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'Se un uomo non ha il coraggio di difendere le proprie idee, o non valgono nulla le idee o non vale nulla l'uomo' (Ezra W.Pound)

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d’anna*

*Sindaco di Napoli, gli esterni e gli eterni…* di Vincenzo D’Anna*






*Sindaco di Napoli, gli esterni e gli eterni…* di Vincenzo D’Anna*

I politici dovrebbero avere buona memoria. Se così fosse, quelli che oggi dirigono i partiti di centrodestra nell’area metropolitana di Napoli, dovrebbero darne valida prova. Ahinoi, così non è ai giorni nostri!! Innanzitutto perché mancano i partiti, ossia quelle organizzazioni politiche governate con metodi democratici che organizzano le proprie originali proposte prima di consegnarle al vaglio degli alleati ed, in ultimo, degli elettori. Le ditte personalizzate che li hanno rimpiazzati sono un lontano ricordo di quegli “apparati” ed agiscono più che altro per procura. Da Roma, cioè, i titolari nominano dei proconsoli il cui precipuo compito consiste nel tenere a bada l’ambito territoriale, tutelando e garantendo il controllo di quei “simulacri”. Al di là della celebrazione di qualche sporadica assemblea, ampollosamente elevata al rango di “congresso”, i dirigenti di quei movimenti sono dunque tutti cooptati dai vertici nazionali, con il forzato e silente beneplacito dei gruppi parlamentari, ossia di quei soggetti che, gratificati dalla candidatura, godono di un comodo seggio alle Camere. Così formate, tali “compagini” vivono alla giornata, alla stregua di un comitato elettorale: riprendono vita e voce solo allorquando si avvicina il tempo di una specifica tornata. Se poi la posta in gioco è di quelle prestigiose, come, ad esempio, la “partita” che elegge il Consiglio comunale ed il sindaco di Napoli (oltre che presidente della Città metropolitana), ecco che la discussione si avvia per tempo, spesso influenzata da altri fattori. Questi ultimi in genere appartengono al novero dei centri di potere accessorio come, ad esempio, le società partecipate, oppure l’indicazione di altre candidature, come quella del governatore della Regione. Un gioco di specchi che mette a dura prova l’efficacia del “Manuale Cencelli”, ossia dei criteri di valutazione del peso politico e della conseguente assegnazione delle cariche di gestione. Un complicato contesto che ne consiglia l’uso purché si attagli alla competizione partenopea. Una complessità fatta anche di scontri ed alleanze, di nomi dati in pasto alla stampa salvo poi essere bruciati, con specifici veti, innanzi al tribunale dell’opinione pubblica. Sì, ormai lo si è capito: ci sarebbe tanto da fare eppure della politica e del progetto amministrativo poco o niente ci si cura, rimandandone la redazione ad un comitato di sedicenti esperti. Insomma: siamo al cospetto di una liturgia che verrà celebrata secondo le pessime costumanze del passato prossimo e remoto, unica eredità sopravvissuta della prassi in vigore nella cosiddetta Prima Repubblica. E tuttavia toccherà interessartene dal momento che la politica utilizza quello che passa il convento e l’elettore napoletano spesso non è disinteressato come pure si vorrebbe lasciar credere. Per dirla in parole chiare: le elezioni comunali a Napoli somigliano più ad una classica riffa, una sorta di gioco a premi (i voti) per chi compra più biglietti. La partecipazione è scarsa e non supera il cinquanta percento degli aventi diritto, per poi dimezzarsi ulteriormente in caso di ballottaggio. In soldoni: il primo inquilino di Palazzo San Giacomo sarà scelto da un cittadino su quattro, nel secondo turno elettorale. Quali e quante le cause di questa decadenza civile, di questo disimpegno, sarebbe lungo da elencare dovendosi scomodare sociologi, politologi e storici. Comunque sia quello che maggiormente incide è la diserzione di massa del ceto intellettuale, imprenditoriale, professionale e più in generale, di chiunque abbia talento da poter spendere per il servizio alla città. Nonostante si sia innanzi a questo evidente disimpegno c’è chi, sul versante di Forza Italia, propone, per il Comune di Napoli, un candidato civico nel mentre Fratelli d’Italia ribatte con una stessa tipologia di leadership per la presidenza della Regione. Una contraddizione in termini che appare vieppiù avvilente, frutto di una prassi politica priva di sintesi tra alleati di governo che, all’opposto, dovrebbero intendersi tra loro!! Risultato? Con l’avallo di una sempre più sparuta schiera di elettori che si recheranno alle urne, si rischia di veder concretizzata l’apologia, di dover assistere al trionfo di un qualunquismo del quale, in questa fase, francamente non si sente affatto bisogno!! In un tempo in cui occorrerebbe rilanciare il primato della politica ma questa non sa o non vuole trovare, tra le proprie fila, chi la rappresenti, ecco che sovviene alla mente l’epoca in cui, dovendo superare una crisi interna (ed un calo dei consensi), la Democrazia Cristiana scelse di affidarsi a Benigno Zaccagnini come segretario politico nazionale. Un galantuomo che avrebbe ridato slancio (e momentaneamente ripulito) alla pratica Dorotea della gestione del potere per il potere in casa scudocrociato. Zaccagnini aprì anche all’ingresso degli “esterni” negli organismi di partito così da spezzare le reni alle “correnti” interne. Ci fu però chi al congresso nazionale precisò che il problema non era tanto scegliere tra interni ed esterni, quanto sbarazzarsi degli…eterni. Sbarazzarsi, cioè, delle nomenclature, e sé civica deve essere la scelta, per disimpegno dei partiti, essa potrebbe ben nascere da un movimento popolare. Un movimento che rispettando l’area politica di appartenenza, possa indicare chi debba rappresentarla. Si eviterebbero le scelte fatte da pseudo dirigenti politici che, a ben guardare, poggiano su deleghe dei nuclei familiari che a Roma chiamano partiti oppure, peggio ancora, dai loro compagni di merenda!!

*già parlamentare

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*Le Olimpiadi delle medaglie di legno* di Vincenzo D’Anna*






*Le Olimpiadi delle medaglie di legno*

di Vincenzo D’Anna*

Diciamoci la verità: l’Italia sportiva aveva ben altri positivi presentimenti per questa Olimpiade francese. A Tokyo le medaglie complessive furono 40 anche se gli ori arrivarono a dieci: uno in meno rispetto a quelli (11) totalizzati, al momento, dalla rappresentativa azzurra con ancora diverse competizioni (tra cui il volley femminile) da terminare. Tuttavia, qualunque sarà il bottino finale, resta un dato sbalorditivo rappresentato dal numero di medaglie di legno, ossia il quarto posto, racimolate dai nostri atleti: sono più di venti!! Più di una ha il sapore della beffa, con il bronzo mancato veramente per un soffio, ma vengono per la maggior parte da discipline nelle quali avevamo avuto spesso successo, in passato, come scherma, ciclismo, nuoto, canottaggio, atletica. Non sono mancate, in alcune specialità che pure rappresentavano un nostro tradizionale punto di forza – come nel caso della pallanuoto dove però non siamo arrivati tra i primi quattro – le disparità e i clamorosi errori di giudizio con gli arbitri che ne hanno combinate di cotte e di crude. Qualcuno ha chiosato che questa situazione che ci ha visti più volte penalizzati, abbia preso l’abbrivio dallo scarso peso del nostro Coni in seno al Comitato Olimpico, ossia che contiamo poco o niente. Se si aggiunge la silente sussiegosa antipatia che i cugini transalpini nutrono da sempre nei confronti dei nostri colori, si può ben ipotizzare che ci sia stato un combinato disposto che certo non ci ha agevolati. Ma, sia pure con obiettive recriminazioni, non tutto può essere spiegato in termini di scarso peso politico o di idiosincrasia dei francesi. La verità di fondo è che lo Stato italiano spende poco e campa molto sul lavoro delle unità sportive delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri, finanza) e dell’esercito, oltre che della miriade dei tanti e tradizionali piccoli club privati. Una volta operavano anche i Cus (centri universitari sportivi) che furono una fucina di campioni in molte specialità ma che poi, con i moti del ’68 e la correlata trasformazione della natura delle Università, sono praticamente spariti. Eppure gli atenei americani ed inglesi fanno leva sui loro gruppi sportivi come elemento per attrarre nuovi iscritti, anzi alcuni di questi vengono scelti dagli studenti più per le attività solerti che per i programmi didattici proposti!! In Italia tutto il cambiamento si è compendiato nel…cambiare denominazione al corso di laurea in Educazione fisica trasformandolo nell’ampolloso titolo di in laurea in chinesiologia, ossia “scienza del movimento”. Scomparsi anche i Giochi della Gioventù da decenni, nelle scuole italiane l’ora di scienze motorie resta, perlopiù, un momento di svago e relax. Si potrà eccepire che nei Comuni italiani, soprattutto al Sud, i sindaci ogni anno si assumono la responsabilità di dichiarare agibili le scuole non avendo né i mezzi né i fondi per potervi provvedere, figurarsi le palestre laddove queste esistono!! I centri pubblici qualificati del Coni sono pochissimi ed ancor di meno i maestri dello sport che vi lavorano. Ben altra storia, invece, vale per il calcio un mondo in cui volano i milioni che un popolo di tifosi versa nelle tasche delle società ed in quelle delle emittenti televisive che diffondono le partite a pagamento. Un’orgia di appuntamenti ed un mare di introiti! Eppure il calcio italiano salta due competizioni mondiali ed esce in malo modo dagli Europei per gli stessi, identici motivi delle altre discipline. Il football, un tempo, era un gioco gratuito, accessibile alle masse. Oggi si è trasformato in un business di scuole pagate profumatamente da padri speranzosi di poter avere un campione in casa!! Eppure per trovare un italiano nelle sei o sette grandi squadre italiane più blasonate occorre scomodare Diogene con il lanternino!! Il resto è gente che viene da altre nazioni, spesso lo scarto di Inghilterra, Francia e Spagna. Eppure la massima latina nota a tutti recita: “mente sana in corpo sano”. E se nelle scuole imparare significa fortificare la mente, non ci si potrà esimere dal poter fortificare il corpo!! Certo non sono mancati né mancheranno campioni molti dei quali cresciuti arrangiandosi e grazie agli sforzi di bravi allenatori che lo fanno per passione. Il resto resta così com’è e ci commuoveremo quando sentiremo l’Inno di Mameli ed il tricolore garrire sui pennoni per le premiazioni. Siamo fatti purtroppo così: talentuosi ma arruffoni, dilapidatori di denaro pubblico ma non sempre per cose essenziali. Parafrasando la miriade dei quarti posti a Parigi, vorrà dire che andranno bene perché potrebbero essere espressione di un movimento di massa che avanza nello nello sport. Cucchiai di legno? D’altronde anche quelli servono a qualcosa in un Paese ove con il pubblico denaro ci si riesce quasi sempre a mangiare…

*già parlamentare

 

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*Il tormento e l’estasi* di Vincenzo D’Anna*






