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Come un dito nel culo – III e IV capitolo

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di Giovanni Renella

Capitolo III

La rivelazione di Alfredo Calabrese provocò nel commissario Iezzo una sensazione di fastidio che, anche volendo, il poliziotto non avrebbe saputo descrivere con precisione.

Nel frattempo l’infermiere aveva ripreso il racconto.

«Tutto inizia nello studio del dottor Luigi Galasso, chirurgo urologo –precisò Alfredo-. Dopo aver eseguito un’accurata esplorazione digito-rettale, Galasso diagnostica un preoccupante ingrossamento della prostata e prescrive, alla vittima di turno, il dosaggio del PSA, indirizzando il paziente presso un laboratorio di analisi di sua fiducia: ed è lì che entra in gioco il complice della truffa, il dottor Felice Buondonno. L’analista, certificando con analisi fasulle i valori anomali dell’enzima dell’antigene prostatico specifico, conferma i falsi sospetti dell’urologo e rimanda il malcapitato da Galasso; quel grandissimo figlio di puttana dell’urologo effettua, allora, un’ecografia prostatica trans-rettale, ne altera il risultato e diagnostica al povero paziente un carcinoma che non ha e il gioco è fatto: il paziente è convinto di essere in pericolo di vita a causa di un tumore maligno alla prostata, come poi sarà confermato da un altrettanto falsa biopsia.»

Il dettagliato racconto di Calabrese, che evidenziava una notevole padronanza della materia, ottenne l’effetto di catturare l’attenzione del commissario Iezzo, che l’ascoltava senza interromperlo.

«A questo punto – proseguì l’infermiere- il paziente è completamente in balìa del dottor Galasso e pende dalle sue labbra per ogni passo successivo, sorretto emotivamente dall’unica speranza di essere ancora in tempo per rimuovere il carcinoma. Così l’opportunità che gli è offerta dall’infamone, di essere operato in una clinica privata nel giro di una settimana, appare alla povera vittima come un’occasione unica da cogliere al volo, e pazienza se ci sarà da sborsare un bel po’ di soldi. Ora, provate a pensare al moltiplicarsi di questa truffa ai danni di una decina di pazienti al mese – disse Calabrese stimolando il commissario ad effettuare un rapido calcolo – Si tratta di centinaia di migliaia di euro all’anno, che si dividono quei due bastardi di Galasso e Buondonno.»

Iezzo approfittò della pausa di Calabrese per provare a mettere mentalmente a posto i tasselli del puzzle che aveva visto comporsi davanti ai suoi occhi, ma c’era ancora qualcosa che non quadrava.

Non riusciva a capire, e non era cosa da poco, come avesse fatto Calabrese a sapere della truffa messa su dai due medici; però l’interrogativo che gli arrovellava il cervello era un altro:  perché Calabrese gli aveva confidato il tradimento della moglie Giovanna con Luigi Galasso?

Qual era il nesso con la truffa?

Capitolo IV 

Erano da poco passate le ventitré di quell’insolito venerdì sera e il commissario Iezzo, che era digiuno dalla mattina, provò a chiamare il bar per farsi portare un paio di cappuccini e qualcosa da mangiare.

Al quinto squillo, mentre stava ormai per riattaccare, una voce di donna, resa rauca e sensuale dal troppo fumo di sigarette, gli rispose.

Mezzora dopo, Iezzo e Calabrese, rifocillati con ciò che era venuto su dalla caffetteria, avevano ripreso a fumare con maggior gusto.

«E da quanti anni andrebbe avanti questa presunta truffa?», chiese il commissario all’infermiere.

«E no, Commissà – sbottò risentito Alfredo Calabrese alzando il tono della voce – lei non mi può parlare di presunta truffa: questo è un inganno, un raggiro, una fregatura in piena regola a danno di centinaia di poveri cristi!»

