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Attualità

Presentato  a Maddaloni il libro “Il Monolite”, storie di camorra di un giudice antimafia, scritto dal  magistrato Paolo Itri, attuale procuratore della DDA di Napoli.  di Ferdinando Terlizzi

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Presentato  a Maddaloni il libro “Il Monolite”, storie di camorra di un giudice antimafia, scritto dal  magistrato Paolo Itri, attuale procuratore della DDA di Napoli.

 di Ferdinando Terlizzi

Da sinistra: Ferdinando Terlizzi, il magistrato Paolo Itri e la giornalista Lucia Grimaldi

Nell’ambito della rassegna “Ultimo ballo in maschera”, tenutasi presso il Convitto “G. Bruno” di Maddaloni,  tra le altre novità, vi è stata la presentazione da parte della giornalista Lucia Grimaldi   del libro “Il Monolite”, storie di camorra di un giudice antimafia, scritto dal  magistrato Paolo Itri, attuale procuratore della DDA di Napoli, al quale, tra l’altro è stato anche assegnato il Premio alla Legalità 2022 in memoria di Giovanni Falcone.

“Il Monolite”,  ricostruisce decenni di affari criminali, omicidi, tradimenti e arresti: la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, i Bardellino e i Nuvoletta, i temuti casalesi “Sandokan” Schiavone e Bidognetti, per arrivare ai clan feroci e misconosciuti di città ad alta densità mafiosa come Mondragone, Sant’Antimo o Giugliano.

“Nonostante le faide e l’azione della magistratura, boss e affiliati “sembrano riprodursi come formiche”,  scrive Paolo Itri nel risvolto di copertina –  trovando sempre il modo di stringere e poi sciogliere nel sangue nuove e vecchie alleanze.

Il concetto espresso da Itri è stato recentemente confermato dallo storico Isaia Sales che nel suo saggio (Storia delle camorre –Rubettino) ha tra l’altro affermato: ”Perché alla fine ha vinto la camorra. Contrariamente a tutte le previsioni è diventata più potente della mafia e contende il mercato illegale alla ‘ndrangheta”.

Paolo Itri porta alla luce con sensibilità e passione, oltre che una punta di ironia, i drammi e le speranze tradite di una terra devastata dalla camorra, in cui la macchina della giustizia arranca, appesantita da contraddizioni e ipocrisie, ma anche, talvolta, da incomprensibili inefficienze e veleni interni. E tra le indagini di una carriera in prima linea spicca quella sul Rapido 904 del 1984, una strage che sembra anticipare la successiva strategia terroristica di Cosa Nostra, una prima “trattativa” a suon di bombe nella quale potrebbero aver avuto un ruolo anche esponenti della camorra e della banda della Magliana.

“Dopo ventotto anni di magistratura  – mi ha detto cordialmente nel corso della kermesse alla quale ho preso parte da inviato per “Cronache” –   quest’opera nasce da un’esigenza interiore. Rappresenta un grido di dolore e una denuncia delle inefficienze, dei disservizi, dell’ingiustizia e dell’ipocrisia di fondo che gravano sulla macchina giudiziaria nel nostro Paese. Oltre che una testimonianza di quanto difficile e a volte doloroso possa essere il mestiere del magistrato. Una sola cosa accomuna le storie che racconto: tutte grondano di sangue e di sofferenza”.

 Leggendo il libro di Paolo Itri ho appreso particolari di camorra per me inediti – nonostante la mia lunga milizia di cronista giudiziario. I capitoli che più mi hanno coinvolto sono stati quelli che l’Autore ha dedicato alla scandalo della Italgest, la società che faceva capo al senatore Umberto Chiacchio e al figlio Eduardo. A pagare nel crac da 100 miliardi di vecchie lire fu il figlio del senatore che venne condannato a 5 anni di reclusione (si rifiutò di fare appello) e venne arrestato nel 2003. Ma aveva già pagato il magistrato perché partirono da allora le minacce a lui dirette e si temette per l’incolumità dei suoi cari ed in quella occasione gli venne infatti assegnata (1996) una macchina blindata e la  scorta.

Andando avanti “Il Monolite”, (Edizioni Piemme – Ottobre 20129, prefazione di Enzo La Penna) prima di trattare l’omicidio eccellente di Mario Iovine e quello dell’attentato al rapido 904, descrive in modo inedito e singolare nel  capitolo “Il drago di Mondragone”,  la storia del killer “Gimmi”, Girolamo Rozzera, responsabile di quasi tutti gli omicidi del clan di Augusto La Torre. Nella circostanza (2003) il magistrato Paolo Itri venne chiamato dal coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Felice Di Persia (passato alla storia per essere stato un accusatore di Enzo Tortora. Quando fu eletto al Csm dopo aver condannato Tortora, l’allora presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si rifiutò di stringergli la mano) per affiancare Raffaele Cantone nelle indagini sui casalesi del gruppo di Mondragone.

Sull’assassinio di Mario Iovine (Cascais -1991) il libro spiega che ad uccidere il boss fu un gruppo di malavitosi spagnoli gravitanti nel mondo della droga, legati al boss Nunzio De Falco, il cui fratello Vincenzo, detto  ‘o fuggiasco, appena un mese prima (febbraio -1991) era a sua volta caduto vittima di un agguato mafioso avvenuto a Casal di Principe.

Infine, chi si faccia a leggere il libro di Paolo Itri,  rivivrà anche la tragica storia di “Un misterioso attentato”, quello del 23 dicembre 1984 al treno Rapido 904 partito dal binario numero 11 della stazione ferroviaria di Napoli Centrale con destinazione Milano.  Alle 19.08, in corrispondenza della grande galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, il convoglio si trova circa all’altezza del km 44,500 da Firenze quando all’interno di una delle carrozze avviene una spaventosa esplosione che ne arresta bruscamente e tragicamente la corsa.  Delle seicento persone presenti sul convoglio, quindici perdono la vita, mentre un altro viaggiatore, Gioacchino Taglialatela, morirà da lì a qualche mese in conseguenza delle ferite riportate e altre 267 persone subiranno lesioni di varia gravità.

Il primo processo sulla strage del Rapido 904 venne istruito dal procuratore Piero Luigi Vigna. Una storia di intrecci tra camorra napoletana, mafia siciliana, estremismo di destra e banda della Magliana. Due i gruppi malavitosi sotto accusa: quello dei napoletani, legati al boss della Sanità Peppe Misso, e quello dei mafiosi siculo-romani, facente capo a Pippo Calò il cassiere di Cosa Nostra, capomandamento di Porta Nuova, fedelissimo dei corleonesi di Totò Riina.

“Dopo alterne vicende processuali – chiarisce Paolo Itri nel suo lavoro – alla fine i napoletani se ne escono fuori dal processo con una sentenza di assoluzione, mentre invece nel marzo del 1992 i componenti della cellula siculo-romana, formata da Pippo Calò, Guido Cercola, Franco Di Agostino e Friedrich Schaudinn, vengono riconosciuti colpevoli e condannati dalla Corte di Assise di appello di Firenze. Giuseppe Misso (a cui da sempre viene affibbiato il significativo soprannome di O’ fascista) e l’ex parlamentare missino Massimo Abbatangelo, pur venendo assolti dal delitto di strage, vengono però condannati per il reato di detenzione e porto di esplosivi”.

 

 

 

 

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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