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Nordio: «La legge Severino va cambiata. I condannati in primo grado devono potersi candidare»

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Nordio: «La legge Severino va cambiata. I condannati in primo grado devono potersi candidare»

di Virginia Piccolillo

Il ministro della Giustizia: il traffico d’influenze così non va, è un’intenzione vaga

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Lo scandalo di Bruxelles per Paolo Gentiloni è la più drammatica storia di corruzione degli ultimi anni. Carlo Nordio, come ministro della Giustizia, concorda
«È sicuramente un fatto allarmante. Da autentico garantista attendo l’esito delle indagini. Ma, certo, la flagranza del reato e il possesso di fondi enormi ingiustificati, affievolisce il caposaldo della presunzione di innocenza».

Oltre ai singoli, coinvolge il Parlamento europeo.
«È questa la cosa più brutta. Se verrà accertato occorrerà una riflessione sul modo in cui vengono approvati i provvedimenti. Per capire se è stata un’eccezione o ci sono precedenti nascosti. E far sì che non accada più».

Sì, ma come?
«La ricetta è sempre la stessa: semplificare le procedure e individuare singole competenze e responsabilità. Il groviglio consente a intermediari di intervenire nell’ombra».

Quale lezione possiamo trarre da questa vicenda
«Che la corruzione c’è da sempre, come narrano Cicerone e Lisia. E dappertutto, come dimostrò la vicenda Lockheed, nata in Olanda».

Ma da noi ce n’è di più?
«In Italia è più diffusa e capillare perché facilitata da un potere diffuso. La discrezione sconfina con l’arbitrio che spinge a oliare serrature altrimenti chiuse. La percezione da noi è 10 volte più alta. Non è un caso. A fronte di una media europea, a spanne, di 25mila leggi ne abbiamo 250.000. Più lo Stato è corrotto più sforna leggi».

 

Non insegna anche che le intercettazioni servono ed è pericoloso depotenziarle?
«Al netto di quelle per reati di mafia e terrorismo, che non vanno toccate, la norma va modificata: c’è un problema di divulgazione e uno puramente economico, perché vengono spesi centinaia di milioni che potrebbero essere utilizzati per altro, e producono pochi risultati».

La norma è appena stata modificata in modo restrittivo. Perché non basta
«Se intercettazioni estranee al reato e che coinvolgono fatti privati finiscono sui giornali evidentemente non basta. E poi le intercettazioni devono essere uno strumento di indagine e non una prova».

A Bruxelles sono sui giornali. E non ne è nato un caso. Anzi.
«Per quanto si è capito, lì è esattamente accaduto ciò che è avvenuto a Venezia sul Mose. Anche noi abbiamo utilizzato intercettazioni. Ma la prova erano i soldi trovati».

Ma l’accesso alle notizie è garantito. Qui, dopo la riforma Cartabia, i magistrati rischiano il procedimento disciplinare. Non è eccessivo?
«Non l’abbiamo fatta noi. In effetti il pendolo che ha a lungo oscillato verso la divulgazione forsennata ora è completamente dall’altra parte».

E quindi?
«Va rimodulata la norma per conciliare il diritto all’informazione dei cittadini e quello dei singoli a non veder divulgate notizie segrete e intime che li riguardano. Per ripristinare una par condicio di informazione tra le parti».

Perché non lo fate subito?
«Siamo apertissimi a cercare un punto d’incontro tra diritto all’informazione e limiti alla graticola mediatica. Sono pronto ad aprire un tavolo di confronto tra rappresentanti dell’Anm, dell’avvocatura e del giornalismo, anche domani».

Non è incongruente la stretta sulle intercettazioni e il decreto sui Rave che le prevede per i ragazzi?
«Le intercettazioni non sono obbligatorie. E spero ne facciano poche o affatto».

Non sono troppi sei anni?
«La pena rischiava di essere inferiore a quella per invasione di terreni aggravata. Sarebbe stata una contraddizione».

Con l’allarme appetiti della criminalità sui fondi del Pnrr è il caso di rimettere mano alla legge Severino?
«Abbiamo ricevuto sollecitazione dall’Anci, e l’apertura del Pd, per abolire o modificare radicalmente abuso d’ufficio e traffico di influenze».

Il traffico di influenze non è il primo passo contro la corruzione chiesto dall’Ue?
«Sì, ma l’Ue non ha chiesto una norma inadeguata che manca di tassatività e specificità facendo sì che tutti possano essere indagati ma quasi nessuno condannato. E poi leggendola non si capisce il reato che descrive, c’è solo un’intenzione vaga di punire il lobbismo».

Pensa che invece servirebbe una legge sulle lobby?
«Sì. E poi ci sono altre parti della Severino che non funzionano».

A quali si riferisce?
«Occorre far sì che la norma sull’incandidabilità non venga applicata ai condannati in primo grado».

Cioè tornerebbero candidabili i condannati?
«In primo grado sì. Altrimenti la norma confliggerebbe con la presunzione di innocenza. L’incandidabilita dovrebbe scattare dalla sentenza di appello in poi».

Anche per chi ha commesso reati gravi?
«Su questo si può discutere. Certamente la norma non può essere applicata retroattivamente perché è pur sempre un provvedimento afflittivo, visto che chi è in carica vuole rimanerci. Comunque su questo ci sono idee trasversali diverse. Credo che dobbiamo fare un dibattito trasparente e senza pregiudizi».

Non è stato un errore escludere i reati di corruzione dall’ergastolo ostativo?
«Abbiamo seguito le indicazioni della Corte Costituzionale. In ogni caso una norma così severa va limitata a reati gravissimi».

Lei è tornato a parlare anche di separazione delle carriere. Perché è urgente?
«Non lo è. È un obiettivo a cui tendere. Ma necessita di tempi molto lunghi perché prevede una revisione costituzionale. In questo momento dobbiamo dedicarci a cose meno divisive come l’efficienza della giustizia».

Incontrerà l’Anm che l’ha criticata
«L’ho già incontrata. Queste riforme erano già state anticipate. È stata trascurata la prima parte della mia relazione, proprio quella relativa all’efficienza della giustizia».

Alla luce delle indagini di Bruxelles è il caso di trattare con Paesi a rischio diritti umani, come il Qatar che, a Priolo, è in corsa con gli Usa per acquistare la Lukoil?
«È un problema politico di livello più alto. Non compete al ministro della giustizia».

Ha annunciato interventi sul carcere. Quali?
«Sto cercando di ottenere parte del tesoretto per devolverlo a polizia penitenziaria e usarlo per i detenuti: l’aiuto psicologico a chi è a rischio suicidio e il lavoro. Serve un intervento sulle strutture anche se le risorse sono scarse».

E allora come?
«Con pochi soldi per la ristrutturazione si possono utilizzare le caserme dismesse per detenuti in attesa di giudizio o con reati minori. La migliore socializzazione è il lavoro».

FONTE:

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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