*Il tormento e l’estasi* di Vincenzo D’Anna*

È appena trascorsa la notte di San Lorenzo. Alzando gli occhi al cielo abbiamo potuto assistere all’affascinante spettacolo della pioggia di stelle cadenti. Il fenomeno trae origine dalla presenza di una particolare densità di piccoli meteoriti che, entrando in contatto con l’atmosfera, diventano incandescenti e quindi visibili, sia pure per un brevissimo tempo. Guardando in alto, ci siamo divertiti ad esprimere desideri, come è consuetudine in questa tradizionale ricorrenza. L’argomento, di futile interesse, ne introduce un altro di maggiore importanza che riguarda una recente scoperta astrofisica: per ogni cinque stelle simili al Sole, secondo le stime degli astronomi dell’Università della Columbia Britannica (che hanno utilizzato i dati forniti dalla Nasa), nella Via Lattea esisterebbe un pianeta simile alla Terra. Un mondo roccioso le cui dimensioni sarebbero simili a quelle del nostro globo terraqueo. Nella sola Via Lattea, la grande Galassia entro la quale siamo collocati, sarebbero addirittura di sei miliardi i pianeti con quelle stesse caratteristiche!! Ora, considerando che nella parte dell’universo finora conosciuta si calcolano a miliardi di miliardi le galassie, il conto è presto fatto, ancorché si stimi che solo lo 0,2 % di quei pianeti possa essere abitabile. Abitabile significa, sostanzialmente, un mondo in cui sia presente acqua, componente di base per la vita, un’atmosfera con ossigeno e condizioni climatiche compatibili con lo sviluppo dei vegetali e degli animali, almeno quelli aventi forme biologiche a noi note. Per farla breve: esisterebbero molti milioni di pianeti, in una sola galassia, nei quali potrebbe svilupparsi un habitat in grado di riprodurre quei fenomeni biologici che, dopo millenni, hanno determinato la presenza della razza umana e delle altre specie di organismi viventi. Basterebbero queste considerazioni, ossia rilevazioni su base scientifica, per impostare un ragionamento razionale, non filosofico, che confuti sostanzialmente l’unicità dell’Uomo nella creazione universale. Sissignore, creazione non mera casualità, non un gran botto di materia primordiale detto “Big Bang”, che ha sviluppato un universo immensamente grande e straordinariamente preciso: quella grande armonia che gli scienziati, prima ancora che i filosofi ed i teologi, hanno postulato nel corso dei secoli. Immaginare che tutto questo si sia realizzato attraverso l’utilizzo delle sole forze chimico fisiche secondo il caso e la necessità, senza, cioè, un progetto prestabilito di vastità incalcolabile, sembra una grande sciocchezza anche sotto il profilo scientifico oltre che statistico. In disparte la religione, ossia la fede che esista un Dio creatore dell’universo, è proprio sotto il profilo del ragionamento laico e scientifico che per primo cade il ragionamento degli scettici (che dubitano), degli agnostici (che non sanno), degli atei (che non credono). Sono molti gli uomini di scienza che si dicono convinti che siano state le sole forze presenti in natura e l’evoluzione stessa a creare quell’unicum forse irripetibile della vita cosi come conosciuta sulla Terra. A sostegno di queste tesi evidenziano la mancanza delle prove dell’esistenza di Dio. Tuttavia da scienziati dovrebbero dimostrare, dal punto di vista epistemologico, anche il contrario, ossia quali siano le prove scientifiche che escludono l’esistenza di un Creatore dell’Universo. E dovrebbero affidarsi a prove più decisive delle solo speculazioni matematiche come, ad esempio, spiegare l’infinito immenso del creato e le sue regole che sono fatte di un perfetto equilibrio e sincronismo. La questione si potrebbe risolvere con il rigore scientifico più che per fede, ossia cercare anche le prove inconfutabili che dimostrino l’assenza di un creatore. Usando la stessa impostazione dei logici – razionali contrari all’idea di un creatore occorrerebbe trovare una formula che ci indichi la percentuale di probabilità della esistenza e della non esistenza di Dio. Tener conto di quel che sappiamo sulla parte di universo conosciuto, ben poca cosa rispetto al tutto, per far parlare la matematica più che il credo religioso. Ed allora sovvengono due cose : che la congettura filosofica, secondo l’ateo Bertrand Russell, serve non a sapere cosa fare ma a saper porre le domande, anche quella sul creatore, e quella di Agostino d’Ippona che narra del ragazzo che voleva prosciugare il mare con il cavo di una conchiglia. In parole semplici quanto la razionalità e le conoscenze di dimensioni miserrime innanzi all’infinito possano veramente comprenderlo. Sia come sia, ritengo che il vero ostacolo sia la presunzione dell’Uomo , quello che si atteggia a Dio per ogni goccia di quel mare che pretende di prelevare con la sua infinitesimale misura logica. Ogni scoperta misurata rispetto al poco ha un valore ma cosa varrà mai innanzi all’infinito? Ma all’Uomo del terzo millennio questa angusta dimensione cognitiva sta stretta, perché non mancano le nuove conoscenze e gli strumenti tecnologici per arrivarvi, ma l’umiltà di sapere che sono un nulla comparato col tanto che non conosciamo. Insomma manca la cultura di avere una dimensione molto piccola per arrogarsi il diritto di confutarne una infinita. Eppure la cultura andrebbe intesa come lo strumento per sapere dove cercare più che pensare di sapere tutto. L’uomo del terzo millennio ignora la Storia che pure gli appartiene e la Filosofia per porsi domande esistenziali, e quindi vagherà sempre nel buio di un pensiero positivo che esclude tutto quel che non coglie, solo perché ritenuto irrazionale. Innanzi all’estasi di un universo infinito dovrà pur sorgere nelle coscienze umane il tormento di decidere se c’è un creatore.

*già parlamentare

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*Le oche del Campidoglio* di Vincenzo D’Anna*






*Le oche del Campidoglio* di Vincenzo D’Anna*

La leggenda narra che durante l’assedio di Roma da parte dei Galli Senoni, condotti da Brenno, furono le oche che stazionavano sulla rocca del Campidoglio a starnazzare avvertendo le sentinelle che i barbari erano arrivati fin lassù. L’esercito allora accorse in aiuto dei prodi soldati e gli invasori furono respinti. Peccato si tratti solo di una leggenda. Già, perché intanto i barbari, nell’Urbe, ci avevano messo saldamente piede. Altrimenti come ci sarebbero arrivati fin su quell’alto Colle? E poi, sempre a voler dare retta alla leggenda, pare che Brenno & C sottoponessero i rappresentanti dell’Urbe ad una sorta di ricatto: “volete che leviamo le tende? Bene: pagateci un sostanzioso tributo in oro!”. Piccolo particolare: la loro bilancia era taroccata così da aumentare la quantità di metallo prezioso da incassare. Innanzi alle giuste recriminazioni dei romani, Brenno compì il gesto che lo avrebbe reso immortale: lanciando la sua spada su piatto della bilancia pronunciò la celebre frase “guai ai vinti!!” a significare che i vincitori, in quanto tali, potevano permettersi ogni forma di arbitrio sugli sconfitti. Insomma: laddove vince la forza, la ragione non vale. E questo vale anche per chi poi la Storia è chiamata a scriverla, alterando, in tal modo, la realtà dei fatti da vincitore, addossando ogni colpa e malvagità di intenti ai vinti. Ora, se immaginassimo che il Campidoglio, antica sede del potere della Città Eterna, potesse identificarsi con le moderne istituzioni democratiche del Belpaese, ci troveremmo di fronte una sorta di similitudine tra i recenti accadimenti parlamentari e la storiella di Brenno, ossia l’eterna inclinazione nelle aule parlamentari a starnazzare più che a ragionare. La Camera dei Deputati, infatti, ha approvato, in via definitiva, la legge sul riordino della materia carceraria: un provvedimento tampone per rispondere all’emergenza provocata dal sovraffollamento, dalla carenza di personale, dalle condizioni di vita dei detenuti. Una tragedia costata oltre sessanta suicidi dietro le sbarre nel corso dell’ultimo anno!! Ovviamente insoddisfatte sono rimaste le opposizioni, a partire dal M5S e dal Pd, in particolare quest’ultimo il quale, nei dieci anni e passa di governo, non ha mosso un dito per affrontare l’argomento. In pratica: grillini e dem hanno scelto di obbedire alla logica del gioco delle parti, allo stereotipo ormai consolidato che le minoranze debbano essere, obbligatoriamente, sempre e comunque “contro”. Poco si ragiona e molto si strepita, soprattutto quando le opposizioni di oggi dimenticano di essere state, per molto lustri, le maggioranze di ieri, contribuendo a che insorgessero quelle drammatiche condizioni contro le quali oggi ci si strappa sdegnosamente le vesti. Ne consegue che i provvedimenti adottati dal governo vengano bollati come insufficienti oppure carenti, visti nella logica di chi, non avendo mosso un passo e non dovendolo fare nell’immediato in futuro, chiede tutto e subito. Tuttavia la polemica più incandescente si è accesa sulla custodia cautelare, materia non prevista dalla legge in questione, ma pure invocata dal Guardasigilli Carlo Nordio come ulteriore necessario passaggio parlamentare, di rango costituzionale, per migliorare la condizione delle carceri. Un sacrosanto obiettivo atteso che il venticinque percento dei detenuti e’ in attesa di giudizio, ossia sconta una pena che non è stata ancora sentenziata. Insomma una presunzione di colpevolezza che, nella maggior parte dei casi, si trasforma in un anticipo della futura pena. Chiarito che oltre la metà di quei “carcerati” sarà poi statisticamente assolta, oggi abbiamo senza ombra di dubbio migliaia di reclusi innocenti!! Inutile dire che finanche un ordine del giorno, atto meramente teorico che impegna, a futura memoria, il governo e che non conta granché tra gli atti parlamentari, abbia eccitato le oche del Campidoglio, inducendole a sbattere le ali e a dimenarsi fino a battezzare quel documento come il “Salva Toti”. Un chiaro riferimento alla recente vicenda giudiziaria dell’ex governatore della Liguria e degli altri chi se ne frega. Ebbene, se gli attuali inquilini delle Camere fossero stati dotati degli opportuni e necessari strumenti culturali ben avrebbero compreso che il fenomeno del carcere preventivo nasce da due presupposti di base: da un lato l’obbligatorietà dell’azione penale (indistinta e generica) che sovente porta i pm ad istruire procedimenti che, per la loro inconsistenza, alla fine, non arriveranno mai in aula per carenza di indizi concreti o di prove, oltre il sessanta percento dei casi.!! E dall’altro la previsione che la carcerazione preventiva sia irrogata agli indiziati affinché non possano reiterare il reato, non inquinino le prove e non fuggano. Possibile non esistano forme di cautela alternativa, così come accade in altre nazioni “civili”? La verità è una e una sola. Inutile fare finta di niente: la Magistratura, mai responsabile delle proprie colpe, in nome della propria autonomia (che è ben altra cosa), non vuol perdere alcuna prerogativa per spaventare e tenere sotto botta il potere politico, ormai disarmato ed alla mercé delle toghe. Ma evidentemente ai pennuti del Campidoglio ciò poco interessa, ancorché molto loro correligionari siano incappati negli stessi abusi. A loro, da indomiti parolai, interessa solo apparire come i veri difensori della legalità, duri, puri ed intransigenti. Una difesa dell’esistente pagata spesso con la libertà degli innocenti!!

