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Il Racconto, Lord Hamilton e sua moglie Emily Lyon

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Il nostro autore narra con sagacia pene, disegni e aspirazioni di Lord Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli

di Lucio Sandon

Napoli, residenza dell’ambasciatore del Regno Unito. Giugno 1740.

Naturalmente, chi dispone di tempo, di senso pratico e di danaro può accomodarsi anche qui con larghezza e soddisfazione.

È il caso di Hamilton, che s’è fatto qui un gran bel nido e ne gode sul declinare dei suoi giorni. Le sue stanze, che ha fatto arredare secondo il gusto inglese, sono deliziose, e da quella d’angolo la vista può dirsi senza uguali: ai nostri piedi il mare, di fronte Capri, a destra Posillipo, sul fianco la passeggiata della Villa Reale, a sinistra un vecchio palazzo dei Gesuiti e, più lontano, la costa di Sorrento fino al Capo Minerva.

Così Goethe descriveva le stanze dell’appartamento di Palazzo Sessa, costruito in amabile posizione alle pendici del monte Echia.

In verità, e lord William lo sapeva bene, Johann Wolfgang si recava a fargli visita non tanto per ammirare la vista del golfo, ma principalmente per godere degli spettacoli allestiti da lady Emma nella sala principale del suo palazzo.

Il pezzo forte della sceneggiatura, quello maggiormente apprezzato sia dal drammaturgo che da tutti gli altri ospiti di sesso maschile, erano, per onor del vero, soltanto gli ampi e generosi scorci denudati del corpo candido e perfetto dell’ambasciatrice.

Mentre il “povero Billy” osservava distrattamente il panorama dalla finestra ad angolo del suo studio, la sua signora era proprio impegnata in uno dei suoi strip-tease culturali nel salone principale del palazzo.

Lord Hamilton, da parte sua, non era un uomo di carattere particolarmente geloso o collerico, ma quella strana forma di spettacolo cominciava a dargli leggermente sui nervi.

Guardava la costiera lontana, ma il suo sguardo era concentrato su un moscone che, intrappolato in casa, cercava di riguadagnare la libertà ronzando e sbattendo impazzito contro il vetro della finestra.

Si sentiva proprio come quel moscone: bloccato in una situazione priva d’uscita.

Con un sospiro si alzò dalla scrivania e andò ad aprire la finestra, donando la libertà all’insetto, che scomparve ronzando nel cielo.

L’ambasciatore tornò al suo posto di lavoro e gli occhi tornarono a cadergli sulle righe scritte dal famoso poeta tedesco circa la sua casa.

Di senso pratico ne aveva William Hamilton, quello che gli mancava era il tempo e soprattutto il denaro, ma quello aveva buone prospettive di guadagnarne una montagna.

Se fosse stato così, si sarebbe potuto finalmente togliere la soddisfazione di mandare al diavolo quella sgualdrina e anche il suo amico ammiraglio, di lasciare il lavoro di diplomatico, del quale non poteva più, e partire alla buon’ora per quel viaggio senza fine verso le Indie, avventura che sognava ormai da troppo tempo.

Un discreto colpetto alla porta lo fece trasalire: stava aspettando la visita, ma si era talmente compenetrato nelle sue fantasie da dimenticarsi di dove fosse e del problema che doveva risolvere.

Michael Higgins, il fulvo addetto militare dell’ambasciata inglese, era in borghese, ma si muoveva ugualmente come se avesse in testa il berretto del reggimento dei Blues & Royals, al quale apparteneva.

Rigido nei movimenti, invece di salutare scattò sull’attenti davanti a lord Hamilton, che lo ricambiò con uno sbuffo seccato e con il cenno di sedersi alla scrivania.

Il militare dai capelli rossicci divenne dello stesso colore anche in viso: sembrava che le vene del collo stessero sul punto di scoppiargli per l’imbarazzo.

«Dunque, colonnello?»

«Signor ambasciatore, lord Ham…»

«Lasci perdere, Mike. Si sieda e veniamo al sodo!»

Mike si accomodò sulla poltroncina di broccato, muovendosi come se avesse ingoiato un manico di scopa e poi fosse stato immerso nell’amido.

«Mi scusi, eccellenza, le notizie non sono buone».

Si interruppe con un sospiro, guardandosi intorno come percercare una via di fuga, ma gli occhi feroci del suo superiore lo inchiodavano alla sedia.

«I nostri militari in borghese si sono recati nel luogo indicato dalla pergamena sequestrata dai colleghi in madrepatria, ma giunti sul posto hanno scoperto che, ai piedi della città di Cosenza, ci sono quattro piccoli fiumi che si uniscono due a due tra loro. I luoghi sono molto impervi e selvaggi e immaginare di deviare il corso di uno solo dei quattro corsi d’acqua senza un’indicazione precisa sarebbe un lavoro sovrumano. Chiunque tentasse un’impresa del genere avrebbe necessità di centinaia di operai con attrezzature adeguate, quindi non passerebbe sicuramente inosservato e, con ogni probabilità, tutto il lavoro sarebbe anche perfettamente inutile».

