Il Quirinale ha “i fari accesi” sulla riforma penale firmata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia: in questa fase i dubbi del presidente Sergio Mattarella si riversano sulla norma che darebbe al Parlamento il potere di “indicare i criteri generali agli uffici dei pubblici ministeri” sui reati prioritari da perseguire. Ed è sulla base di queste indicazioni dettate dal potere legislativo a quello giudiziario che i procuratori dovrebbero scrivere i loro progetti organizzativi annuali che confluiscono al Csm. Ma la legge ordinaria prevista dal ddl, ragiona il Quirinale, non deve entrare in contrasto con la Carta. Cioè: se la politica vuole indicare ai magistrati quali siano i reati prioritari su cui indagare non può farlo in opposizione all’articolo 112 che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. Se il Parlamento decide che per un certo anno si debba indagare prioritariamente sui reati sessuali, questo non significa, per esempio, che si smetta di fare indagini sulla corruzione. C’è anche da salvaguardare l’articolo 107 della Costituzione secondo il quale i magistrati sono divisi solo per funzioni: pm e giudici. L’Italia non ha rappresentanti dell’accusa che dipendono dal potere politico.Una seria preoccupazione del Quirinale dettata dalla consapevolezza di Mattarella che è stato giudice della Corte costituzionale. E ora ricopre la doppia veste di presidente della Repubblica e presidente del Csm.

E pensare che pure la Guardasigilli conosce benissimo la Costituzione, dato che Marta Cartabia è stata presidente della Consulta fino all’anno scorso. In effetti se fosse stato per la ministra, dicono fonti di via Arenula, questa norma non l’avrebbe inserita. È stato un cavallo di battaglia del presidente della commissione tecnica, anche lui ex presidente della Consulta, Giorgio Lattanzi, ma a impuntarsi e a farla inserire negli emendamenti della ministra è stato il centrodestra di governo, che detta la linea. Ora la leggera attenuazione della norma, rispetto al testo Lattanzi, è più forma che sostanza. Quanto agli altri punti critici, a cominciare dalla prescrizione, il Quirinale per ora sta a guardare: aspetta di vedere che testo approderà in Aula, alla Camera.

Sulla riforma penale sono in subbuglio anche i consiglieri togati del Csm. Nessuna dichiarazione ufficiale, ovviamente, ma i consiglieri eletti dai magistrati sia in quota pm sia in quota giudici sono d’accordo nel demolire il “pastrocchio” della prescrizione che non farà mai concludere, ci dicono in diversi, processi anche importanti, negando giustizia ai cittadini. Spiega un togato: “È solo pubblicità dire che con le nuove assunzioni si potrà fare un Appello in due anni. Non si tiene conto della mole di arretrati e del fatto che anche se si fa un concorso adesso, i nuovi magistrati assunti saranno operativi fra tre anni”. Nel frattempo la competente Sesta commissione si appresta a scrivere un parere negativo e alcuni consiglieri vogliono mettere nero su bianco che così si vanifica il lavoro dei magistrati. Ma se per i togati c’è sostanzialmente unanimità di critica, con differenze sui toni da usare, il rebus sono i consiglieri laici, cioè indicati dal Parlamento. In grande imbarazzo i laici di FI e Lega, che non vogliono criticare Cartabia, quindi il governo. L’obiettivo della Sesta, comunque, è quello di concludere il parere in tempo perché venga discusso dal plenum del Consiglio di mercoledì della settimana prossima per non arrivare troppo tardi.