*già parlamentare

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*Elezioni Usa e crollo delle borse* di Vincenzo D’Anna*






*Elezioni Usa e crollo delle borse* di Vincenzo D’Anna*

Sono decenni ormai che si coltiva l’idea che gli Stati Uniti siano la quintessenza dell’imperialismo, la fonte di tutte le guerre, la causa di ogni male. A voler selezionare e catalogare questo preconcetto ne verrebbe fuori una sintesi tassonomica, ovvero una classificazione sulle diverse cause di quella che appare come una vera e propria idiosincrasia nei confronti degli States, che affonda le proprie radici in quell’ideologia politica che combatte il capitalismo in ogni sua forma e manifestazione. Compresa l’esaltazione del libero mercato di concorrenza e dunque della competizione stessa. Molto meglio, per gli anti-americani, mettersi sotto l’ala protettiva dello Stato, che di tutto si occupa e di tutti si preoccupa. Uno Stato capace di forgiare una società più giusta perché costruita sugli uguali, ossia preordinata e programmata in modo che ciascuno possa ricevere la propria porzione di benessere e di tranquillità. Uno Stato che coordina, decide e garantisce. Peccato però che così non sia mai stato nonostante il postulato accreditato sotto il nome di “giustizia sociale” al quale qualunque politicante fa ricorso e si aggrappa quando intende spendere i soldi del contribuente!! Falso perché, innanzitutto, la competizione, sotto l’imperio delle leggi e dei controlli che la disciplinano, è una forma altissima di collaborazione, senza la quale non avremmo avuto progresso tecnologico, merceologico e benessere. Ad esempio: sport e scienza sono competitivi ed è grazie a questa leale ed ordinata competizione che si migliorano i record, si approda a nuove scoperte, si premiano i più capaci e si induce quel cambiamento che ci tiene al passo con la modernità. Confondere pertanto l’uguaglianza con la giustizia rappresenta un errore marchiano. Che è poi quello di fondo commesso dagli idolatri dello statalismo, dal momento che fare parti eguali tra diseguali è la più grande delle ingiustizie, che penalizza i più talentuosi per equipararli a quelli meno dotati. Basterebbe invece sostituire il concetto di uguaglianza con quello di equità per rendere migliori le cose ed i rapporti stessi tra gli esseri umani. Un’industria che compete sulla base delle nuove tecnologie di cui è dotata, avrà bisogno di forza lavoro qualificata e ben pagata. Non la si potrà mai mettere nelle mani di uno Stato che se ne frega altamente dell’efficienza degli esiti. Va da sé che coloro i quali non possono competere – non quelli che non vogliono! – avranno comunque ogni forma di protezione dalla rete sociale che i contribuenti stessi finanzieranno sulla base della ricchezza prodotta da ciascuno di essi. Ahinoi, purtroppo questo è il modo di vedere il mondo contrario agli incapaci, agli svogliati, agli incolti, agli invidiosi ed ai rancorosi sociali. In questo brodo di cultura nasce l’avversione al capitalismo, alle “big society”, alle nazioni, prima di tutti gli Usa, nelle quali vige l’uguaglianza delle opportunità e non quella degli esiti di vita etero imposti dalla programmazione statale. Poiché il presupposto al capitalismo è la libertà di poter fare, di rivendicare diritti civili e autonomia di impresa, la difesa della libertà degli individui diventa il necessario, ontologico, presupposto per la democrazia. Gli Stati Uniti vengono bollati dai socialisti e dai leader degli Stati illiberali come facitori di conflitti, eppure quel Paese le guerre le ha fatte prevalentemente per difendere la libertà e la democrazia degli altri. Una lezione che è scritta nei libri di Storia e che nessun mistificazione contemporanea potrà mai cancellare. Gli Americani non hanno mai aggredito oppure occupato altre nazioni, ed anche la guerra a talune satrapie medio orientali (Iraq e Afghanistan in primis) è scaturita da atti premeditati contro gli interessi e la vita degli statunitensi. L’11 settembre 2001 con l’attacco alle Torri Gemelli di New York, rappresenta, in tal senso, la prova più eclatante. Ma non si tratta solo di un giudizio fine a sé stesso per amore di verità, di valori storici e politici, quanto anche di un diretto interesse economico per i paesi in cui vige il libero scambio. L’incertezza sugli esiti del voto negli Usa, il pericolo della vittoria del populismo aggressivo di Donald Trump, il disimpegno americano che ne deriverebbe, per l’arrendevolezza confusionaria della Casa Bianca, sta devastando i mercati affossando le borse. Questo significherà aumento del costo del denaro, speculazione finanziaria, meno credito alle imprese, meno lavoro, meno ricchezza, meno “liquidi” nella casse dello Stato, tasse ed interessi più alti sui mutui, debito statale in aumento. Questo evidentemente non interessa ai nostri Fratoianni, Bonelli e Franceschini, i quali hanno anche le mogli in Parlamento. E neanche alla “proletaria” Elly Schlein, milionaria di famiglia. Ma a tanta brava gente sì, che non avrà mai da temere laddove libertà, democrazia ed individui sono sacri.

*già parlamentare

 

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*Autonomia differenziata, una tigre di cartapesta* di Vincenzo D’Anna*






*Autonomia differenziata, una tigre di cartapesta* di Vincenzo D’Anna*

Il teatrino della politica di casa nostra ci propone uno spettacolo unico: quella dell’autonomia differenziata e dell’incipiente pericolo che essa potrebbe comportare per l’unità nazionale. Insomma, detto con altre parole: la devoluzione dallo Stato alle Regioni di ulteriori materie che prima erano in regime concorrenziale, secondo scettici e contrari, rischierebbe di avvantaggiare ulteriormente gli Enti territoriali più ricchi in danno di quelli più poveri. I toni di quanti si schierano contro la misura approvata dal governo di centrodestra sono allarmistici se non addirittura drammatici soprattutto se provengono dalle forze di opposizione. Abbiamo già scritto che la secessione non avverrà e che il vero problema consisterà, semmai, nel definire equamente e correttamente i previsti livelli essenziali di prestazioni (LEP), ossia cosa potranno o non potranno gestire ulteriormente le Regioni che ne facciano richiesta al Governo e ne diano successivamente applicazione. Ora, che questo possa tradursi in una frattura tra le diverse aree dello Stivale, francamente, appare di dubbia possibilità. Innanzitutto perché si tratta di una legge che disciplina i rapporti tra l’apparato centrale e quello locale sulla base (e con i limiti!) di quanto previsto dall’articolo 102 della carta Costituzionale. E poi, a voler essere più precisi: la norma in questione risale al 2001. Quella approvata di recente ne rappresenta solo una linea guida attuativa. Abbiamo anche già scritto, sempre su queste stesse colonne, che in quanto legge ordinaria, quella sull’Autonomia è perfettamente costituzionale e dunque non può essere sottoposta a referendum confermativo. Come se non bastasse, lo stesso atto ha anche approvato, in altri articoli, la legge di Bilancio dello Stato e come tale, dunque, rientra tra quelli non assoggettabili a consultazioni elettorali secondo i dettami della Magna Carta. Quindi chi si affanna a raccogliere firme referendarie ed a darne enfatico conto ogni giorno, potrebbe veder vanificato il proprio sforzo con la sentenza che emetterà inevitabilmente la Corte Costituzionale. Ma c’è di più. Il principale argomento utilizzato dai contrari è quello che si basa sul presupposto che la disparità di ricchezza e di risorse esistenti tra Nord e Sud dell’Italia si accentuerebbe ulteriormente con l’applicazione dell’Autonomia, perché le Regioni più facoltose tratterrebbero più risorse finanziarie per realizzare l’attuazione dei LEP. Cosa che non accadrebbe in quelle più povere. Tuttavia anche questa obiezione è del tutto sballata. La legge in questione, infatti, non va confusa con il federalismo fiscale che regola il contributo al fondo comune statale che ciascune Ente si obbliga a versare. In soldoni: le Regioni non potranno imporre altre tasse né sottrarsi alla gestione, da parte del Ministero dell’Economia, della ripartizione delle entrate statali, che resteranno identicamente ripartite così come accadeva in passato. Si otterrà tutt’al più un maggiore margine di manovra sulle modalità di erogazione dei servizi e dei LEP. Insomma la tragedia di un’insanabile sperequazione e di una catastrofica quanto insanabile frattura tra ambiti territoriali diversi, appare un’emerita fesseria. Innanzi a tali evidenze c’è da chiedersi se coloro che organizzano banchetti per la raccolta delle firme, adunate e finanche tentativi di nuove sintesi politiche sull’abbrivio della comune lotta referendaria ( il così detto campo largo) , siano stati resi edotti dai loro consulenti e dai professoroni di identica fede politica!! Dubitarne è lecito, oltre che logico, vista l’evidenza dei fatti e delle norme li disciplinano la materia legislativa. Millantare che scuola, sanità e trasporti possano peggiorare, atteso che sono già nelle mani dello Stato e delle Regioni (per la parte che riguarda queste ultime), è un’inesattezza bella e buona. Se i poteri di distribuzione finanziaria restano in mano allo Stato la cosiddetta piramide fiscale non ne sarà assolutamente scalfita, con essa la divisione statale delle risorse finanziare. Il vero problema sulle disparità esistenti dipende semmai dal PIL (prodotto interno Lordo), che ciascuna regione produce. Un esempio viene dal servizio sanitario nazionale, laddove il relativo riparto del fondo Sanitario Nazionale definito dalla Conferenza Stato Regioni ha indici di peso iniqui ed anacronistici perlopiù basati sul riparto storico delle risorse disponibili . Il che, come si può facilmente dedurre, finisce per favorire il Nord che da tempo è più avveduto, organizzato e finanziato, per quanto concerne il numero e la complessità delle strutture di alta qualità di cui è dotato. Al Sud, invece, il clientelismo ha ampliato le piante organiche e moltiplicato i plessi ospedalieri, trasformandoli in poco più che decenti astanterie. Tale pletorica ed approssimativa organizzazione porta certi maggiori consensi elettorali, non certo servizi sanitari migliori ai malati. La gestione della Aziende e’ di tipo politico, il personale male utilizzato oltre che scarso e scarsamente retribuito, mancano le tecnologie, la disciplina e la valorizzazione delle competenze meritocratiche. Nei luoghi sanitari, ove manca una sana concorrenza professionale, vige la regola del comparaggio politico e del familismo. Questi sono i veri pericoli di una frattura che, seppur non esplicita, da decenni affligge le regioni più povere. Altro che scissione, altro che unità in pericolo. L’autonomia differenziata, quando vedrà veramente la luce, rischia al massimo di rivelarsi una…tigre di cartapesta che la politica politicante porta allegramente al guinzaglio fingendo di ignorare quali siano le reali vere diseguaglianze, le quotidiane mortificazioni subìte delle genti del Meridione!!

*già parlamentare

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*Stragi a senso unico: e quelle rosse?* di Vincenzo D’Anna*






