Da un trattamento apocrifo di Alberto Donaudy. Una moglie, la cui sensualità è l’esasperazione di una noia inesauribile, è a letto con l’amante. Il marito, tenente dei Dragoni, è lontano, impegnato in manovre. Mentre l’amante sta esponendo certe sue idee anarchiche (“La donna appartiene non all’individuo, ma alla collettività!”), si odono due o tre colpi precipitosi alla porta. “Signora! Signora!” grida la cameriera. “Sta arrivando il signor tenente. Riconosco i fanali”. L’anarchico balza a terra da una parte del letto, indossa il necessario e scappa con il resto fra le mani: è arrivato chi comanda. La signora, simultaneamente, balza dall’altra, rincalza le coperte, rassetta i guanciali.

La cameriera ha scorto dall’alto del terrazzo l’auto del padrone lungo l’erta del colle, come le ancelle di altri tempi distinguevano il destriero e l’armatura del re dall’alto del maniero, mentre la regina e il paggio si consolavano delle lunghe vigilie. Il tenente guida la Bugatti nel garage e sale in camera, trovando la moglie che si sta pettinando in négligé davanti allo specchio. “Amore!” esclama lei, sbarrando gli occhi alla silhouette riflessa del consorte. Posa la spazzola, si alza con risolutezza e gli va incontro sorridendo. Allaccia le braccia nude intorno alla testa fredda del marito, e lo bacia sotto i neri baffoni spioventi alla Federico Nietzsche. “Sei gelato!”. “Doccia bollente e poi a dormire. Sono stanco”. “Ti faccio preparare un caffè?”. “Meglio un whisky”, dice lui, posando la pistola sul comodino. Siede a bordo talamo, lascia cadere uno stivale, poi l’altro. “Ma tu eri già a letto?” le domanda, con l’espressione severa del giudice che, fidandosi più della propria intuizione che delle prove, ha già in mente la condanna. La donna esita, prima di rispondere. Dà un’occhiata al letto ricomposto, apparentemente incontaminato, e dice: “No”. Il tenente va in bagno. “Ma che stupida!” pensa adesso la donna, più pallida del solito. “Mi sono rovinata! Sentirà le lenzuola ancora calde… Non potevo dirgli che ero a letto? Geloso com’è, capirà subito… Come potrò negare?”. Versa un whisky anche per sé. “Mi uccide, stavolta mi uccide”. Quello esce in accappatoio, asciutto e rinfrancato: “Sono arrivato con un giorno di anticipo perché sono partito subito dopo le esercitazioni. Contenta?”. “Lo sai. Il tuo whisky”. Bevono guardandosi negli occhi.

La gelosia lo rendeva così sospettoso che in ogni sfumatura trovava gli indizi di una possibilità di inganno. Provvisto di un temperamento da poliziotto, aiutava gli amici a scoprire l’infedeltà delle mogli: con la sua sensibilità morbosa, al semplice sguardo e dal tono della voce capiva se una donna era fedele o adultera. Avrebbe dedotto senza indugio che in quelle lenzuola ancora tiepide era avvenuto qualcosa. Per cui è indecisa: gettarsi a terra fingendo una crisi isterica, fuggire seminuda, o sparargli una rivoltellata prima che gliela spari lui? Il marito poggia il bicchiere accanto alla pistola, si toglie l’Hppatoio e indossa il pigiama di seta. Quindi sprimaccia il cuscino e si allunga sotto le coltri. Lei, per nascondere il viso devastato dalla paura, si scioglie i capelli. Certamente non ha più di dieci secondi di vita. Tremando, solleva gli occhi verso… Oh, questa poi! Il baffo sta sorridendo! Le dice: “Tesoro, che pensierino delicato hai avuto. Hai fatto un po’ di nanna, prima, per scaldarmi il letto, vero? Sono piccole attenzioni alle quali arrivi solo tu. Come hai fatto a indovinare che sarei arrivato proprio stasera”?”. La donna sbalordisce, ma subito si ricompone, per indirizzare al marito il più casto dei suoi sorrisi: “Ti ho atteso tutte le sere, amore. E tutte le sere ti ho scaldato il letto così”.