Il magistrato – “Si vuole risolvere il problema con norme che liberano gente pericolosa” di Antonella Mascali

Decreto carceri, Sebastiano Ardita: “Indulti nascosti: sarà una valanga di sconti di pena”
Il magistrato – “Si vuole risolvere il problema con norme che liberano gente pericolosa”
Di Antonella Mascali
Procuratore Ardita, in Parlamento sono approdati il decreto Carceri e il ddl sulla liberazione anticipata speciale. Chi vuole il “liberi tutti” usa i terribili suicidi in carcere e il sovraffollamento per farlo approvare. Lei è stato direttore dell’ufficio detenuti al Dap, cosa ne pensa
La questione è una matassa imbrogliata rispetto alla quale chi ci mette mano rischia di complicarla ancor di più. Esiste un problema di qualità della vita in carcere, uno di precarietà delle strutture, un terzo di sicurezza e agibilità del personale. Chiunque pensi di affrontarli separatamente o in modo ideologico non risolve il problema, e mette a rischio la sicurezza della società. Finisce per essere indirettamente il responsabile dei morti dentro – prodotti dalla condizione di inciviltà delle carceri – o dei morti fuori, frutto di affrettate scarcerazioni di personaggi pericolosi per risolvere il suo affollamento.
Ma le scarcerazioni le decidono i giudici, come quella di Salvatore Raimondi, condannato per il sequestro di Tommaso Onofri…
Ci sono, però, scarcerazioni che sono frutto di interventi legislativi, quindi di scelte politiche, come la liberazione anticipata speciale o gli indulti.
Con il ddl Giachetti ci sarà un “liberi tutti”?
Il testo che ho esaminato non prevede l’esclusione del beneficio per i mafiosi. E sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica. Ma sarebbero scarcerati anche altri detenuti pericolosi, senza nessuna valutazione sulla concreta pericolosità. Si assiste a una crescita esponenziale delle pene edittali da un lato e dall’altro a una sistematica demolizione degli effetti concreti della pena. La liberazione anticipata è stata trasformata in uno sconto di pena automatico, che prescinde dal cambiamento reale della persona. Una sorta di 6 politico che si accompagna all’autogestione delle carceri.
Da cosa dipende l’invivibilità che porta alle proteste violente o ai suicidi in questi ultimi dieci anni?
Da due fattori collegati: avere abbandonato il carcere all’autogestione dei detenuti, o meglio, alla gestione dei capi bastone, aprendo le celle, e la rinuncia dello Stato al prendersi cura dei reclusi. L’autogestione ha prodotto sofferenza negli stessi detenuti, oltre che reati. Le statistiche ci dicono che si sono moltiplicati i casi di autolesionismo e di suicidio e si sono intensificati i reati di ogni genere. In passato i penitenziari erano stazioni di controllo dei tossicodipendenti e cercavano di curarli con progetti ad hoc. Oggi le carceri, grazie all’autogestione degli spazi, sono diventate piazze di spaccio. I gruppi mafiosi si dividono il mercato e vendono potenzialmente a chiunque sia recluso la sostanza stupefacente. È evidente che così sfugge di mano il fenomeno dei suicidi.
Se la soluzione non è lo “svuotacarceri”, qual è la strada per avere carceri civili e sicurezza per i cittadini?
Il governo avrebbe facilità ad affrontare la questione partendo da un’analisi approfondita di come si sia potuto arrivare a questo disastro di mancanza di controllo delle carceri e di assistenza. E invece rinuncia all’analisi e subisce la pressione politica di chi vorrebbe risolvere il problema con indulti mascherati che farebbero uscire, come detto, anche personaggi pericolosi. La sicurezza è compromessa dal disagio della popolazione detenuta, che non dipende solo dal sovraffollamento, ma da una mancanza di equilibrio tra assistenza individuale, trattamento e sicurezza che può avvenire solo nel rispetto della legge.