*Stragi a senso unico: e quelle rosse?* di Vincenzo D’Anna*

Per la imperitura lotta al fascismo ecco scendere in campo anche il Capo dello Stato che, con la sua autorevole opinione, conferisce credibilità, quasi un avallo, alla ricostruzione storica e politica che la sinistra rievoca, in questi giorni, sulle stragi della stazione di Bologna e dell’Italicus. Per i distratti, gli immemori ed i falsari al soldo dei compagni, converrà ricordare che stiamo parlando, nel caso del capoluogo emiliano, del 1980; nel caso del treno Roma-Monaco, del 1974. Erano anni, quelli, in cui l’Italia era squassata dal terrorismo eversivo. Non solo “nero”, ma anche e soprattutto di matrice comunista, animato da formazioni extraparlamentari come le Brigate Rosse, Potere Operaio e Lotta Continua. Organizzazioni che, a vario titolo ed in varie occasioni, assassinarono leali servitori dello Stato: politici, magistrati, sindacalisti, economisti, giornalisti e forze dell’ordine. Ora, poiché la violenza e l’eversione vanno sì perseguite, ma anche condannate e ricordate, senza fare sconti a nessuno e senza amnesie di sorta (proprio in difesa di quell’apparato democratico che quelle stesse cellule volevano cancellare!!), non troviamo giusto che ci si ricordi degli uni (i fascisti) e ci si dimentichi degli altri (i comunisti). Chi fa questo commette, a nostro giudizio, una vera porcheria prima storica e poi politica. Tuttavia così vanno le cose nel Belpaese, ove una sinistra che ha perso i vecchi riferimenti ideologici ed i valori di un tempo, si arrabatta pur di dimostrare di essere l’unica in grado di poter “difendere la libertà”. Ed è così che la minaccia del Fascismo rimane imperitura anche dopo che questa è stata definitivamente eliminata nel 1945, sia dai moti resistenziali sia dagli eserciti alleati che liberarono la nostra Penisola. Una specie di Araba Fenice, insomma, che risorge continuamente dalle proprie ceneri nel mentre l’eversione marxista dei “khmer rossi” di casa nostra, ossia dei “compagni che sbagliano”, sembra affidata al più classico oblio. Un esempio di questo vergognoso doppio peso lo si può leggere, inciso, su di una lapide che troneggia nella principale piazza di Caserta. Una lapide in cui si ricorda che il grande statista democristiano Aldo Moro e la sua scorta furono trucidati da…”ignoto crimine “!! Sissignore, e’ scritto proprio così!! E così credo avvenga anche in altri omissivi ricordi celebrativi sparsi, ahinoi, un po’ in tutto lo Stivale. Per la serie: se l’attentato sanguinario è di matrice sinistrorsa, meglio rimanere nel vago. Se invece è fascista, allora fiato alle trombe!! In fondo, tranne i militanti più indottrinati e gli odiatori di professione, a chi volete che freghi qualcosa di queste “ sperequazioni”, queste amnesie premeditate. Queste ultime appartengono, ormai, ad un altro secolo e ad un’altra epoca, ma chi ancora ci marcia politicamente facendo il finto tonto. Il copione da recitare è questo perché conferisce ai nostalgici ai tardo eredi del comunismo militante una sorta di aura nobile marcandone una specie di superiorità morale tanto cara da quelle parti dell’arco costituzionale, ove, tolta la presunta e presuntuosa superiorità morale, rimane veramente ben poco da dire!! E veniamo ai fatti di questi giorni. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, benvoluto e stimato anche per il noto equilibrio mostrato nell’esercitare autorevolmente il suo secondo mandato al Quirinale, è caduto anch’egli nel “trappolone ideologico”. Per commemorare la strage relativa all’attentato al treno Italicus (4 agosto 1974) costato la vita di 12 persone, ha parlato, infatti, di “parte significativa della stagione stragista dell’estrema destra”, forse per similitudine con l’attentato alla stazione di Bologna dell’agosto del 1980 e quella sul Rapido 904 Napoli-Milano del 1984 conosciuto anche come la “strage di Natale”. Le obiezioni a tale eventuale paradigma sono elementari: la strage dell’Italicus è rimasta impunita. I colpevoli (neri, rossi o bianchi che fossero) non sono mai stati individuati. Per l’attentato al Rapido 904, invece, la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli tirò in ballo anche l’ex numero uno di Cosa Nostra, Toto Riina, accusandolo di essere stato il mandante di quella mattanza. Per gli inquirenti partenopei, infatti, quella strage sarebbe stata la prima risposta architettata dal “capo dei capi” ai mandati di cattura relativi al maxi processo a Cosa Nostra emessi nel settembre 1984 dai giudici Falcone e Borsellino. Allinearsi quindi alle “sole” tesi antifasciste “pret a porter”, ossia facilmente utilizzate per ogni contingenza, rischia di trasformarsi in un marchiano errore. L’Inquilino del Colle, non dimentichiamolo, è chiamato a svolgere il ruolo di garante per tutti i cittadini. Sì, anche per quelli che furono vittime dell’eversione comunista e di cui oggi quasi nessuno più parla. Tra i tanti ricordiamo: Aldo Moro, Luigi Calabresi, Walter Tobagi, Pino Amato, Marco Biagi, Vittorio Bachelet, i direttori del Dap Tartaglione e Palma, il sindacalista Guido Rossa, i magistrati Francesco Coco, Emilio Alessandrini, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini e i tanti, troppi, servitori dello Stato (poliziotti, carabinieri, finanzieri) trucidati mentre adempivano al loro dovere. Un lungo elenco di martiri ai quali l’antifascismo perpetuo e di maniera, l’indirizzo unico e ricorrente verso i “bersagli” dell’eversione fascista dei Nar oppure di Ordine Nuovo, ne sbiadisce il ricordo e ne degrada il valore civile. Che questo gioco, ipocrita e vigliacco, lo facciano i tardo epigoni politici del nostro “comunismo alle vongole” è cosa risaputa, ma che vi si associ Mattarella è un gran brutto esempio che non possiamo accettare!! A quella altezza politica non e’ concessa alcuna partigianeria.

*già parlamentare

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Al-Shabaab…a Capalbio*  di Vincenzo D’Anna*






Al-Shabaab…a Capalbio*  di Vincenzo D’Anna*

Una premessa si impone: questo articolo ipotizza cose che si spera non accadano mai. Null’altro che un mero esempio di scuola, sottilmente provocatorio, di quanto siano stolte le intenzioni che si coltivano in taluni ambienti della politica italiana e più in generale in quel movimento di opinione che predica, senza vincoli e cautele, il “multiculturalismo”. E’ in questo ambito, d’altronde, che si affaccia e si millanta il pericoloso ed ingenuo convincimento che, in nome di un pacifismo disarmato e parolaio (appendice di quell’area civica ed apparentemente apolitica che si definisce “progressista”), sia possibile amalgamare culture e fedi religiose apertamente in antitesi tra loro. Stiamo parlando di quella parte di società civile che sfila imperterrita per le strade del Belpaese, strabica e smemorata di quanto sangue innocente sia già stato versato in nome di quell’arrendevolezza che ormai rappresenta il tratto distintivo della vecchia Europa. Intendiamoci: nulla contro la libera espressione della cultura dell’accoglienza. Neanche però si possono spalancare le porte a tutti i migranti, senza ricorrere ad alcuna forma di “accortezza”. E veniamo ai fatti di cronaca di questi giorni. Al Schabaab è uno dei tanti movimenti jihadisti che orbitano nella galassia musulmana, quelli per intenderci che combattono per imporre agli infedeli la fede di Allah e Maometto, ed i canoni di uno stile di vita che si allinea ai dettami anacronistici ed arcaici che si desumono dal Corano, allorquando però questo viene letto ed interpretato in maniera radicale. Tale movimento, da molti anni presente in Somalia, con propaggini anche in Kenia ed Etiopia, rappresenta da tempo la filiale di al-Qaida in quell’angolo del Continente Nero. E proprio lì, a Mogadiscio, nelle scorse ore, un gruppo di jihadisti ha attaccato una spiaggia facendo trentadue vittime: si è trattata di un’azione fotocopia di quanto accadde nel 2015 in Egitto. A quanto pare un terrorista si è fatto esplodere ed altri hanno utilizzato i mitra per falciare senza pietà i bagnanti. Insomma chi ha stimato che l’Idra dalle molte teste del terrorismo islamico fosse stata decapitata, ora dovrà ricredersi. Così coloro che, superficialmente, reputano lontana e quindi estraneo, per la nostra sicurezza, quanto accaduto nella capitale somala. Tuttavia così non è se non aderendo allo strabismo ipocrita ed irenico degli “accoglioni” italiani, soprattutto di talcuni ambienti religiosi (ed autolesionisti) e dei soliti partiti che deprecano ed esecrano solo quello che accade in taluni contesti così da poterlo utilizzare a scopi propagandistici in casa propria. Così per la politica disarmata della Chiesa di Bergoglio che da tempo si sforza di dimostrare equipollenti le confessioni religiose, sia quelle che predicano la fede dell’amore verso il prossimo, sia quelle che vogliono sbarazzarsi dei “non credenti” e dei costumi “corrotti” dell’Occidente. Papa Ratzinger, con il discorso di Ratisbona, ci aveva messi in guardia sui limiti che comporta quella parificazione. Il grande Pontefice ci aveva spiegato che la storia dei valori cristiani era anche fatta di precetti civili posti alla base di quelle che vengono definite come le radici cristiane dell’Europa. Innanzi ad una fede così violenta e così sanguinaria non c’è amore che tenga, se non si vuol diventare pecore in mezzo ai lupi. Chi lo ha fatto notare è stato bollato come retrogrado in materia di fede e xenofobo in campo politico e sociale. La lodevole azione di voler prevenire l’esodo indiscriminato di masse di migranti sulle coste italiane, portata avanti con il “piano Mattei” dal governo in carica, fatta di aiuti ed intese bilaterali con i paesi del Mediterraneo, ahinoi, non ha dato i frutti sperati. Tra le migliaia di disperati che, se sopravvivono, riescono a sbarcare in Italia, si annidano anche elementi vocati a seguire le teorie dei terroristi, ad affiliarsi come cellule dormienti per poi agire, così come testimonia la lunga scia di morti negli attentati compiuti in alcune capitali europee. Risultato: la situazione è talmente seria che per ogni manifestazione organizzata sul suolo europeo, comprese quelle sportive, i governi sono costretti a mobilitare migliaia di agenti in assetto di guerra come accaduto, appunto, per le Olimpiadi di Parigi che hanno visto schierati sul campo cinquantamila tutori dell’ordine, oltre ai tanti, troppi cittadini ritrovatisi, di fatto, “reclusi” in casa, ai divieti di circolazione ed ai continui obblighi di identificazione imposti ai posti di blocco. Insomma siamo costretti a vivere con l’ansia della paura, a dover temere che quello che accade altrove possa ripetersi a casa nostra. Per convincere i più testardi non bisogna aspettare che un gruppo terrorista assalti la spiaggia di Capalbio, ove una volta si riunivano i comunisti radical chic e gli intellettuali del pensiero debole e dell’accoglienza indiscriminata. Coloro che, vita natural durante, ci tediano con gli allarmi democratici sul…fascismo incipiente. A proposito: è noto che Salvini frequenti il lido “Pepete” ma Fratoianni, Travaglio & C. in quale località vanno a fare il bagno?!? Ah saperlo!!

*già parlamentare

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*Venezuela, Maduro ed i suoi sodali * di Vincenzo D’Anna*






*Venezuela, Maduro ed i suoi sodali * di Vincenzo D’Anna*

Abbiamo già scritto, su queste stesse colonne, della dittatura marxista di Nicolás Maduro e, prima, di lui, di Ugo Chavez in Venezuela. Una dittatura che devasta quel Paese dal lontano 1992. Un tempo florido dal punto di vista economico, ricco di risorse naturali (a cominciare dall’oro nero, il petrolio, di cui Caracas era uno dei maggiori esportatori), nonché dotato di una moneta (il Bolivar) apprezzata, lo Stato latino americano si è visto, via via, ridotto in miseria. La popolazione ormai è allo stremo: mancano molti prodotti alimentari, oltre a farmaci, carburante e generi di prima necessità. Gli ospedali pubblici sono chiusi così come il cambio della moneta; e “out” sono pure social, frontiere ed aeroporti. Ebbene proprio nello scalo aeroportuale della Capitale ieri sono stati bloccati ed espulsi troupe televisive e giornalisti del Cile, dell’Argentina e dell’Italia. Con loro sono stati messi alla porta, senza troppi complimenti, anche i diplomatici di Buenos Aires in ragione del fatto che il governo argentino (ma anche quello statunitense e di altre nazioni del blocco sud americano) ha riconosciuto, come vincitore delle recenti elezioni politiche, il candidato avversario di Maduro, ossia Gonzales Urrutia. Quest’ultimo, ex ambasciatore venezuelano in Argentina, rappresenta il partito “Unità” che riunisce tutte le forze di opposizione, da lui guidate insieme con Maria Corina Machado. Fonti ONU ed altre autorevoli istituzioni internazionali hanno dichiarato che gli esiti del voto non sono stati finora documentati e che non si conosce ancora il numero delle preferenze espresse nelle trentamila sezioni elettorali sparse nel Paese. Insomma: una proclamazione della vittoria (Maduro avrebbe vinto con il 51,2 % dei consensi) senza risultati definitivi e peraltro addirittura annunciata quando ancora mancavano alla conta i dati del 20 percento dei seggi!! Non c’è quindi alcun dubbio che, in mancanza di elementi certi e verificabili, mai esibiti finora dal governo di Maduro, il successo del dittatore puzzi di imbroglio lontano un miglio!! Anzi, conteggi rilevati ai seggi dai rappresentanti di Urrutia confermerebbero quanto rilevato dai sondaggi che lo davano in vantaggio con larga percentuale. In soldoni: il candidato delle opposizioni democratiche avrebbe raccolto oltre il sessanta percento dei voti espressi dai venezuelani!! Sia pure tardivamente le Nazioni Unite hanno dichiarato forti dubbi e perplessità sull’esito di quelle elezioni ancorché non abbiano imposto alcun intervento sul campo da parte di osservatori “neutrali”. Sia come sia, a riconoscere Maduro e la sua elezione farlocca sono stati subito la Russia e la Cina, insieme con la Siria e la Corea del Nord. Insomma le nazioni che hanno al timone regimi illiberali, frutto di tornate elettorali anch’esse di dubbia legittimità. A cominciare dal siriano Bashar al-Assad che di elezioni non ne tiene affatto. A seguire, i Cinesi che hanno un’unica lista da votare: quella del polit bureau del partito comunista. Così la Pyongyang del sanguinario despota Kim Jong Un e, per finire, la “democrazia” degli oligarchi di Vladimir Putin imposta con la polizia politica, il controllo dell’informazione ed il danaro degli stessi “ricconi” che albergano al Cremlino. Ma cosa volete che siano queste quisquilie politiche innanzi alla dittatura…vetero fascista di Giorgia Meloni, che costringe all’esilio – dorato e volontario – quei poveri, noti e martoriati giornalisti di sinistra dalla Rai? Cosa volete che siano queste facezie al cospetto delle mortificazioni e delle mezze censure imposte dal nostro esecutivo ai vari Scurati e Saviano ed al rischio, per la libera stampa “rossa” indipendente, di non poter più criticare tre volte al giorno la novella duce? E che dire poi del fatto che, durante la celebrazione della Strage di Bologna, si sia in qualche modo collegato quell’orrendo fatto di sangue di matrice neofascista (costato la vita di 85 persone), all’attuale compagine di governo, come se quella immane tragedia fosse legata a filo doppio con l’attuale classe dirigente di Fratelli d’Italia ed i suoi attuali rappresentanti a palazzo Chigi? Eppure per accertare quelle responsabilità ci vollero anni di indagini controverse e ben cinque processi che, alla fine, identificarono nei due eversori neri Francesca Mambro e Giusva Fioravanti gli autori del vile attentato insieme con Paolo Bellini (anch’egli appartenente al gruppo estremista di estrema destra dei Nar). Per intenderci: sarebbe come addossare ad Eddy Schlein ed all’attuale dirigenza del Pd le colpe del terrorismo delle Brigate Rosse, di Potere Operaio e degli altri gruppi della sinistra extraparlamentare risalenti allo stesso periodo in cui fu commessa quella strage!! Che dire? Non una sola parola è stata pronunciata in quegli stessi ambienti sugli arresti che la polizia di Maduro sta eseguendo in queste ore e sulla sua dichiarata intenzione di costruire nuove carceri per “ospitarvi” buona parte dei suoi oppositori!! E la difesa della libertà di stampa E il diritto di cronaca E quello delle libertà civili e costituzionali? Non una stilla di veleno è trapelata nelle parole dei vari Travaglio & C. sul tema, non un “talk show”, cui far partecipare i soliti noti, è stato allestito. Nulla. Tutto tace. Già!! In fondo Maduro non è Orban. E non è nemmeno la Le Pen. Evidentemente il dittatore di Caracas, che pure rappresenta l’antitesi delle coscienze libere e democratiche, opera dall’altra parte dell’oceano. Una linea di demarcazione di comodo, che ce lo rende troppo lontano e distante dai fatti di casa nostra. Peccato che, più che il mare, a separare i finti maestri della “gauche” tricolore dal “fascista” venezuelano sia il piccolo pantano italiano nel quale sguazzano politici parolai di mezza tacca che per mero calcolo si trasformano in suoi sodali.