«Quindi, secondo lei, sarebbe un’impresa impossibile da portare a termine

«Impossibile è una parola sconosciuta ai granatieri di sua maestà. Potrebbe però risultare un lavoro estremamente difficile, se non si dispone di un progetto con le indicazioni precise su dove scavare. Con quelle, un gruppo di genieri bene addestrati e forniti delle attrezzature più moderne, potrebbe riuscire a recuperare quello che cerchiamo nel giro di un paio di settimane di lavoro. Sempre che si riuscisse a tenere a bada le turbe di monelli e sfaccendati che verrebbero subito a mettersi tra i piedi: si tratta di una cittadina di medie dimensioni, tutta affacciata verso i fiumi. Naturalmente si dovrebbe portare a termine il lavoro prima che le autorità locali intervengano sul posto e vogliano sapere cosa stia succedendo».

Higgins si interruppe per un momento e per una frazione di secondo i suoi occhi incrociarono quelli dell’ambasciatore.

«Ehm, se non sono troppo indiscreto, posso permettermi di chiedere cosa stiamo cercando?»

Mentre continuava a parlare, il tono del militare si era fatto un po’ più tranquillo e il suo colorito cominciava a perdere le tonalità più paonazze.

«Bene, Mike, si tratta di un’opera d’arte molto importante, una scultura d’oro massiccio, nascosta dai predoni molti anni fa. Il nostro amato sovrano ci terrebbe molto al suo recupero».

«A proposito di predoni, milord…»

Il viso dell’uomo stava ritornando ad assumere una bella tonalità di porpora scuro.

«Colonnello?»

«I nostri militari erano quattro Lilywhites della guardia reale, scelti tra i graduati più fidati e addestrati nel combattimento corpo a corpo. Ehm… Purtroppo sono stati aggrediti a tradimento da una grossa banda di briganti, mentre tornavano da quelle terre desolate».

«E quindi?»

«Un morto e un ferito grave».

«E gli altri due?»

«Spogliati, letteralmente. Sono tornati a piedi, in mutande e senza scarpe. Per loro fortuna, visto che non si sono presentati puntuali all’appuntamento, dopo un giorno siamo andati a cercarli con un contingente armato e in divisa: i militari borbonici hanno brontolato un po’, ma ci hanno fatto passare».

«E dov’erano, gli idioti?»

«Li abbiamo trovati che si nascondevano nei boschi a sud di Salerno: portavano il loro commilitone ferito sulle spalle, a turno, dopo avere sommariamente seppellito il defunto».

«E la pergamena?»

«I briganti hanno portato loro via ogni cosa. Ai vivi e anche al morto».

L’ambasciatore ebbe un moto di stizza: la missione, che doveva rimanere riservatissima, era andata a rotoli: non solo i militari non avevano individuato il luogo dove avrebbe dovuto essere sepolto Alarico con il suo oro, ma quei dementi si erano fatti anche rubare la mappa. Meno male che era solo una copia anonima, senza alcun riferimento, e quegli animali di briganti, ignoranti e analfabeti non ne avrebbero tratto alcuna utilità. Però che sfortuna!

«E naturalmente chi dovrà riferire di tutta la triste vicenda al ministro, sarà il sottoscritto! Accidenti a me e a quando ho accettato questo dannato lavoro! Voglio almeno sperare che i superstiti si ricordino i luoghi che hanno visitato.»

«Adesso è assolutamente indispensabile trovare il pezzo mancante della mappa, quello dove ci sono i disegni precisi del luogo della sepoltura», pensò lord William, voltando le spalle al suo sottoposto.

«Bene Mike, e cosa ne dice di questa storia il prode ammiraglio mandato qui da Londra per illuminare le nostre menti?»

«Non sa ancora nulla di quanto è successo in Calabria. Io so solo che si trova qui a palazzo, ad assistere a uno spettacolo che mi dicono interessante.»

Il volto dell’ufficiale aveva nuovamente raggiunto una sfumatura di colorito che virava verso l’apoplettico, e teneva gli occhi bassi in attesa della sfuriata dell’ambasciatore, che non tardò a giungere.

«Maledizione! Sono circondato da una manica di pazzoidi libertini e incompetenti!»

Lord Hamilton fulminò con uno sguardo il suo collaboratore.

«Si tolga di torno immediatamente, Mike. Ah, e non si permetta  di entrare nel mio salone, o la faccio trasferire subito nelle colonie americane!»

Il colonnello Higgins si alzò di scatto, e rigido così com’era entrato, lasciò la stanza, non senza un saluto militare e un batter di tacchi che fecero nuovamente trasalire lord William.

Dopo avere snocciolato sottovoce una serie di improperi diretti genericamente e indistintamente a sé, ai famigliari più stretti, ai collaboratori incapaci, alla corona regnante e anche alla stessa divinità che lo aveva creato, Hamilton si avvicinò nuovamente alla finestra.

La giornata volgeva al termine, ma il sole basso sull’orizzonte si poteva solo intuire, perché i suoi raggi erano offuscati dagli ammassi di nuvole nere portati dal mare verso la terraferma, sulle ali del vento di libeccio.

Tra poco, appena la brezza si fosse calmata, avrebbe iniziato a piovere, ma in quel momento non era certo un po’ di pioggia quello che preoccupava la mente di sir William, mentre il suo sguardo si posava sulla spiaggia di San Giovanni a Teduccio, seminascosta dalla lussureggiante vegetazione, e sulla fortezza che la difendeva.

 

Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio. Appassionato di botanica, dipinge,  produce olio d’oliva e vino, per uso famigliare.

Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno” ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto Cuori sui generis” 2019.

Sempre nel 2019 il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno.

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