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GIUSTIZIA & IMPUNITÀ
Giudici e pm rischieranno il posto in base all’esito dei provvedimenti: la bozza di Nordio realizza i piani “punitivi” di Cartabia e Costa
di Paolo Frosina | 25 AGOSTO 2023
Valutazione dei magistrati basata sulla conferma (o meno) dei loro provvedimenti, voto degli avvocati sulla loro professionalità, stretta sui fuori ruolo collocati nei ministeri e negli altri enti pubblici. La bozza di decreto attuativo della riforma dell’ordinamento giudiziario, partorita da un gruppo di lavoro di 26 esperti nominato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, conferma l’impianto “punitivo” della delega approvata dal Parlamento a giugno 2022, su input dell’ex Guardasigilli Marta Cartabia. In particolare per quanto riguarda il “fascicolo per la valutazione del magistrato“, una nuova sezione del fascicolo personale di giudici e pm istituito presso il Consiglio superiore della magistratura, nella quale saranno inseriti dati e documenti necessari per valutare “il complesso dell’attività svolta, compresa quella di natura cautelare”, “la tempestività nell’adozione dei provvedimenti”, “la sussistenza di gravi anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi“. Il documento dovrà essere tenuto in considerazione dal Csm nel compilare le valutazioni di professionalità, a cui tutti i magistrati sono sottoposti a intervalli regolari per garantirne l’idoneità lavorativa: con due valutazioni negative di fila, infatti, la radiazione è automatica. L’introduzione del fascicolo nel disegno di legge delega è frutto dell’approvazione di un emendamento presentato da Enrico Costa, deputato di Azione noto per le sue iniziative anti-pm, ed è una delle principali ragioni che spinsero l’Anm (il sindacato dei magistrati) a indire una giornata di sciopero.
Secondo le toghe, infatti, l’effetto sarà quello di “burocratizzare la magistratura, di gerarchizzare i singoli magistrati, di renderli attenti soltanto ai numeri e alle statistiche piuttosto che a rendere giustizia“, come diceva in un’intervista al Fatto il pm antimafia Nino Di Matteo. Avvertendo sui rischi: “Il pm sarà disincentivato a condurre indagini che portano alla celebrazione di processi il cui esito non è scontato. Il pm perfetto sarà quello che si limiterà a esercitare l’azione penale nei casi di assoluta evidenza della prova, magari solo nei casi di flagranza del reato o confessione del reo”. Il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, pronosticava che la riforma avrebbe prodotto “una coltre di conformismo giudiziario: giurisprudenza sclerotizzata, magistrati impauriti per evitare guai di carriera. Sai qual è l’orientamento della corte d’Appello? Fai una sentenza che piacerà. Conosci la giurisprudenza della Cassazione? Ti adegui. E ti costruisci un fascicolo immacolato”. Su questo aspetto per la verità la bozza prova a scongiurare il rischio, precisando che il rigetto delle richieste di un pm o la riforma delle decisioni di un giudice sono “indice di grave anomalia” soltanto “ove assumano (…) carattere di marcata preponderanza e di frequenza rispetto al complesso degli affari definiti dal magistrato”; e che in ogni caso non costituiscono gravi anomalie “la riforma del provvedimento o il rigetto della richiesta determinata dalla decisione del magistrato motivata in difformità dal consolidato orientamento giurisprudenziale, che pure abbia dimostrato di conoscere e col quale si sia confrontato”. Una postilla che fa imbestialire Costa: “Bisognerà sballare almeno sessanta processi su cento”, si sfoga col Dubbio, denunciando un tentativo di “neutralizzare gli effetti della riforma”.
Per il resto, la bozza dello schema di decreto legislativo introduce – confermando il contenuto della delega – il voto degli avvocati nei Consigli giudiziari, gli organi ausiliari locali nel Csm, sui pareri che vengono trasmessi a Roma per fondare le valutazioni di professionalità dei magistrati: per esprimerlo basterà che il Consiglio dell’Ordine del foro locale abbia fatto una segnalazione formale di “fatti specifici, positivi o negativi, incidenti sulla professionalità del magistrato in valutazione”. Anche su questo aspetto le toghe avevano lanciato l’allarme: quello stesso avvocato che al mattino ha “difeso il suo assistito in un processo di omicidio o strage, il pomeriggio, al Consiglio giudiziario” verrebbe chiamato “a rendere il parere per la valutazione di professionalità di chi ha rappresentato l’accusa in quel processo o di chi ha emesso la sentenza“, avvertiva Di Matteo in audizione di fronte alla Commissione Giustizia del Senato. Infine, il testo riduce da 200 a 180 il numero massimo dei magistrati ordinari che possono ricoprire incarichi fuori ruolo nello stesso momento e porta da dieci a sette anni il periodo di tempo massimo in cui è possibile essere collocati fuori ruolo. Lo schema di decreto legislativo ora dovrà essere approvato da uno dei prossimi Consigli dei ministri, dopodiché dovrà essere trasmesso alle Camere per il parere obbligatorio prima dell’approvazione definitiva. La delega dovrà essere esercitata entro il 31 dicembre 2023: la scadenza originaria, fissata al 30 giugno, era stata posticipata di sei mesi su richiesta di Nordio.
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