*già parlamentare

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*Campania, le ecoballe di De Luca* di Vincenzo D’Anna*






*Campania, le ecoballe di De Luca* di Vincenzo D’Anna*

Ci risiamo. Tonnellate di ecoballe di rifiuti tal quale, ossia indifferenziati, sono andate in fumo, in queste ore, appestando un vasto territorio nella zona militare di Persano, nel Salernitano. Non solo fumo ed odore acre a rendere l’aria irrespirabile in un giorno di afa estiva, quanto una vera e propria pioggia di sostanze tossiche derivanti dalla degradazione termica di prodotti plastici ed organici. Il che, detto in parole povere, significa minare la salute della popolazione nelle vaste zone interessate dalla ricaduta dei fumi e delle particelle in esso contenute: metalli pesanti, molecole di plastica ed altre sostanze tossiche e nocive che attiveranno effetti epigenetici. Questi ultimi sono delle vere e proprie minacce per uomini, animali, prodotti della terra e delle acque, capaci di indurre, nel medio e lungo termine, vere e proprie mutazioni genetiche, come, ad esempio, la soppressione dei geni riparatori e l’attivazione di oncogeni. Insomma: la questione non finisce con la dispersione della nube e la scomparsa delle irritazioni a occhi, mucose e polmoni. Nossignore. Le sostanze tossiche (immediatamente patologiche) oppure nocive (patologiche per l’accumulo nell’organismo) indurranno veri e propri “sconvolgimenti” nel nostro patrimonio genetico arrivando finanche ad indurre forme di cancro, linfomi, malattie autoimmuni ed allergie. Tutto questo accade a Sud di Napoli nel mentre, poco più a Nord, nella cosiddetta “Terra dei Fuochi” non solo non si è mai fatto niente per individuare le zone più inquinate ma neanche ci si è attivati per effettuare screening così da rilevare l’incidenza o meno della tossicità sulla popolazione di quei luoghi. Eppure sarebbe bastato un semplice mineralogramma. Sarebbe bastato prelevare pochi capelli, che poi sono il punto di accumulo di metalli pesanti e sostanze nocive, insieme al liquido seminale, per fare piena luce sui rischi che corre anche quell’area Casertana. In quelle “enclavi” tossiche l’unico studio pluriennale effettuato si chiama Eco Food Fertility ed è stato eseguito su liquido seminale prelevato da donatori giovani. Ebbene il report in questione ha rilevato come nel sessanta percento dei casi si fosse instaurato un deficit della fertilità dovuto all’azione nociva di determinate sostanze sparse nell’ambiente e nelle derrate agricole di quei luoghi. Una tara silente che rischia di compromettere la funzione procreatrice di intere generazioni. Innanzi a tali allarmi la Regione Campania, guidata dal vulcanico Vincenzo De Luca, moralista e tuttologo, filosofo logorroico a tutto tondo che spesso disquisisce intorno al nulla, non ha mosso un dito, anzi si è finanche permesso il lusso di seguire strade “green” di dubbia efficacia, rinunciando sia agli impianti di termo-valorizzazione dei rifiuti, sia a quelli di vagliatura e selezione dei medesimi!! Per dirla con altre parole, la partita dello “sceriffo” si è chiusa all’insegna di un “ecologismo” di maniera che, parafrasando il chimico e biologo francese Antoine-Laurent de Lavoisier, si è tradotto in una sorta di “nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”. Tuttavia quel celebre postulato risale alla fine del XVIII secolo. Parliamo del secolo dei Lumi. Nel frattempo la scienza è andata avanti e nuove conoscenze sono arrivate in campo biologico. Oggi siamo certi che fenomeni biochimici e genetici, sensibili alle alterazioni con gli inquinanti ambientali, possono compromettere lo stato di salute degli esseri umani. E dire che avremmo pure chi sarebbe deputato a farle quelle analisi!! Stiamo parlando dell’Agenzia per l’Ambiente della Campania (Arpac), ben infarcita di personale capace di fare rilievi ed analisi ambientali. L’azienda partecipata dalla Regione , tra l’altro, si appresta ad ospitare, per concorso, altre centinaia di addetti ai lavori, oltre a quelle già imbarcate, nel corso degli anni, nei vari ruoli regionali, provenienti da altri “spin off” patrocinati da Palazzo Santa Lucia.Pensate sia finita qui. Macché! Le ecoballe sono composte da materiale non vagliato, puro e semplice “tal quale”, che vengono inviate in paesi terzi a caro prezzo (nel caso della Tunisia: sono state rispedite al mittente perché in violazione della legge che vieta la trasmigrazione di rifiuti non vagliati e classificati). Ed allora ecco che con queste “maxiconfezioni di monnezza” si riempiono stazzi cementificati che, eufemisticamente, vengono denominati depositi ecologici: null’altro che cumuli immani di spazzatura che, con il liquido di dispersione rilasciato, inquinano falde acquifere. Cumuli che si incendiano e che costano un occhio della testa per la manutenzione e la sorveglianza!! Non che vada meglio per quanto concerne il settore della depurazione delle acque e dello smaltimento dei fanghi derivati. Anche per questi ultimi manca, infatti, un impianto di depurazione e si tratta di “materiali” altamente inquinanti, contenenti un concentrato di sostanze nocive provenienti dalla acque depurate. Fanghi soggetti a viaggi onerosi verso altre regioni ben più attrezzate a riceverli e smaltirli. In estrema sintesi la questione ambientale in Campania resta irrisolta, ideologicamente tarata e politicamente utilizzata per scopi clientelari. Un esempio di scuola a cosa porti il governo “parolaio” di De Luca. Un profluvio di chiacchiere che altro non sono che, queste sì, eco…balle!!

*già parlamentare

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La biscia e il ciarlatano* di Vincenzo D’Anna*






La biscia e il ciarlatano* di Vincenzo D’Anna*

*Come in un temporale estivo, breve ma intenso, tuoni e fulmini squassano la magistratura siciliana. Le notizie di eccezionale gravità sono praticamente queste: l’ex procuratore generale aggiunto di Palermo Giuseppe Pignatone è stato indagato per presunto insabbiamento dell’indagine su mafia e appalti del 1992, omettendo di inserire, nel fascicolo, documenti ed intercettazioni, successivamente distrutti. Con il togato, che attualmente presiede il tribunale di Città del Vaticano e in passato ha ricoperto la carica di procuratore a Reggio Calabria e a Roma, sono finiti sotto accusa altri pezzi da novanta. Si tratta dell’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco (nel frattempo deceduto), di Giovanni Natoli, magistrato e già componente del pool antimafia (insieme con Falcone e Borsellino) e di un alto ufficiale della Guardia di Finanza Stefano Screpanti. In sintesi l’accusa dei pubblici ministeri di Caltanissetta nei loro confronti verte sul convincimento che a vario titolo costoro abbiano favorito manager del gruppo Ferruzzi e lo stesso Raul Gardini (a sua volta scomparso) e poi Nino e Salvatore Buscemi vicini a Totò Riina. Su questa vicenda, all’epoca, indagava anche Paolo Borsellino e voci di dentro nonché gli stessi familiari del defunto magistrato anti-mafia, ritengono plausibile ipotizzare che la strage di Via d’Amelio, quella in cui furono uccisi Borsellino e gli uomini della sua scorta, possa essere stata ordinata proprio per eliminare quel fascicolo e quelle indagini. Tutti gli indagati (con l’eccezione ovviamente del defunto Giammanco) si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ai pubblici ministeri nisseni. Giova ricordare che Pignatone aveva già dato prova di essere un buon “insabbiatore” allorquando, coinvolto nell’affare Palamara, ossia nella spartizione a tavolino delle nomine ai vertici delle principali procure italiane con l’avallo del partito democratico, ne era uscito “pulito” per una fortuita circostanza: guarda caso la mano della fortuna aveva determinato un guasto sul telefonino di Pignatone allorquando questi aveva incontrato Palamara non consentendo agli inquirenti di registrare i contenuti del colloquio. E per essere ancora più chiari, se intercettazioni vi furono non sono mai state rese note al contrario di quanto accaduto per gli altri magistrati intercettati. Il tutto ovviamente è finito in cavalleria. Il solo Palamara ha pagato con la radiazione dalla magistratura nel mentre i procuratori “designati” nelle varie spartizione sono rimasti indisturbati a capo delle Procure. L’auspicio è quello che stavolta la sorte non agevoli alcunché e che l’omertà e la solidarietà di categoria, i nomi e le carriere altisonanti dei personaggi coinvolti, non compromettano l’accertamento pieno e veloce della verità. Se nessuno riuscirà a mettere la sordina a questo nuovo scandalo, forse riusciremo a sapere qualcosa in più su quella lunga stagione di stragi e veleni. Soprattutto si potrà accertare, oltre alla reale portata di talune sentenze assolutorie già emanate, anche qualcosa di più chiaro sul quel grande bluff chiamato accordo Stato-mafia che, guarda caso, trova coinvolti preferibilmente solo e sempre personaggi di centrodestra. Cosa diranno, allora, gli altri ineffabili magistrati come Grasso, Cafiero De Rhao, Scarpinato e Ingroia, passati, nel frattempo, tutti in pompa magna, nelle fila della sinistra Gente che deve notorietà e successo per aver ciurlato nel manico per decenni e processato ufficiali dei carabinieri e politici italiani. Insomma: lo strabismo ideologico di costoro, che per anni hanno insistito sul patto tra palazzi e cosche, sulle ipotesi di collusione di Dell’Utri, Mannino, Berlusconi ed Andreotti con la malavita, potrebbe determinare la definitiva sconfessione di quel teorema. E quante pagine dei giornali legati alla sinistra dovranno essere cancellate, così come le accuse sulla sparizione della famosa “agenda rossa” di Borsellino con il corollario delle accuse di collusione rivolte a Giuseppe Ayala, pubblico ministero, nel maxi processo di Palermo?!? Insomma la cortina di fumo fetido ed ipocrita potrebbe diradarsi in Sicilia, mettendo nella loro vera luce e dimensione coloro che si sono malamente guadagnati la fiducia e l’approvazione di molta gente e soprattutto dei militanti della sinistra. Sia chiaro: nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva. Questa è una garanzia valida per tutti. Sì, anche per lorsignori che tale principio hanno contestato oppure denigrato preferendo sposare un susseguirsi di teorie e di processi infiniti basati sul presupposto che tre indizi facessero una prova!! Magistrati militanti che hanno “mascariato” finanche il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro dell’Interno Nicola Mancino. Toghe che hanno condannato Giulio Andreotti e dipinto i leader di centrodestra come ontologicamente destinati ad essere favoreggiatori di “Cosa Nostra”. Ebbene sì: questa volta la biscia si è rivoltata contro il ciarlatano che sotto l’ampia toga l’ha spesso tirata fuori velenosa ed aggressiva. Il sangue dei martiri non si dimentica e la pochezza di magistrati mediocri, che dopo Falcone e Borsellino hanno solo mestato aria fritta, non si può celare in eterno. Questo è quello che speriamo venga fuori da una più che sordida storia, di protagonismo e di abusi di potere da parte coloro che usano la Toga per fare solo una carriera.