«Calabrese, non si alteri; – replicò pacato Iezzo – fino ad ora, però, non mi ha fornito, non dico uno straccio di prova, ma neanche un indizio che possa confermare ciò che mi ha raccontato e farmi avviare un’indagine. Lei ha parlato di visite fasulle e false analisi finalizzate ad eseguire costosi interventi chirurgici su pazienti sani. Chiama in causa due professionisti della sanità, di cui uno, per sua ammissione, si è portato a letto sua moglie, e io non devo essere cauto e parlare di presunta truffa? Perché non dovrei pensare che si è inventato tutto solo per vendicarsi del tradimento subìto? Andiamo, Alfredo, converrà anche lei che è un po’ difficile credere a questa storia.»

Alfredo Calabrese fece per alzarsi di scatto dalla sedia, ma Iezzo, che lo sovrastava in statura di non pochi centimetri, sporgendosi dal suo lato della scrivania, allungò un braccio e gli posò una mano sulla spalla destra, costringendolo a restare seduto.

Il commissario immaginava che Calabrese, provocato dalle sue insinuazioni, avrebbe reagito scompostamente; ma quella reazione era ciò che si aspettava a conferma della credibilità di quanto ascoltato fino ad allora.

Un diverso atteggiamento gli avrebbe fatto dubitare della attendibilità dell’infermiere.

«Calma, Alfredo, – riprese Iezzo – serafico, cercando di tranquillizzare Calabrese –non sto dicendo che non le credo, ma ho bisogno che lei mi dia qualche riscontro a sostegno di ciò che mi ha detto.»

I nervi dell’infermiere cominciarono a rilassarsi e anche le vene del collo, che un minuto prima sembravano sul punto di esplodere, si sgonfiarono un po’ alla volta.

Arrotolando l’ennesima sigaretta, Calabrese stava recuperando la calma persa pochi minuti prima, mentre Iezzo, avvicinando il fiammifero acceso al toscanello, si era convinto che la moglie di Alfredo rappresentasse la chiave di volta necessaria per comprendere ciò che stesse accadendo.

E proprio da Giovanna Donati, suo marito Alfredo provò a riprendere la narrazione; non prima, però, di aver estratto dalla tasca il suo iPhone e aver mostrato al commissario alcune foto della moglie.

Le immagini ritraevano una donna sui quarant’anni, di media statura, i capelli bruni e un paio d’occhi verdi  dal taglio orientale, le labbra carnose e la silhouette sinuosa: da tempo a Iezzo non capitava di vedere una donna così bella e sensuale!

«È bellissima Giovanna, vero commissario?» –chiese retoricamente Calabrese; e senza attendere una risposta di assenso, di cui neanche aveva bisogno vista l’evidente bellezza della donna, proseguì – «E quella chiavica di Luigi Galasso se l’è scopata!»

Fra i due calò il silenzio, poi Alfredo riprese.

«Giovanna ha il diploma di ragioniera e ha sempre lavorato. Mentre era impiegata altrove, un anno fa ha ricevuto una proposta di lavoro meglio retribuita da un centro diagnostico polispecialistico ed è stata assunta come contabile: lì ha conosciuto il dottor Galasso!»

 (continua…)

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Nato a Napoli nel ‘63, agli inizi degli anni ’90 Giovanni Renella ha lavorato come giornalista per i servizi radiofonici esteri della RAI. Ha pubblicato una prima raccolta di short stories, intitolata  “Don Terzino e altri racconti” (Graus ed. 2017), con cui ha vinto il premio internazionale di letteratura “Enrico Bonino” (2017), ha ricevuto una menzione speciale al premio “Scriviamo insieme” (2017) ed è stato fra i finalisti del premio “Giovane Holden” (2017). Nel 2017 con il racconto “Bellezza d’antan” ha vinto il premio “A… Bi… Ci… Zeta” e nel 2018 è stato fra i finalisti della prima edizione del Premio Letterario Cavea con il racconto “Sovrapposizioni”. Altri suoi racconti sono stati inseriti nelle antologie “Sette son le note” (Alcheringa ed. 2018) e “Ti racconto una favola” (Kimerik ed. 2018).

 

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(Tonia Ferraro – http://www.lospeakerscorner.eu – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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