmente quello che abbiamo acquistato. Il terzo è “investire” i soldi altrui per noi stessi. In questo caso i denari utilizzati saranno calcolati generosamente ed impiegati per uno scopo certamente utile. Il quarto, infine, è quello di spendere i soldi degli altri per gli altri. Ecco allora che impiegheremo il massimo dei quattrini per qualcosa la cui utilità non è certa. Quest’ultima modalità è quella che solitamente impiegano gli statalisti, ovvero quelli che usano lo Stato e gli enti pubblici “per” i cittadini. La spesa è massima, l’utilità incerta. Quello che sembra una storiella ironica rappresenta invece il nucleo centrale, l’origine metodologica dello sperpero del pubblico danaro dei contribuenti da parte di un famelico Stato Leviatano che chiede alla gente la metà dei propri guadagni per alimentare il fiume di sprechi e di sperperi che caratterista la finalità della spesa (ed il suo relativo impiego). Se così non fosse non saremmo in braghe di tela con un debito pubblico mostruoso che si mangia il 150 percento del prodotto interno lordo (Pil) annuale, ovvero della ricchezza prodotta in Italia. Una voragine alimentata dalla spesa delle pensioni innanzitutto. E poi: dagli stipendi del pubblico impiego, dalla sanità e dagli interessi passivi sul debito stesso che assorbono circa l’80 percento delle entrate erariali ed extra erariali. Una breve riflessione su questo stato di cosa è quasi obbligatoria e prende le mosse dalla digressione sulla vulgata che taluni economisti e politici socialisti diffondono, ovvero che la politica sia diventata succube della finanza, cioè che l’intera governance dello Stato soggiaccia ai grandi interessi economici. Questi immarcescibili anti capitalisti dimenticano, tuttavia, che la subalternità non è certo dovuta al sistema dell’economia capitalistica, della quale è parte integrante anche la speculazione finanziaria (un’induzione malvagia del sistema socio economico liberista), quanto dal fatto che gli Stati stessi sono indebitati fino al collo con chi fornisce il danaro utile agli sprechi. Ne consegue che se l’entità centrale, lo Stato, si indebita per tenere sul groppone un’infinita quantità di funzioni e di assistenza, sarà lo Stato stesso ad obbligarsi verso i finanziatori. Ecco allora le politiche degli spendaccioni, dei demagoghi e degli idolatri statali : sono loro a creare la sudditanza verso il mercato finanziario che, comprando i buoni del tesoro e le obbligazioni, finisce per pagare il costo di quelle allegre politiche. Nasce da questo cane che si morde la coda la difficoltà a riformare la tassazione e la fiscalità nel Belpaese, il dover alimentare, con il debito, i mille rivoli di una spesa ormai insostenibile. Nei giorni scorsi il governo Meloni ha fatto filtrare le bozze di una delega per la riforma fiscale. Tale atto prevede un complessivo riordino del sistema tributario con quattro obiettivi: maggiore certezza del diritto; minore pressione fiscale; riduzione del contenzioso e attrazione dei capitali esteri. Sulla carta i principi sono pienamente condivisibili, ma tutto dipende – prima ancora che dai dettagli – dal modo in cui tali “concetti” saranno tradotti in norme e, poi, in fatti concreti. In sintesi: non ci sarà riforma che tenga se prima non si saranno razionalizzate la spesa statale e le politiche che essa è chiamata a sostenere. Le grandi linee della riforma prevedono la revisione dell’Irpef che dovrebbe essere ridotta a tre aliquote e poi, successivamente, ad una sola aliquota. E poi: la cancellazione dell’Irap (tassa che si paga anche sul monte della spesa per i dipendenti), la rivisitazione dell’Iva e la razionalizzate delle spese fiscali. Una serie di buoni propositi ragionieristici che difficilmente saranno tradotti in atti legislativi. Dal canto suo, il Pd, con l’avvento della Schlein al timone della segreteria, ha rispolverato il vecchio arnese della redistribuzione della ricchezza (quella altrui ovviamente) cavalcando il pauperismo per attrarre le frange elettorali finora assistite dai Cinque Stelle. Nella maggioranza, invece, non mancano i rigurgiti statalisti della Destra né il revanscismo di coloro i quali non intendono mettere limiti alla spesa per sanare i debiti residuati da altri governi. Resterebbero Forza Italia, Azione e Italia Viva a sostenere le tesi liberal liberiste, ma contano poco. E allora c’è veramente ben poco da sperare sugli esiti della riforma. Alla fine della fiera…rimetteranno le mani nelle tasche dei contribuenti!!

*già parlamentare

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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