*già parlamentare

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*Il Venezuela e quel Fascismo rosso…* di Vincenzo D’Anna*






*Il Venezuela e quel Fascismo rosso…* di Vincenzo D’Anna*

Rafael Maduro, presidente uscente del Venezuela, ha annunciato di aver vinto le elezioni con il 51,2 % dei voti a fronte di una percentuale piuttosto bassa di elettori (il 59% degli aventi diritto). Chiusi gli aeroporti e le frontiere non si è potuto recare alle urne nessuno dei sette milioni di Venezuelani sparsi nel mondo; molti tra questi costretti a riparare all’estero, negli ultimi anni, per sottrarsi alla miseria ed alla dittatura dell’erede di Hugo Chavez, ossia di colui il quale, nel 1992, assunse il potere nel paese sudamericano instaurando una dittatura filo marxista. Le operazioni di voto, secondo fonti governative, sono state vigilate da novemila “osservatori” nominati da Maduro, chiamati a garantirne la legittimità. Numerose, tuttavia, sono state le denunce di brogli e pressioni che gli elettori avrebbero subìto sia da parte dei militari che in armi presidiavano i seggi, sia dagli stessi “osservatori” che molto spesso li avrebbero benevolmente aiutati accompagnandoli…ai seggi!! E chiusi soni stati anche tutti i social net work per impedire che notizie e commenti potessero diffondersi dentro e fuori la nazione!! Per quanto minimo sia stato lo scarto che ha assegnato la vittoria al satrapo venezuelano (in realtà resterebbero ancora da conteggiare i voti in alcune migliaia di seggi), i toni da lui usati sono stati trionfalistici. perentori e definitivi. Eppure dichiarazioni preoccupate sulla correttezza del voto sono arrivate dai governi di Uruguay, Argentina, Costarica, Ecuador, Paraguay, Perù e Panama. Se ce ne fosse stato ancora bisogno c’è da rilevare l’insipienza e l’impotenza delle Nazioni Unite e dei suoi organismi di controllo che non sono stati attivati per le elezioni venezuelane con la presenza, ad esempio, di osservatori internazionali, lasciando in tal modo, al governo di Maduro, di fare il proprio comodo. Insomma nell’indifferenza generale si rinnova il potere di un tiranno che ha portato il Paese alla più nera miseria ed alla diffusa corruzione. Questa ultima generalizzata, particolarmente sentita dalla popolazione e variamente imposta con i più ingegnosi metodi. Tra questi il blocco all’aeroporto per numerosi cittadini ai quali è stata imposta la tagliola di un “regalo spontaneo” da parte dagli addetti, per agevolare i medesimi da presunte “complicazione” sopraggiunte sui controlli di bagagli e passaporti!! Lunghissime le file ai distributori di benzina per poter fare il pieno ed anche in questo caso, prima di fermare la macchina, gli automobilisti sono stati costretti a superare vari blocchi di polizia e gli scrupolosi controlli da questi messi in atto. Sembra, addirittura, che molti tra i dipendenti statali, non ricevendo regolarmente lo stipendio dal governo, si siano trovati costretti a piegarsi, per stato di necessità, alla sistematica pratica della “mazzetta” per poter sbarcare il lunario. Maduro controlla politicamente tutto l’apparato pubblico al quale è stato forzosamente ceduto ogni ambito di attività economica, in nome del popolo e dell’eguaglianza che si traduce nella…eguaglianza della miseria e degli stenti!! Insomma nello Stato in cui nacque e governò il generale Simón Bolívar detto “il Libertador”, l’uomo che diede la libertà anche alle nazioni vicine, il popolo continua e continuerà a soffrire dei mali tipici dei regimi illiberali e del comunitarismo applicato all’economia. Per dirla con altre parole: si perpetra il rinnovo, para-democratico, se non truffaldino, di un regime dispotico ed autoritario. Sì, perché di democratico, in Venezuela, c’è ben poco!! L’esempio che viene dalla politica estera non trova, infatti, riscontri in altri ambiti dell’azione di governo. Non a caso, nel secolo scorso, il tratto distintivo e costante dei premier di stampo democristiano fu quello di mantenere intatta e salda , nel tempo, la scelta di collocarsi nell’area delle libertà occidentali. Fu quello in Italia il vero discrimine tra forze liberali e social comuniste. Una lezione ancora valida e determinante. Nulla a che vedere con le scelte di certe forze stataliste e socialiste, oggi all’opposizione, le quali si strappano le vesti dimostrare che sia l’Occidente il guerrafondaio. Accreditano una presunta espansione “minacciosa” della Nato ad Est, ossia verso le satrapie russa, cinese, nord coreana, iraniana, yemenita, afgana e siriana, facendo l’occhiolino a gruppi terroristici come Hamas, Hezbollah, Talebani e Jihād Islamica, che pure rappresentano la longa manus militare delle politiche anti-occidentali. Il fronte che da Eddy Schlein a Fratoianni e Conte è’ intento a “vigilare” sulla nostra democrazia e contrasta le presunte voglie egemoniche dei paesi occidentali e della NATO. Costoro, però, non trovano il tempo per deprecare le tirannie di altra matrice ideologica. Si tratta di ignoranza, approssimazione politica, strabismo, furbizia tattica e politica Oppure siamo alla presenza di un semplice ed inconfessato compiacimento che in Venezuela, sotto sotto, possa risorgere, dalle proprie ceneri, quel tanto amato marxismo che sia pure nominalmente costoro dichiarano di aver abbandonato? Forse si tratta di una valutazione pregiudiziale scaturente dal vecchio portato culturale dell’ anti americanismo che copre l’idiosincrasia verso il capitalismo degli orfani di Marx ? Quella venezuelana, invece, va considerata come classica cartina di tornasole, quella che segnala il reale approdo dei post comunisti verso definitivi ed irreversibili approdi liberali. Se tollerano Maduro e giustificano Putin il dubbio resta. Eppure, per questi soggetti, dalle nostre parti sembra sia solo il fascismo a non tramontare mai. Per l’interesse di lorsignori a screditare il centrodestra, quello che vale per la tirannia nera non vale per le tirannie rosse. Eppure è Maduro a somigliare molto al Duce, più che la Meloni a cui si continua a chiedere pronunciamenti su regimi che da circa un secolo restano solo sui libri di storia. Altroché!!

*già parlamentare

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*Autonomia differenziata e referendum: bluff politico o giuridico?* di Vincenzo D’Anna*






*Autonomia differenziata e referendum: bluff politico o giuridico?*

di Vincenzo D’Anna*

In questi giorni di calura si discute di politica sotto gli ombrelloni. Il tema dominante è certamente quello dell’annunciato referendum abrogativo della legge sull’Autonomia differenziata. Una norma che consente allo Stato di trasferire ulteriori competenze alle Regioni su materie che attualmente sono materia “concorrente” tra governo ed enti locali. La questione è complessa da trattare in questa sede. Sceglieremo quindi di preferire la sintesi alla completezza, perché quel che qui ci interessa è rendere i lettori maggiormente edotti sull’argomento. Innanzitutto, al di là dei clamori di stampa, delle dichiarazioni che ci vengono propinate nei pastoni giornalistici dei vari telegiornali, con interviste a questo o a quel rappresentante politico, c’è da rendere evidente che la consultazione elettorale potrebbe anche non tenersi affatto!! Che la raccolta di firme, puntualmente esaltata per il cospicuo numero delle medesime già apposte dai cittadini, potrebbe rimanere fine a se stessa e trasformarsi in una mera dichiarazione di volontà. Secondo esimi giuristi, mai comparsi in tv, la legge approvata dal Parlamento non può essere, infatti abrogata, almeno non per intero. Vale la pena ricordare che non si tratta di legge costituzionale, bensì di legge ordinaria, coerente con la Costituzione vigente. Essa, pertanto, non ha bisogno di referendum confermativo essendo già vigente. Peraltro gli articoli inerenti l’autonomia differenziata sono intimamente connessi e ricompresi nell’atto che  ha approvato, con altri articoli, anche il Bilancio dello Stato. La Costituzione così recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. Quindi la Corte Costituzionale potrebbe tranquillamente non ammettere il referendum abrogativo, ripeto, chiesto  per l’intera legge e quindi contenente materia di bilancio. Ci sarebbe poi il fattore tempo da considerare. La legge,  come detto, è vigente e le Regioni più pronte ed interessate (Lombardia e Veneto) certamente l’applicheranno nel giro di un paio d’anni a pronuncia avvenuta da parte della Consulta. Volendo essere pignoli, al massimo il quesito referendario dovrebbe essere cambiato in: “Volete restituire allo Stato centrale le competenze che oggi sono della vostra Regione?”. Insomma le classiche porte chiuse dopo che sono entrati i ladri. Ed è a questa tempistica che l’astuto e cinico Calderoli si affida, ed a nulla varranno i montanti compensativi che Fratelli d’Italia e  Forza Italia hanno  chiesto ed imposto alla Lega. La compensazione sarebbe il premierato, ossia l’elezione diretta del capo del  governo e l’aumento dei suoi poteri, per arginare la maggiore forza concessa all’autonomia delle Regioni del Nord. Tuttavia anche questi conti sono sbagliati perché la legge sul premierato è di tipo costituzionale. Cambiando essa gli articoli della Magna Carta l’atto è soggetto a quattro letture in parlamento, due alla Camera e due al Senato, con una lasso di tempo di sei mesi l’una dall’altra. Nulla lascia prevedere che la legge costituzionale venga approvata con la richiesta maggioranza dei voti qualificata e quindi andrà soggetta a referendum confermativo. Il che significa altri due/tre anni da aggiungere al computo, qualora essa venisse confermata dagli elettori. Nella più rosea delle previsioni e con il non scontato consenso popolare, il premierato potrà vedere la luce tra un lustro. Nel contempo? Ci troveremo le Regioni che a pieno titolo già legiferano e si organizzano nelle nuove materie loro delegate, ossia innanzi ad una Repubblica Federale già costituita ed operante. Insomma il disegno leghista si realizzerebbe a causa dell’occorrente tempistica parlamentare. Come uscirne senza traumi per la coesione nazionale, per l’equità e l’effettiva, uniforme, efficace erogazione dei Livelli Essenziali di Prestazioni (LEP) ai cittadini di Aosta e di Marsala Visto come si erogano i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) in sanità è più un illusorio miraggio che una concreta speranza. Ed allora, a ben vedere, non resta che il più classico dei ricorsi alla furbizia levantina dei politici italiani. Quale? Semplicemente accantonare la definizione dei LEP e della copertura finanziaria occorrente, ossia la determinazione del fondo economico perequativo nazionale e rallentare in tal modo il trasferimento delle competenze ulteriori alle regioni. Una situazione di tal fatta già capita da tempo per talune  attribuzioni rimaste sulla carta. Sono 23 le materie da delocalizzare in base alla Legge Calderoli, ma per 14 di esse la norma non è ancora entrata in vigore, dovendosi definire i relativi atti e le procedure. Insomma bisogna immaginare un futuro fatto di ritardi e di tranelli parlamentari. La doppiezza e non la bellezza ci salverà.

