*Elezioni Usa e crollo delle borse* di Vincenzo D’Anna*
*Elezioni Usa e crollo delle borse* di Vincenzo D’Anna*
Sono decenni ormai che si coltiva l’idea che gli Stati Uniti siano la quintessenza dell’imperialismo, la fonte di tutte le guerre, la causa di ogni male. A voler selezionare e catalogare questo preconcetto ne verrebbe fuori una sintesi tassonomica, ovvero una classificazione sulle diverse cause di quella che appare come una vera e propria idiosincrasia nei confronti degli States, che affonda le proprie radici in quell’ideologia politica che combatte il capitalismo in ogni sua forma e manifestazione. Compresa l’esaltazione del libero mercato di concorrenza e dunque della competizione stessa. Molto meglio, per gli anti-americani, mettersi sotto l’ala protettiva dello Stato, che di tutto si occupa e di tutti si preoccupa. Uno Stato capace di forgiare una società più giusta perché costruita sugli uguali, ossia preordinata e programmata in modo che ciascuno possa ricevere la propria porzione di benessere e di tranquillità. Uno Stato che coordina, decide e garantisce. Peccato però che così non sia mai stato nonostante il postulato accreditato sotto il nome di “giustizia sociale” al quale qualunque politicante fa ricorso e si aggrappa quando intende spendere i soldi del contribuente!! Falso perché, innanzitutto, la competizione, sotto l’imperio delle leggi e dei controlli che la disciplinano, è una forma altissima di collaborazione, senza la quale non avremmo avuto progresso tecnologico, merceologico e benessere. Ad esempio: sport e scienza sono competitivi ed è grazie a questa leale ed ordinata competizione che si migliorano i record, si approda a nuove scoperte, si premiano i più capaci e si induce quel cambiamento che ci tiene al passo con la modernità. Confondere pertanto l’uguaglianza con la giustizia rappresenta un errore marchiano. Che è poi quello di fondo commesso dagli idolatri dello statalismo, dal momento che fare parti eguali tra diseguali è la più grande delle ingiustizie, che penalizza i più talentuosi per equipararli a quelli meno dotati. Basterebbe invece sostituire il concetto di uguaglianza con quello di equità per rendere migliori le cose ed i rapporti stessi tra gli esseri umani. Un’industria che compete sulla base delle nuove tecnologie di cui è dotata, avrà bisogno di forza lavoro qualificata e ben pagata. Non la si potrà mai mettere nelle mani di uno Stato che se ne frega altamente dell’efficienza degli esiti. Va da sé che coloro i quali non possono competere – non quelli che non vogliono! – avranno comunque ogni forma di protezione dalla rete sociale che i contribuenti stessi finanzieranno sulla base della ricchezza prodotta da ciascuno di essi. Ahinoi, purtroppo questo è il modo di vedere il mondo contrario agli incapaci, agli svogliati, agli incolti, agli invidiosi ed ai rancorosi sociali. In questo brodo di cultura nasce l’avversione al capitalismo, alle “big society”, alle nazioni, prima di tutti gli Usa, nelle quali vige l’uguaglianza delle opportunità e non quella degli esiti di vita etero imposti dalla programmazione statale. Poiché il presupposto al capitalismo è la libertà di poter fare, di rivendicare diritti civili e autonomia di impresa, la difesa della libertà degli individui diventa il necessario, ontologico, presupposto per la democrazia. Gli Stati Uniti vengono bollati dai socialisti e dai leader degli Stati illiberali come facitori di conflitti, eppure quel Paese le guerre le ha fatte prevalentemente per difendere la libertà e la democrazia degli altri. Una lezione che è scritta nei libri di Storia e che nessun mistificazione contemporanea potrà mai cancellare. Gli Americani non hanno mai aggredito oppure occupato altre nazioni, ed anche la guerra a talune satrapie medio orientali (Iraq e Afghanistan in primis) è scaturita da atti premeditati contro gli interessi e la vita degli statunitensi. L’11 settembre 2001 con l’attacco alle Torri Gemelli di New York, rappresenta, in tal senso, la prova più eclatante. Ma non si tratta solo di un giudizio fine a sé stesso per amore di verità, di valori storici e politici, quanto anche di un diretto interesse economico per i paesi in cui vige il libero scambio. L’incertezza sugli esiti del voto negli Usa, il pericolo della vittoria del populismo aggressivo di Donald Trump, il disimpegno americano che ne deriverebbe, per l’arrendevolezza confusionaria della Casa Bianca, sta devastando i mercati affossando le borse. Questo significherà aumento del costo del denaro, speculazione finanziaria, meno credito alle imprese, meno lavoro, meno ricchezza, meno “liquidi” nella casse dello Stato, tasse ed interessi più alti sui mutui, debito statale in aumento. Questo evidentemente non interessa ai nostri Fratoianni, Bonelli e Franceschini, i quali hanno anche le mogli in Parlamento. E neanche alla “proletaria” Elly Schlein, milionaria di famiglia. Ma a tanta brava gente sì, che non avrà mai da temere laddove libertà, democrazia ed individui sono sacri.
*già parlamentare
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)