*già parlamentare

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*Venezuela, la tirannia dimenticata* di Vincenzo D’Anna*






*Venezuela, la tirannia dimenticata* di Vincenzo D’Anna*

Abbiamo più volte evidenziato come nella sinistra italiana persistano, immarcescibili, due difetti di fondo a dir poco ontologici. Il primo è lo strabismo politico; il secondo è la doppia morale che viene assunta nel valutare le questioni (anche quelle più scabrose) laddove queste traggono origine da governi a guida social-marxista. Un doppio binario di valutazione, per dirla tutta, che investe anche i movimenti cosiddetti progressisti di quell’area. Ambientalisti e pacifisti compresi. Se così non fosse la storia del partito comunista italiano e quella dei suoi addentellati sociali (Cgil) e civici, ossia quanti marciano e protestano a senso unico, sarebbe stata ben diversa rispetto a quella dei tempi nostri. Sarebbero mancate le inevitabili ricadute sull’intero sistema politico italiano dei post comunismo. Infatti Scomparsa, alla fine del secolo scorso, con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Urss, l’illusione del marxismo, le cose, nel Belpaese, non sono cambiate affatto per gli eredi del Pci, se non per le sigle e le denominazione assunte dalle nuove entità partitiche sfociate oggi nel Pd. Per essere più chiari: verificata l’impossibilità di poter applicare le tesi di Marx ed Engels, edificando la società degli eguali imposta dallo Stato controllato dal partito, avrebbe dovuto portare quei politici ad una ragionata resipiscenza dei propri errori ideologici. Invece gli ex marxisti si sono trasformati, rapidamente e nominalmente in liberali, senza però rinunciare al loro modo di essere. Un’ulteriore riprova del manicheismo intellettuale che contraddistingue gli orfani di Botteghe Oscure ci viene dall’assoluto silenzio sulle elezioni politiche che si stanno tenendo in Venezuela. Un Paese un tempo florido che, dal dopoguerra in poi, è stata approdo per migliaia di migranti italiani. Scopertasi ricca di giacimenti di petrolio (oltre che di altre materie prime), la nazione latinoamericana è divenuta, via via, sempre più ricca grazie all’esportazioni dell’oro nero. Il tutto è cambiato con l’avvento al potere dell’ex militare Hugo Rafael Chávez, capo del partito socialista rivoluzionario, convinto sostenitore di una serie di riforme demagogiche, copia e incolla di quelle cui diede vita, negli anni ’60 del 900, Fidel Castro nella vicina Cuba. Riforme chiamate “Missioni Bolivariane” che intendevano sconfiggere le disparità sociali, combattere malattie, analfabetismo e malnutrizione. Un programma applicato radicalmente con scioperi e blocco della libera iniziativa economica, restrizione e controllo del cambio monetario, collocazione del Venezuela tra i paesi del fronte anti capitalista. Insomma, Chávez ha voluto radere al suolo ogni attività che non fosse controllata e gestita dallo Stato socialista, fedele ai rigidi dettami marxiani. Risultato: quello che era trainante per l’economia è appassito, i salari sono stati imposti dal governo agli imprenditori e il tutto è stato ricondotto alla massificazione egalitaria della società e dell’economia. Insomma: così facendo è stata cancellata ogni traccia del suo predecessore Rafael Caldera, democristiano, che operava in un regime parlamentare di stampo liberale. Chávez è salito al potere nel 1999 governando fino al 2013, con una breve parentesi, dovuta ad un colpo di Stato, nel 2002, poi rientrato. Alla sua morte il potere è passato nelle mani di Nicolas Maduro il quale ha proseguito, imperterrito, nel solco ideologico tracciato dal suo predecessore anche quando l’economia venezuelana è collassata sia per il calo del prezzo del greggio, sia per le inefficienze e lo sperpero statale, trascinando la nazione nel baratro della povertà. Al momento, infatti, mancano medicine e derrate alimentari e finanche la benzina e’ razionata. La corruzione dilaga ovunque e circa un terzo della popolazione è stato costretto ad emigrare. E’ questo il panorama entro il quale il Venezuela, presidiato dall’esercito di Maduro, si appresta ad andare al voto. Ad opporsi al satrapo socialista c’è una donna. Si tratta di Marìa Corina Machado, leader di un movimento di protesta che anima l’opposizione in Parlamento. Alzi la mano chi ha mai letto, sugli impavidi e moralisti giornali italiani, il nome di questa pasionaria!! Ad intervistarla ci ha pensato il Financial Times non certo Il Fatto di Travaglio!! Né il “caso Venezuela” ha destato l’attenzione dei politici di casa nostra pur solerti nel difendere il popolo palestinese dagli attacchi di Israele!! E quelli che riescono a trovare ragioni politiche per giustificare l’aggressore seriale Vladimir Putin? Niente. Anche da loro non una sola parola, non un misero straccio di solidarietà per quella nazione sottoposta a vera e propria tirannia. Eppure sono svariate decine i giornalisti inviati negli Usa per seguire le gesta di Donald Trump ed il declino fisico di Joe Biden. Possibile che da loro non sia giunta una sola riflessione su quel Paese che pure non è poi così distante dagli States? Sperare di trovare “tracce” di Venezuela nelle torrenziali dichiarazioni dei vari, pensosi, ospiti dei talk show televisivi che ci ammorbano quotidianamente con grande sussiego dal piccolo schermo ? Macché!! I “sinceri democratici” di Elly Schlein, i sanculotti farlocchi di Giuseppe Conte e gli antagonisti ad oltranza Fratoianni e Bonelli, tacciono. E tacciono anche gli altri, purtroppo!! Quelli che, essendo stati battezzati come “fascisti”, avrebbero tutto l’interesse a contestare il miserabile silenzio sulla tragedia di quella nazione. In fondo la libertà non ha bisogno di cantori ma di testimoni!! C’è qualcuno che possa battere un colpo?

*già parlamentare

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*L’ombra dell’asteroide* di Vincenzo D’Anna*






*L’ombra dell’asteroide* di Vincenzo D’Anna*
L’Esa, l’ente spaziale europeo, ci informa di aver dato il “via libera” al programma Ramses per lo studio delle strategie di difesa planetaria: la missione ha in calendario l’incontro con l’asteroide 99942 Apophis che, nel 2029, effettuerà un passaggio particolarmente ravvicinato alla Terra. Il termine “Ramses” non ha niente a che vedere con il celebre faraone egiziano: si tratta di un acronimo che sta per “Rapid Apophis Mission for Space Safety”. Il monitoraggio di quel corpo celeste, non ha niente da vedere con le trame catastrofiche di numerosi film apocalittici di Hollywood che tanto ci hanno impressionato sullo schermo. Per quanto lontano dalla traiettoria di impatto dell’asteroide con la Terra, il solo passaggio di quel corpo roccioso ha comunque evocato in qualche le paure ancestrali dell’ignoto. Sì, perché la distanza tra Aposhis e il nostro pianeta è ritenuta più che sicura e non corriamo alcun rischio. Tuttavia non si tratta solo di aver paura quanto di dover considerare due cose: la prima è la verifica della attuale capacità che la scienza e la tecnica siano in grado – in un futuro speriamo lontanissimo – di deviare le traiettorie di questi ammassi rocciosi che vagano minacciosi nel cielo, dal buio cosmico potrebbe spuntare qualcosa di imprevisto capace di “incrociare” la nostra atmosfera. La seconda è di carattere filosofico ed etico, l’elaborazione del pensiero e della riflessione di quanto la potenza dell’Uomo sia oggi circoscritta e limitata innanzi agli eventi scatenati delle spaventose ed ignote forze dell’universo. Per dirla semplicemente: quanto poco valga la presunzione d’immortalità della razza umana, quanto vana la convinzione di poter gestire un potere umano senza che altre e superiori forze lo possano annientare. Affinché cada il radicato convincimento che gli uomini abbiano il potere di sopraffare, all’infinito, le evenienze future, di conquistare e comprendere l’infinito universo utilizzando gli strumenti forniti da una scienza onnipotente. A corollario di questi pensieri esistenziali, ci sarebbe da aggiungere che l’immensa grandezza e perfezione dell’universo, oltre alla parzialità delle conoscenze finora acquisite sul medesimo, depongano appunto per l’idea della creazione di tale incomparabile meraviglia. Insomma appare falso che tutto sia nato da un Big Bang, dalla sola combinazione di forze fisiche, chimiche e biologiche, secondo il caso e la necessità. Regge davvero poco l’ipotesi scientifica della formazione dell’universo, senza immaginare che ci sia o ci sia stata un “entità “ ordinatrice e regolatrice di tanto incomparabile complessità. Un Apostolo del Cristo, San Tommaso, è passato alla storia per aver creduto “solo perché vedeva”. Vedere l’immensa perfezione di cui è dotata quella pur minima parte dell’universo che conosciamo e non convincersi che sia stato creato, risulta veramente poco razionale. Tanto l’ateo che l’agnostico invocano come misura del vero la razionalità, eppure è solo supponenza, perché la razionalità dovrebbe spingere verso il convincimento di una creazione e non verso un originario caos induttore degli eventi decisivi per l’avvento del tutto. Se ne deduce che ogni idea di onnipotenza ed onniscienza, presente e futura, è cosa illusoria, insignificante e, se vogliamo, miserabile per gli essere umani. Se guardiamo sotto la grande tazza capovolta del cielo, ecco spuntare la consapevolezza dell’insignificanza dell’umanità intera e del pianeta che la ospita. Insomma siamo un nulla che coltiva la presunzione e la megalomania che possa comprendere e conquistare l’immenso, ci illudiamo, in quel breve attimo che dura la nostra permanenza su questo mondo, di poter coltivare e realizzare anche il male, la tracotanza aggressiva, la soppressione dei simili, la guerra di conquista. Il bello è che proseguiamo nel nostro errore ontologico di pensarci eterni e depositari di verità assolute. Eppure basterebbe l’impatto di un semplice…pezzo di asteroide con madre terra per cancellarci radicalmente dal creato!! Ed allora perché mai l’Uomo del terzo millennio, questo misero acino d’orzo posto in un granaio immenso che neanche riusciamo a calcolare, questo essere prossimo al nulla nell’universo e che si fregia di aver creato macchine perfette, intelligenze artificiali, strumenti potentissimi, non riesce a vivere nella propria reale dimensione? Quelle che sono grandi nazioni ricche e potenti militarmente, più delle altre, dovrebbero avere maggiore consapevolezza che il termine di paragone lo possono trovare alzando, in una notte d’estate, gli occhi al cielo, più che tra gli arsenali atomici oppure nei listini delle borse e la dimensione dei commerci!! Invece no. A farla da padrona è ancora l’idea della onnipotenza dello Stato, del potere costituito, sull’individuo, sull’uomo, che è una delle meraviglie del creato. Intendiamoci: il nostra è un pensiero laico e non fideistico, perché chi non crede nel Dio creatore può sempre credere nella bontà del cuore, nell’acume della mente e nella forza consapevole e nei valori morali che originano dal ragionamento. Quindi per credere occorre anche saper ragionare e non soltanto avere fede. Tornando ai minimi livelli della cronaca quotidiana, sorgono interrogativi terribili: perché mai si stenta a fronteggiare il ed i tiranni, rinunciando alla pace sociale, si conculcano le libertà ed i diritti naturali dei singoli individui, in questo piccolo atollo sparso nell’immensità del cielo? Forse occorrerebbe avere maggiormente il senso della precarietà di quel che veramente siamo in quel contesto universale e strabiliante per capirlo. E forse non sarebbe male che a tutto questo riflettere ed al vivere in accordo con la natura, ci inducesse l’ombra sinistra e terribile di un asteroide, proiettata sul pianeta più presuntuoso e supponente dell’universo.

*già parlamentare

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*Quando lo Stato somiglia alla “mafia”* di Vincenzo D’Anna*






*Quando lo Stato somiglia alla “mafia”* di Vincenzo D’Anna*

Intendiamoci: quello che illustreremo in questo editoriale, è un esempio di scuola su dove possa arrivare a spingersi, sotto l’imperio di leggi ingiuste e ricattatrici, quell’entità chiamata “Stato” in danno dei suoi stessi amministrati. Ora, che il Leviatano statale ci abbia spesso trattato come sudditi e non come componenti della società civile, è un fatto noto a tutti tranne che agli idolatri dello statalismo, ovvero un’istituzione che adotta una dottrina socio economica di governo pervasiva e tirannica muovendosi con norme non ispirate né alla giustizia, né all’equità, soffocando, in tal modo, le libertà di cui sono depositari i cittadini. Perché, è risaputo: quando viene meno il rispetto per le libertà economiche e per quelle di mercato, sono minacciate anche tutte le altre libertà. Ora, se lo Stato sceglie di avocare a sé stesso condotte di questo genere, ecco che si pone su di un piano di immoralità, trasformandosi in un despota che somiglia, per merito e metodo, agli estorsori ed ai malavitosi. E’ questo il caso della legge n. 56 del 2023 che porta il nome di “payback” in sanità, ossia di quel meccanismo imposto dal legislatore in merito alla realizzazione e/o alla fornitura di dispositivi medici. Un furbesco espediente consistente nella restituzione – da parte delle aziende fornitrici del comparto sanitario – dell’importo pari al 50% delle spese per le forniture effettuate alle Aziende sanitarie, in quanto in eccesso alle disponibilità finanziare del compratore ( le singole Regioni). In parole semplici: lo Stato può richiedere al fornitore di beni e servizi (selezionato attraverso una regolare gara d’appalto), di riprendersi il bene fornito e già utilizzato dalle Aziende sanitarie, restituendo alle medesime il 50% dell’importo pagato al momento dell’acquisto. Per essere ancora più espliciti: un’Asl acquista un ecografo oppure una tac ma qualora la Regione dalla quale essa dipende, determini un deficit di spesa, il venditore è costretto a riprendersi indietro il macchinario restituendo all’Azienda appaltatrice il cinquanta percento dell’importo pagato per acquistarlo!! Per essere ancora più chiari: immaginate di aver comprato un televisore e che, per sopraggiunte difficoltà economiche della vostra famiglia, possiate restituirlo, dopo averlo utilizzato per un determinato periodo di tempo, al venditore, il quale vi rimborserà il cinquanta percento del suo costo!! Una circostanza inimmaginabile ed improponibile nel libero mercato di concorrenza, che accolla ai venditori l’acquisto di beni già usurati dall’acquirente, restituendo allo stesso la metà del prezzo di acquisto!! Per dirla, ancora, in altre parole: la pessima oppure incauta gestione dell’economia familiare viene scaricata sull’imprenditore che ha venduto il bene, come se questi avesse una qualsivoglia responsabilità se il compratore ha scelto di dilapidare i propri soldi. Eccolo là, dunque, lo Stato onnipotente e prepotente, pronto ad accollare parte dei debiti contratti dalle proprie aziende regionali sulle tasche dei fornitori!! Se ci spostiamo nel mondo reale di tutti i giorni, questo stato di cose può tranquillamente assumere i contorni di una vera e propria estorsione: un indebito obbligo che punisce coloro che hanno fatto semplicemente il loro dovere e sottostato alle regole descritte in un regolare bando di gara, che per sua natura, assume la caratteristica giuridica di lex specialis. In soldoni: lo Stato, che ha la presunzione di “saper fare” meglio degli altri – in regime di monopolio e di privilegio – in sanità (perché mancando il profitto ci sarebbe una pseudo superiorità etica dei fini), riversa le proprie inefficienze in quel settore, oltre che sui malati, anche sui soggetti che gli forniscono i beni strumentali di cui pure esso necessita!! E quelli che i debiti e le disfunzioni hanno provocato? Restano ineffabili ed intoccabili ai vertici della Aziende statali e degli enti regionali!! La politica ha i suoi privilegi e lo Stato peggio ancora!! Ma se questa non è un simulacro di associazione per delinquere sotto l’egida statale, poco ci manca. A rendere poi esplicito la circostanza che le nostre istituzioni giudiziarie, come la Corte di Cassazione e quella Costituzionale, siano spesso i numi tutelari di quelle leggi inique, c’è l’evidenza che esse abbiano bocciato i ricorsi dei poveri imprenditori che pure vi si erano affidati nell’illusione che la giustizia non fosse soggetta all’obbligo di mantenere il sacco alla politica del governo!! Fino a quando le nomine in quegli alti consessi saranno in parte politiche e si perpetuerà l’osmosi dei magistrati con gli uffici legislativi dei Ministeri e con i gabinetti dei Ministri, la solidarietà faziosa tra i poteri dello Stato non sarà mai estirpata. Chi ha ancora un minimo di pudore in seno come uomo libero arrossisca e si vergogni!!

*già parlamentare

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*Grazie, Joe!!* di Vincenzo D’Anna*






*Grazie, Joe!!* di Vincenzo D’Anna*

“La democrazia consiste nel poter cambiare il governo, e coloro che ne fanno parte, senza spargimento di sangue”. Così Karl Popper, filosofo e sociologo liberale, definiva il sistema democratico basato sul suffragio elettorale liberamente espresso dal popolo. In pratica, significa che è possibile sostituire i vertici delle istituzioni senza che questo comporti traumi o chissà quali tremendi sconvolgimenti. Ebbene è proprio per evitare non solo una sconfitta, che si annunciava più che certa per il Partito Democratico, ma anche per riportare serenità e pacifico confronto nella competizione elettorale che andrà a svolgersi, da qui a qualche mese negli Usa, che il presidente in carica, Joe Biden ha annunciato ufficialmente il suo ritiro dalla corsa per la riconferma alla Casa Bianca. Dopo l’attentato a Donald Trump, l’America rischiava, infatti, una campagna elettorale insidiosissima pronta a trasformarsi in una sorta di scontro all’ultimo sangue, non solo nel senso metaforico. Prendiamo i toni e le argomentazioni che il miliardario tycoon ha utilizzato finora: sono apparsi senza cautela e senza risparmio alcuno. Offese a tutti gli effetti per i suoi avversari. Discorsi indirizzati alla pancia della nazione, rivoti ad aizzare gli animi ed a proporre soluzioni di stampo qualunquistico con il rischio di fomentare un clima di sfida e di contestazione a tutto il  sistema politico ed istituzionale. Già in passato l’esponente repubblicano aveva contestato il risultato delle elezioni, assecondato la protesta eversiva e violenta dei suoi elettori culminata poi con l’assalto vandalico a Capitol Hill. Trump insomma, aveva sparso rancore e dubbi di legittimità sul presidente eletto, destabilizzando la credibilità della più antica democrazia popolare del mondo. Ora, innanzi ad un simile candidato ci sarebbe bisogno di un avversario nel pieno delle sue capacità psico-fisiche, caratteristica, questa, che francamente in Joe Biden appare ormai evidentemente limitata per una forma di incipiente declino senile. In disparte il pessimo risultato nello scontro televisivo con Trump e le gaffe durante gli ultimi incontri con altri leader, il divario tra i due candidati era ormai evidente agli occhi degli elettori, a cui va aggiunto anche il vantaggio che Trump ha ricavato, in termini di simpatia, dal fallito attentato alla sua persona. Nonostante le resistenze del proprio clan familiare ed i reiterati dinieghi, Biden ha finalmente dato il passo di addio con il risultato che la competizione elettorale per designare il nuovo inquilino dalla Casa Bianca potrà riprendere senza handicap per i Democratici americani. E’ mio personale convincimento che una vittoria di Donald Trump sarebbe una jattura non solo per gli USA, che ripiomberebbero in una conduzione qualunquistica e cervellotica della politica americana,  ma anche per il Vecchio Continente. Il vice presidente designato alla convention Repubblicana Jd Vance è infatti portatore di un programma radicale che fa da pariglia a quello di Trump: nazionalista ed anti abortista, xenofobo e favorevole al disimpegno americano in Ucraina, protezionista in economia ( dazi sui prodotti stranieri), Vince è contrario ai programmi sociali per gli indigenti e si è anche schierato per il ridimensionamento della Nato. Se ce ne fosse stato bisogno, egli è ancora più estremista del candidato presidente repubblicano. I suoi proponimenti, se attuati, creerebbero non poche difficoltà ai paesi alleati occidentali, per la semplice evidenza che Russia e Cina ne sfrutterebbero subito il vantaggio che la  politica internazionale americana offrirebbe loro. Insomma più che un potente alleato, i paesi amici degli Usa si troverebbero innanzi un tenace concorrente sul piano commerciale. Inoltre da Parigi a Londra, passando per Berlino e Roma, le principali cancellerie europee sarebbero chiamate a ripensare la loro politica estera dal momento che Vince e Trump sembrano propensi a voler applicare politiche protezionistiche anche all’apparato militare che da tempo immemore poggia sulla potenza dell’esercito americano che da sempre funge da deterrente dei conflitti che potrebbero interessare le nazioni membro della alleanza atlantica. Essendosi chiusa alle spalle ogni forma di collaborazione ad oriente per difendere l’Ucraina, I paesi NATO si troverebbero indeboliti anche ad occidente. Ma non si tratta solo di uno scontro in economia e di una debolezza militare quanto del fatto che in mano a Trump l’amministrazione statunitense segnerebbe un passo indietro per la nazione che da sempre si è opposta all’ espansione prima del marxismo e poi delle mire espansionistiche dei post e vetero comunisti quali sono rispettivamente il russo Putin, ed il cinese Xi, con tutti i loro minacciosi  simpatizzanti ed addentellati come la Corea del Nord, l’Iran, la Siria, lo Yemen, l’Afganistan, il Vietnam, la Cambogia, e tutte le satrapie africane di matrice comunista. Insomma un intero blocco anti occidentale ed, in fondo, anti capitalistico e statunitense, trarrebbe non pochi vantaggi politici dalla debolezza e dal disimpegno americano. In poche parole: Trump non valuta appieno queste prospettive nella sua rozzezza da sceriffo che predilige un’America piegata su se stessa, con il motto “ prima l’America “. Per la serie: gli altri si arrangino come possono ( nazioni come la Turchia e l’Ungheria non ci metterebbero troppo a cambiare versante), oppure paghino l’ombrello militare americano. Il che, converrete, costituisce un pericolosa involuzione. Il repentino ritiro delle truppe Usa dall’Afganistan ha consegnato alla barbarie medioevale quella nazione, e così succederebbe sul piano geo politico per i paesi baltici e la Finlandia e le nazioni confinanti con la Russia come Polonia e Romania. Un disimpegno che ha consegnato ai Talebani carta bianca, ancorché nessuno fiati tra le fila delle pensose vestali della parità di genere e dei diritti civili nel Belpaese. Dalle nostre parti i pacifisti hanno il vizio  della doppia morale che non avrà mai fine tra i “sinceri democratici” alle vongole. Intanto un grazie a Joe, per aver dato una chance ed una speranza futura al mondo libero e democratico.

*già parlamentare

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)